Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-07-2012, n. 13203

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

N.N. e S.G. con ricorso del 2 agosto 2004, si opposero all’esecuzione promossa, ex art. 612 cod. proc. civ., da E.M., B.E.R., C.M.L. e B.C.. Il titolo da questi azionato in executivis era la sentenza del Tribunale di Firenze in data 27 dicembre 2002, n. 288, emessa all’esito di un giudizio di regolamento di confini tra gli esecutanti e S.R., giudizio a seguito del quale era stata ordinata a quest’ultimo la restituzione di porzioni di terreno illegittimamente detenute.

Dedussero le ricorrenti che il titolo azionato era nullo, inefficace, e comunque loro inopponibile, in quanto emesso in un giudizio dal quale esse, benchè litisconsorti necessarie di S. R., erano state pretermesse.

Precisarono anche di avere impugnato la sentenza n. 288 del 2002 con opposizione di terzo, ex art. 404 cod. proc. civ., e di avere chiesto, nell’ambito di quel giudizio, la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

S.R. propose analogo ricorso.

Riuniti i due procedimenti, gli opposti, costituitisi in giudizio, contestarono il fondamento del mezzo, sostenendo la legittimità dell’esecuzione intrapresa.

Respinta l’istanza di sospensione avanzata nell’ambito del giudizio di opposizione, e accolta invece quella proposta in sede di opposizione di terzo, il giudice adito, con sentenza in data 16 marzo 2006, ha dichiarato illegittima la procedura esecutiva azionata.

Avverso detta pronuncia ricorrono per cassazione E.M., B.E.R., C.M.L. e B.C., formulando quattro motivi, con pedissequi quesiti.

Resistono con due distinti controricorsi N.N. e S. G., nonchè S.R..

Tutte le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1 Nel motivare il suo convincimento il giudice di merito ha evidenziato che la causa ex art. 404 cod. proc. civ., rubricata al numero di R.G. 20355 del 2004, era stata il giorno prima definita, con pronuncia in data 15 marzo 2006, n. 69, dichiarativa della nullità della sentenza n. 288 del 2002, in quanto emessa senza che venissero evocati in giudizio N.N. e S.G., litisconsorti necessari. Conseguentemente, rilevato che era venuto meno il titolo azionato in executiviS, ha accolto la proposta opposizione.

Di tale scelta decisoria si dolgono dunque gli impugnanti.

2 Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 111 Cost. e art. 112 cod. proc. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4, sostengono che il giudice di merito nulla avrebbe deciso in ordine alle eccezioni da essi avanzate, volte a far valere l’inammissibilità e l’improcedibilità dei ricorsi, essendosi limitato il decidente a dichiarare la sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo sulla base di un’altra sentenza da lui emessa, e in quel momento solo a lui nota.

Evidenziano segnatamente gli esponenti che N.N. e S.G. avevano proposto opposizione, ex artt. 615 e/o 619 cod. proc. civ., chiedendo, in via preliminare, la sospensione dell’esecuzione e, in ogni caso, l’accertamento della nullità, dell’inefficacia, dell’inopponibilità della sentenza n. 288 del 2002, perchè pronunciata pretermettendo i litisconsorti necessari;

che parimenti S.R. aveva proposto opposizione all’esecuzione, sul mero presupposto che la madre e la sorella avevano impugnato la sentenza, ex art. 404 cod. proc. civ.; che a tali mezzi essi avevano replicato, deducendo che l’opposizione di terzo ex art. 619 cod. proc. civ. non era proponibile nell’esecuzione per consegna o rilascio (confr. Cass. civ. n. 339 del 1978); che i ricorsi erano inammissibili, in quanto privi di conclusioni; che, come da documentazione esibita, gli opponenti avevano fatto acquiescenza alla sentenza, dichiarandosi disponibili a eseguirla e attivandosi per il pagamento delle spese legali.

3 Con il secondo mezzo i ricorrenti prospettano violazione degli artt. 115, 116, 112 cod. proc. civ., art. 97 disp. att. cod. proc. civ., art. 111 Cost., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4.

Il Tribunale, pronunciando sulla scorta di un fatto – la pronuncia di altra sentenza che aveva dichiarato la nullità di quella posta in esecuzione, sentenza intervenuta dopo la scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e a lui solo nota – aveva violato il principio per cui il giudice deve decidere iuxta alligata et probata.

4 Con il terzo motivo, deducendo violazione dell’art. 111 Cost., artt. 189 e 115 cod. proc. civ. nonchè art. 97 disp. att. cod. proc. civ., si dolgono che il giudice di inerito, acquisita cognizione della sentenza emessa in sede di giudizio di opposizione ex art. 404 cod. proc. civ., non avesse rimesso la causa sul ruolo, al fine di renderne edotte le parti e di provocare il contraddittorio sul punto.

Evidenziano anche che la predetta sentenza era stata gravata di appello.

5 Con il quarto motivo gli impugnanti lamentano infine violazione dell’art. 111 Cost. e art. 91 cod. proc. civ., in relazione alla loro condanna al pagamento delle spese processuali, benchè nessuna delle domande degli opponenti fosse stata in definitiva accolta; che la decisione finale fosse dipesa esclusivamente dall’esito di altro giudizio; che S.R. si fosse limitato a chiedere solo la sospensione dell’esecuzione.

6 Queste essendo le censure formulate dai ricorrenti, conviene, in via preliminare, sgombrare il campo dalla eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti nei loro scritti difensivi.

Hanno sostenuto i deducenti che, benchè la sentenza impugnata fosse stata pubblicata il 16 marzo 2006, e quindi in epoca successiva all’entrata in vigore della L. 24 febbraio 2006, n. 52, che aveva sancito l’inappellabilità della sentenza pronunciata su opposizione all’esecuzione, così parificandone il regime a quella resa su opposizione agli atti esecutivi, la causa era stata tuttavia iscritta a ruolo il 2 agosto 2004, di talchè, in applicazione del principio di cui all’art. 5 cod. proc. civ., il regime dell’impugnazione andava rinvenuto nella disciplina all’epoca applicabile.

7 L’eccezione è destituita di fondamento.

La regola dell’inimpugnabilita, già sancita per le sentenze pronunciate sulle opposizioni agli atti esecutivi, è stata estesa alle sentenze rese sulle opposizioni alla esecuzione dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14. Ne deriva che tale disposizione, a sua volta soppressa dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49, comma 2, a decorrere dal 4 luglio 2009, regolamenta il regime delle pronunce emesse durante il non lungo arco temporale in cui è rimasta in vigore. Il principio dell’immediata applicabilità delle leggi di rito implica invero che gli atti processuali siano regolati dalle norme vigenti nel momento del loro compimento di talchè, in difetto di esplicite previsioni transitorie di segno contrario, la norma processuale sopravvenuta disciplina gli atti successivi alla sua entrata in vigore, senza incidere su quelli anteriormente o posteriormente compiuti. Tali atti, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, restano pertanto disciplinati dalla disposizione sotto il cui imperio sono stati posti in essere, indipendentemente dalla legge vigente al momento in cui è iniziata la sequenza procedimentale in cui sono inseriti. Per altro verso un generale criterio di affidamento legislativo (desumibile dall’art. 11 disp. gen.) preclude la possibilità che gli effetti dell’atto processuale, già formato al momento dell’entrata in vigore della nuova norma, siano da quest’ultima regolati (confr. Cass. cìv. 25 maggio 2009, n. 12060; Cass. Civ. 12 maggio 2000, n. 6099; Cass. civ. 4 novembre 1996, n. 9544; Cass. civ. 1 aprile 1996, n. 2973) .

Non è poi senza rilievo che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 53 del 2008, abbia in sostanza condiviso quest’ordine di idee: nel dichiarare l’inammissibilità, per implausibilità della motivazione sulla rilevanza, delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 616 cod. proc. civ., ultimo periodo, come sostituito dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, in relazione a pronuncia di prime cure pubblicata il 30 maggio 2005, ha segnatamente evidenziato la Consulta che, in caso di successione di leggi e in mancanza di una disciplina transitoria, il regime dell’impugnabilità dei provvedimenti giurisdizionali va desunto dalla normativa vigente quando essi sono venuti a giuridica esistenza.

In definitiva l’eccezione va rigettata in applicazione del seguente principio di diritto: ai fini dell’individuazione del regime di impugnabilità di una sentenza, occorre avere riguardo alla legge processuale in vigore alla data della sua pubblicazione. Pertanto, le sentenze che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione pubblicate prima del primo marzo 2006, restano esclusivamente appellabili;

quelle, invece, pubblicate successivamente a tale data e fino al 4 luglio 2009, sono solo ricorribili per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, in forza dell’ultimo periodo dell’art. 616 cod. proc. civ., introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52; le sentenze, infine, in cui il giudizio di primo grado sia ancora pendente al 4 luglio 2009, e siano quindi pubblicate successivamente a tale data, tornano ad essere appellabili, essendo stato soppresso l’ultimo periodo dell’art. 616 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 49, secondo comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (confr. Cass. civ. 17 agosto 2011, n. 17321).

Ne deriva che il ricorso è pienamente ammissibile.

8 Ragioni di ordine logico consigliano di partire dall’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso che, per la loro intrinseca connessione, si prestano a essere esaminati congiuntamente.

Le censure con essi formulate sono inammissibili per difetto di interesse.

Occorre muovere dalla considerazione che l’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo, di talchè, ove il ricorrente non indichi la specifica lesione subita, il lamentato vulnus procedurale non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata (confr. Cass. civ. 12 settembre 2009, n. 18635).

Con particolare riguardo al processo esecutivo, è poi stato affermato che, pur essendo incontestabile che il diritto del cittadino al giusto processo, ai sensi dell’art. 111 Cost., deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere di diritti sostanziali o di posizioni comunque giuridicamente protette, è tuttavia pur sempre necessario tener conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost..

In tale prospettiva è stato quindi affermato che, non potendosi configurare un generico ed astratto diritto al contraddittorio, è inanimissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare a fondamento dell’impugnazione stessa le ragioni per le quali tale lesione abbia comportato l’ingiustizia del processo stesso, causata dall’impossibilità di difendersi a tutela di quei diritti o di quelle posizioni giuridicamente protette (confr. Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24532).

In sostanza, tutti i rilievi concernenti l’osservanza delle regole processuali, ivi comprese quelle volte a garantire il rispetto del principio del contraddittorio, soggiacciono al principio dell’interesse al gravame, e cioè alla verifica dell’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del mezzo azionato (confr. Cass. civ. 23 maggio 2008, n. 13373), il che comporta che l’impugnante deve indicare specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dalla invocata nullità processuale (confr. Cass. civ. 4 giugno 2007, n. 12952).

9 Venendo al caso di specie, pur essendo incontestabile che il giudice di merito ha definito il giudizio su un dato l’avvenuta declaratoria della nullità del titolo posto in esecuzione – non rilevato e non sottoposto al dibattito processuale, alcunchè deducono i ricorrenti in ordine alla non decisività dello stesso, limitandosi a lamentare la mancata pronuncia del giudice sulle loro eccezioni di improponibilità e inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione nonchè la violazione delle regole del contraddittorio.

Il silenzio serbato su un elemento essenziale, come l’accertamento che la sentenza azionata fu inutiliter data – disvelando il carattere meramente formale e sostanzialmente specioso del vizio denunciato, comporta che le censure svolte nel secondo e nel terzo mezzo, sono inammissibili per difetto di interesse.

10 Il carattere dirimente della caducazione del titolo esecutivo comporta poi che correttamente il giudice di merito ha, sia pure implicitamente ritenuto assorbiti tutti i motivi di opposizione riproposti nel primo mezzo, di talchè le critiche in esso svolte sono destituite di fondamento. Si ricorda che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 cod. proc. civ., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa f pronuncia non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (confr. Cass. civ. 20 gennaio 2010, n. 868; Cass. civ. 12 gennaio 2006, n. 407).

11 Privo di pregio è anche l’ultimo mezzo.

La condanna al pagamento delle spese processuali è stata infatti correttamente pronunciata in applicazione del principio della soccombenza, stante la nullità del titolo azionato e la sostanziale fondatezza delle ragioni fatte valere dalle opponenti e da S.R., intervenuto in giudizio ad adiuvandum.

12 Il ricorso deve, in definitiva essere integralmente rigettato.

La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012
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