Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 04-04-2013, n. 15620

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 13 dicembre 2011 la Corte d’appello di Genova ha respinto l’appello presentato da V.M. avverso sentenza del Tribunale di Genova del 10 marzo 2011 che aveva ritenuto l’imputato responsabile di vari reati commessi nei confronti della moglie, costituitasi parte civile, S.S. (capo A: delitto di cui all’art. 610 c.p. per averle impedito di uscire di casa a seguito di una lite, tra l'(OMISSIS); capo B: delitto di cui all’art. 609 bis c.p. per aver con violenza costretta la coniuge convivente a subire atti sessuali, nell'(OMISSIS) come da querela del (OMISSIS); capo C: delitto di cui agli artt. 582 e 585 c.p. per aver cagionato lesioni personali alla moglie nel corso di una lite, il (OMISSIS) come da querela del (OMISSIS); capo D: delitto di cui agli artt. 582, 585 e 576 c.p., art. 61 c.p., n. 2, artt. 577 e 609 bis c.p., per avere con violenza costretta la coniuge convivente a subire atti e rapporti sessuali, cagionandole, anche per commettere questi ultimi, lesioni personali; capo E: delitto di cui all’art. 610 c.p. per avere con violenza impedito alla moglie di allontanarsi da casa, nel corso della condotta criminosa precedente la violenza sessuale: entrambi gli ultimi capi riguardano fatti che sarebbero avvenuti nella notte tra il (OMISSIS), come da querela del (OMISSIS) e da querela del (OMISSIS)) e, ritenuta la continuazione rispetto al più grave reato di cui al capo D e applicata la circostanza ex art. 89 c.p., lo aveva condannato alla pena di anni tre e mesi 11 di reclusione.

La corte ha aderito all’accertamento del giudice di prime cure, ritenendo la versione della parte offesa attendibile e sorretta da riscontri rappresentati dalle dichiarazione della teste P., madre della S., e dello stesso imputato, nonchè dal referto di pronto soccorso; ha negato la sussistenza dell’attenuante della provocazione quale conseguente a una pretesa relazione extraconiugale della parte offesa e altresì negato la concessione delle attenuanti generiche per l’insensibilità dell’agente rispetto alle sofferenze della vittima.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il difensore dell’imputato per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonchè violazione della legge penale.

Premesso che in sede di legittimità non è ammissibile presentare una versione alternativa dei fatti, il ricorrente rileva che è comunque censurabile l’analisi motivazionale della corte, che dimostrerebbe distorte e parziali letture degli atti. Evidenzia il difensore, tra l’altro, che nell’atto d’appello erano stati valorizzati "plurimi dati valutativi idonei a minare la credibilità della persona offesa" in ordine alla denuncia del (OMISSIS) e al referto medico di pari data. La mattina successiva ai delitti di cui ai capi D ed E la moglie dell’imputato, invece di recarsi immediatamente al pronto soccorso e in questura, si è recata alla scuola dove insegnava; avrebbe deciso di recarsi in ospedale e presentare denuncia solo dopo avere ricevuto una telefonata dal marito in cui egli le diceva di avere la prova dei suoi tradimenti (un foglio che poco prima la parte offesa aveva cercato di prendere con forza dalle mani dell’imputato), secondo quanto risulterebbe dalla denuncia stessa. Nella denuncia poi la parte offesa avrebbe descritto l’episodio del (OMISSIS) in modo diverso rispetto a una sopraffazione fisica, narrando una colluttazione di una decina di minuti dopo la quale i coniugi si sarebbero "calmati". Ciò contrasta con il contenuto della seconda denuncia del (OMISSIS). La spiegazione della tardività nel recarsi al pronto soccorso in questura sarebbe poi stata fornita come incessante dolore alle parti intime sofferto dalla vittima, e poi ancora nell’iniziativa delle colleghe di lavoro a metterla su un taxi perchè stava male (s.i.t.

(OMISSIS) della stessa S.). La corte nel valutare questi elementi li ha reputati inidonei a escludere il dissenso per il rapporto sessuale della notte precedente, senza motivare sulla credibilità della parte offesa nonostante le contraddizioni delle sue varie versioni e "la curiosa tempistica" del suo accesso al pronto soccorso. Il referto ospedaliero secondo la corte contiene sufficienti elementi di compatibilità con la violenza sessuale. Esso però attesta come esame obiettivo solo escoriazioni all’avambraccio destro e alle caviglie e lesioni ecchimotiche alle cosce, nonostante dia atto che la paziente dichiarava di aver subito una violenza sessuale e di essere stata aggredita al collo con le mani.

Illogicamente la corte afferma che il referto, pur non indicando lesioni ai genitali, non esclude l’esistenza di tali lesioni. E anche quanto ai segni sul collo (di cui la parte offesa riduce la portata rispetto alla denuncia del (OMISSIS) nelle s.i.t. (OMISSIS)) la corte sarebbe stata illogica affermando che potevano non essere presenti in sede di esame obiettivo, senza tener conto delle dichiarazioni della teste P., che aveva dichiarato di avere notato anche presso il pronto soccorso i segni sul collo, affermando altresì che il medico voleva mettere il collare alla parte offesa, sua figlia. Ancora, il (OMISSIS) la S. dichiarava che prima della violenza l’imputato le aveva spinto le mani nella vagina procurandole una perdita di sangue; la difesa aveva evidenziato che l’esame obiettivo ospedaliero avrebbe dovuto riscontrare lacerazioni nella parete vaginale o comunque ferite nei genitali, nulla di questo risultando dal referto; ma la corte ha affermato che non necessariamente un rapporto sessuale lascia tracce di lesioni (così smentendo le dichiarazioni della parte offesa e di sua madre) aggiungendo che il sanguinamene poteva ricollegarsi alla vicinanza del periodo mensile (non menzionato dalla parte offesa).

Ulteriore circostanza considerata significativa dalla corte, che avrebbe definito oziose le argomentazioni in merito nell’atto di appello, è il fatto che la parte offesa, poco prima di recarsi il (OMISSIS) nella casa coniugale dove era il marito, aveva appreso dalla di lei madre che questo l’aveva insultata e intendeva "fargliela pagare" (ancora s.i.t. (OMISSIS)): è contraria alla comune esperienza la condotta della moglie che si sarebbe recata comunque dal coniuge, tenuto conto del fatto che, sempre secondo le dichiarazioni della parte offesa, l’imputato aveva allora già commesso i reati di cui ai primi tre capi d’imputazione. Eppure la corte non ha vagliato tale condotta "in termini di credibilità e genuinità della versione della persona offesa". Illogica sarebbe anche la deduzione di valenza probatoria delle ecchimosi alle cosce della vittima, che avrebbero potuto derivare secondo la difesa anche dalla colluttazione per il foglio che conteneva la prova dei tradimenti; tradimenti che la corte ha posto su un piano dubitativo mentre la parte offesa ha riconosciuto di avere commesso con un suo allievo (s.i.t. (OMISSIS)). Sia per i delitti di ottobre che per quelli di novembre, poi, la parte offesa avrebbe fatto riferimento a colluttazione; illogica sarebbe anche la motivazione sul pernottamento in un’altra stanza della vittima nella notte fra il (OMISSIS).

Anche a proposito del capo B, la motivazione sarebbe carente quanto all’attendibilità della versione della S.: non è stato adeguatamente valutato che una sua amica, dottoressa F., secondo la stessa S. conosceva tutta la sua situazione, eppure nelle sue dichiarazioni non ha confermato l’asserita violenza sessuale dell'(OMISSIS). Pure la madre della vittima ha dichiarato, poi, di averne saputo solo dopo la violenza sessuale del (OMISSIS). Gli episodi, in realtà, si sarebbero verificati in una situazione conflittuale, in cui la persona offesa, tutt’altro che remissiva, voleva impedire al coniuge di verificare i tradimenti con il suo ex alunno. La corte peraltro avrebbe minimizzato l’apporto dei testimoni della difesa sul carattere e i rapporti dei coniugi e non avrebbe considerato la perizia effettuata nella causa civile di separazione.

La motivazione sarebbe carente anche in ordine alla negazione dell’attenuante della provocazione, affermando il difetto di prova della relazione extraconiugale (benchè ammessa dalla parte offesa nelle dichiarazioni del (OMISSIS)) e negando l’immediata reazione al tradimento e comunque la condotta connessa a questo.

Infine, pur avendola chiesta lo stesso Procuratore Generale all’esito dell’udienza del secondo grado, la concessione delle attenuanti generiche non è stata accordata, senza tenere conto della condotta processuale dell’imputato e sulla base di una considerazione del tutto apodittica sulla gravità e sulla protrazione della condotte sull’intensità del dolo. Non è stato neppure identificato il successivo comportamento dell’imputato che la corte definisce ai limiti dell’intimidazione, a parte una lite con la suocera relativa al figlio.

La parte civile, presente nella pubblica udienza, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato.

Come il ricorrente ha premesso, non è prospettabile dinanzi al giudice di legittimità una versione fattuale alternativa rispetto a quella adottata dal giudice di merito; nè, occorre aggiungere, il giudice di merito è tenuto a valutare specificamente tutti gli elementi probatori e tutti gli argomenti difensivi, purchè costruisca una struttura motivazionale congrua e logica sui fatti decisivi, tale da rendere irrilevante quanto non considerato in via espressa in forza di un assorbimento implicito garantito dalla completa autosufficienza del ragionamento attraverso il quale il giudice è pervenuto all’accertamento di fatto (da ultimo Cass. sez. 4, 13 maggio 2011 n. 26660 e Cass. sez. 6, 4 maggio 2011 n. 20092).

Il ricorso per vizio motivazionale, dunque, consente di vagliare l’accertamento di fatto in modo esclusivamente indiretto, verificando cioè in primo luogo l’esistenza di una motivazione non apparente, in secondo luogo l’adeguatezza e la resistenza logica di tale motivazione (cfr. Cass. sez. 2, 26 settembre 2012 n. 37709: "Il vizio di motivazione che denunci la mancata risposta alle argomentazioni difensive può essere utilmente dedotto in Cassazione unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata").

Nel caso di specie, in sostanza, quello che il ricorrente censura (a parte le considerazioni finali sulla negazione delle attenuanti, pur sempre presentate come vizio motivazionale) è la carenza di un’adeguata motivazione in ordine all’attendibilità della testimonianza della parte offesa. E’ noto che la vittima ha capacità di testimoniare, ma la sua testimonianza ontologicamente e logicamente patisce una fragilità superiore in termini di attendibilità rispetto alle dichiarazioni di un testimone estraneo alla vicenda criminosa. La percezione del diverso calibro della testimonianza di una parte offesa e della testimonianza di un estraneo ha condotto, quale paradossale tendenza, a prospettare un’assimilazione della testimonianza della vittima, quanto a disciplina valutativa, a quella resa dal soggetto in condizione più opposta rispetto a quella della vittima, cioè dal coimputato dello stesso reato o dall’imputato in un procedimento connesso ex art. 12 c.p.p.: assimilazione che poteva essere giustificata dalla comune esigenza di un supporto oggettivo della veridicità di quanto dichiarato da persone coinvolte, che governasse il libero convincimento del giudice in una struttura di prova legale. Questa tendenza interpretativa, di recente, è stata comunque disattesa dalle Sezioni Unite, che hanno confermato la classica garanzia motivazionale quanto all’esercizio del libero convincimento, scartando un’applicazione analogica palesemente forzata (ubi voluit dixit). S.U. 19 luglio 2012 n. 41461 nega infatti l’applicazione delle regole di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, alle dichiarazioni della parte offesa, ribadendo – a convalida del loro valore testimoniale e dell’esercizio del libero convincimento che può tradizionalmente fondarsi anche su un’unica testimonianza – che possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato; riconoscendo peraltro la peculiarità della fonte, si è introdotto un controbilanciamento rappresentato dalla necessità di una previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, verifica che deve essere più penetrante e rigorosa di quella cui sì sottopone la dichiarazione di qualsiasi teste.

Dunque, la dichiarazione della parte offesa può costituire, anche da sola, fonte del convincimento del giudice sulla responsabilità penale dell’imputato; e ciò anche se la sua valutazione deve essere di rango superiore rispetto a quella di un teste "normale", secondo un principio di cautela che la natura dei reati sessuali aveva già inequivocamente imposto (da ultimo Cass. sez. 4, 18 ottobre 2011,n. 44644).

4. Nel caso di specie, la corte territoriale si trovava dinanzi a un gravame che attribuiva al primo giudice l’avere "omesso di considerare le evidenti contraddizioni e le incongruenze" delle dichiarazioni della pretesa parte offesa, "le une e le altre ampiamente fatte presenti dalla Difesa" dell’imputato. Avrebbe dovuto pertanto, alla luce della giurisprudenza formatasi già anteriormente al sopracitato arresto delle Sezioni Unite, effettuare il suo controllo di giudice di secondo grado sull’attendibilità della S., tenendo presente, ovviamente, le argomentazioni dell’appellante. La S., va subito osservato, aveva tenuto una condotta che oggettivamente si prestava a tali argomentazioni: già solo dalla lettura dei capi di imputazione, e poi dalle dichiarazioni rese dalla stessa S., emerge sia che questa ha denunciato "a rate" le pretese condotte criminose del marito, pur essendo fin dalla prima versione condotte violente e intollerabili, sia che, nonostante avesse, a suo dire, un coniuge così pericoloso e incontrollato nel suo comportamento come lo descrivono i primi tre capi d’imputazione, e nonostante avesse appena saputo che era in un momento di aggressività (Esultandola dichiarava che intendeva "fargliela pagare") da sola e senza alcuna cautela si è recata nella casa coniugale, dove avrebbe subito allora le ulteriori condotte criminose. Di tutta la condotta criminosa che dall’ (OMISSIS) avrebbe commesso il marito ai danni della moglie non vi è inoltre alcun riscontro medico inequivoco; e dopo l’ultimo preteso episodio, particolarmente violento (includente principio di strangolamento e violenza sessuale) la vittima non sentì la necessità di andare immediatamente al pronto soccorso, ma ritenne di poter andare a lavorare come in una giornata qualunque.

Su questi elementi, qui sintetizzati al massimo grado, ma descritti in modo assai più ampio dalla sentenza impugnata laddove illustra il contenuto dell’appello (pagine 1-5), la corte ha dato una motivazione che non può definirsi inesistente/apparente, ma che patisce di gravi incongruità logiche, tali da inficiare la struttura accertatoria.

In ordine al capo A, relativo a una lite coniugale che nulla ha a che fare con violenza sessuale, non vi era particolare necessità di approfondimento, essendo stato sostanzialmente tutto confessato dall’imputato. Da questo evento, tuttavia, la corte prende le mosse per ritenere l’imputato tendente alla paranoia rispetto all’infedeltà coniugale e per giudicare (in riferimento ai testi della difesa) "controproducente la raccolta di dichiarazioni di più o meno superficiali conoscenti" in ordine ad atteggiamenti di superiorità e aggressività della moglie verso il marito. Già questo collegamento è illogico, essendo invece chiaramente utile per ricostruire la concreta conformazione del rapporto coniugale, e quindi per valutare sul piano estrinseco l’attendibilità delle dichiarazioni della moglie come parte offesa, considerare elementi in ordine a una situazione di aggressività della pretesa vittima, dal momento che i capi d’imputazione descrivevano invece come superiore e aggressivo il marito. Ma la corte prosegue affermando che "la narrativa della S. concernente le violenze si situa in un globale contesto di logicità". Esamina pertanto la tempistica delle denunce, definite "originaria e integrativa ", affermando che "non vi è nulla di strano che la S. abbia inizialmente inteso ancora una volta passare sopra ad un abuso subito" e che "il fatto che, nella prima denuncia, la S. non abbia riferito di essersi recata al pronto soccorso a seguito dell’intervento delle colleghe, che avrebbero percepito le sue precarie condizioni, appare irrilevante ai fini di qualificare il rapporto sessuale della notte precedente, imposto anzichè spontaneo". Sotto il profilo delle due denunce – le quali di per sè potrebbero manifestare una tendenza all’integrazione che potrebbe anche ricondursi a una capacità di "correzione" della descrizione di fatti non reali, e quindi più agevolmente modificabili – apodittica è l’affermazione di una intenzione della vittima di "ancora una volta passare sopra ad un abuso subito"; e confligge inoltre con quanto appena asserito sulla irrilevanza di deposizioni testimoniali su atteggiamenti di superiorità e aggressività della S.. Delle due, infatti, l’una: o la moglie era la classica donna debole e sottomessa dal marito violento che sopporta plurimi abusi per lungo tempo prima di denunciare, o la moglie era una persona sicura di sè, con atteggiamenti di superiorità e aggressività verso il marito, ma in tal caso dotata di una personalità incompatibile col voler "ancora una volta passare sopra" a un abuso subito da lui. Sotto l’ulteriore profilo della qualifica di imposto, anzichè spontaneo, del rapporto sessuale della notte del (OMISSIS), è evidente che non è irrilevante non tanto la omessa dichiarazione nella prima denuncia della parte offesa di essere andata al pronto soccorso per intervento delle colleghe, quanto piuttosto il fatto stesso. In realtà, appunto, quello che occorrerebbe spiegare per corroborare l’attendibilità intrinseca della dichiarazione di avere subito violenza è l’avere scelto di recarsi al lavoro come se nulla fosse stato, pur essendo in una condizione tale che le stesse colleghe se ne sarebbero accorte e avrebbero avviato al pronto soccorso. Su questo, però, la corte glissa, spostando il punto di vista sul contenuto della denuncia, qui evidentemente secondario rispetto all’interrogativo che pone oggettivamente la condotta della pretesa vittima. E anche in seguito questo elemento di condotta – che sarebbe, secondo il notorio, consequenziale a un rapporto sessuale inserito nell’ordinarietà matrimoniale, e non certo a una violenza sessuale – non viene affrontato per tentare di individuarne una giustificata connessione con un evento invece che non dovrebbe essere ordinario in una vita quotidiana che include matrimonio e impegni lavorativi.

5. La corte esamina poi i riscontri medici. Da atto che nessun riscontro sussiste per la violenza del capo B. Afferma peraltro che la parte offesa avrebbe indicato una irruenza manipolativa soltanto per questa, ma così travisa il contenuto dei due capi d’imputazione relativi alle violenze sessuali. Sia nel capo B sia nel capo D, infatti, allo stesso modo la S. ha lamentato l’introduzione di dita nella vagina. Non è quindi del tutto privo di significanza che non siano state riscontrate lesioni vaginali dopo la pretesa violenza del capo D, come evidenziava l’atto di appello. La corte, illogicamente, non si pone il problema dell’assenza delle lesioni, ma lo elude e lo scavalca, definendo la mancanza di lesioni in sede locale compatibile con la violenza. La compatibilità, essendo logicamente una eventualità, peraltro non toglie in assoluto ogni rilievo al fatto che, pur essendo state introdotte con violenza dita nella vagina, di questa manovra non vi è alcuna traccia nella vittima: e ne è consapevole anche la corte, che però cerca di recuperare l’appena effettuata elusione motivazionale tramite un’ipotesi di negligenza medica ("il referto del pronto soccorso non indica positivamente un nulla di rilevante ai genitali, il che non esclude, in astratto, una sussistenza di lesioni non considerata, ovvero non refertata"). Ipotesi chiaramente apodittica, considerato anche il motivo per cui la S. aveva dichiarato di essersi presentata al pronto soccorso. Rendendosi conto che si tratta, appunto, di un discorso "in astratto", la corte afferma allora di scendere sul piano concreto, giustificando la mancanza di lesioni con la penetrazione con fatica dichiarata dalla parte offesa, coordinata con difficoltà erettili ammesse dall’imputato. Anche qui, tuttavia, la motivazione è incongrua, perchè si innesta sempre sul travisamento del contenuto del capo D: se, in un momento di colluttazione e violenza e quindi tutt’altro che delicatamente, l’imputato ha introdotto le dita nella vagina della vittima, sarebbe stato quantomeno probabile trovare qualche riscontro di lacerazione vaginale o comunque qualche lesione in sede locale, non rilevando invece l’ulteriore manovra di introduzione del pene. Per di più, sempre secondo la descrizione del capo D, prima di riuscire a penetrarla col membro l’imputato avrebbe effettuato "vari tentativi, nonostante le resistenze della donna che cercava di divincolarsi":

anche questo condurrebbe a una probabile presenza di lesioni nella zona genitale della vittima. Eppure non c’era nulla, perchè è assolutamente contrario alla ragionevolezza attribuire ai sanitari cui una paziente si rivolge per violenza sessuale di non refertare lesioni presso gli organi genitali benchè sussistenti.

Il profilo della compatibilità violenza-mancanza di lesione, a ben guardare, è dunque illogico reputarlo sufficiente nel caso concreto a corroborare l’attendibilità delle dichiarazioni della S.. E ciò tanto più se si considera un’altra non chiara mancanza di riscontri corporei delle sue dichiarazioni. Si tratta dei segni sul collo, in ordine ai quali l’appello – racconta la corte esponendone i motivi: pagina 2 – aveva evidenziato "una inversione di rotta, non colta dal Tribunale, da parte della persona offesa che, dapprima, aveva parlato di un tentativo di soffocamento e, poi, nelle s.i.t., ha precisato che il V. non ha stretto in modo tale da farla soffocare e che i segni rossi sul collo il giorno dopo erano scomparsi". Sempre nell’esposizione dei motivi d’appello (pagina 3), la corte ha pure riportato l’argomento che la teste P. "narrando della violenza del novembre, ha affermato di aver visto il lenzuolo macchiato di sangue e segni riportati dalla figlia all’esito del tentativo di strangolamento da parte del V.". Eppure nel referto non risultavano neanche segni sul collo. Questo poteva oggettivamente introdurre dubbi, nel senso che la parte offesa – che, come si è visto, ha dato due versioni come querela, che la stessa corte territoriale definisce originaria e integrativa, e ha poi reso ulteriori dichiarazioni non del tutto coincidenti, evidentemente, con le querele in sede di s.i.t. – avesse ecceduto nel descrivere la condotta del marito, e poi, preso atto pure della mancanza di supporto nel referto medico, avesse cercato di "aggiustare il tiro".

La corte non si pone questo dubbio, risolvendo tout court nel senso che, "fermo quanto sopra in tema di mancata evidenziazione in sede di referto" – ovvero, ferma la possibilità che il referto non corrisponda alla realtà per una apodittica negligenza dei sanitari – "se si trattava di rossori dovuti a contingente iperemia, gli stessi ben potevano non esser più presenti". A prescindere dalla valutazione medica così direttamente effettuata dalla corte, è illogico negare la singolarità della situazione di rapida scomparsa o comunque di assenza di traccia fisica proprio nei due settori corporei che, per quanto si è sopra osservato, avrebbero probabilmente dovuto presentarne, cioè la zona genitale e il collo che era stato stretto con violenza (nel capo D è infatti esplicitamente esposto che, in un contesto di aggressione furiosa la quale, se realmente accadde come descritta, aveva sicuramente raggiunto un apice di violenza, vi sarebbe stata la stretta al collo:

"(l’imputato: n.d.r.) si adirava e con urla e minacce la trascinava e spingeva facendola cadere a terra e finalmente le stringeva le mani intorno al collo"). Tanto più che i segni al collo sarebbero stati visti dalla teste P., che pure avrebbe visto sangue sul lenzuolo. Il che potrebbe porre altresì il dubbio che la figlia abbia chiesto alla madre di supportare le sue dichiarazioni, da cui ha poi fatto una parziale retromarcia (come quella sul mancato strangolamento). Snodi di un ragionamento congruo che la corte pretermette, aggiungendo nuovamente tout court, a proposito delle lesioni genitali mancanti, che "un minimo di sanguinamento" non è necessariamente connesso con una lesione (asserto, secondo il notorio, tutt’altro che indiscutibile a proposito della vagina), e ciò "tenendo conto anche dell’eventuale vicinanza del periodo mensile": il che, sempre secondo il notorio, non è affatto un buon argomento, giacchè la vicinanza delle mestruazioni aumenta la presenza del sangue nella zona genitale femminile e quindi, al contrario di come asserisce la corte, non sarebbe facilmente compatibile con l’assenza di un sanguinamento anche minimo in caso di lesione; e, ad aggravare l’incongruità dell’asserto, non risulta che la parte offesa abbia dichiarato di essere prossima al ciclo mestruale, tant’è che la corte stessa inserisce nel suo argomento l’aggettivo "eventuale" ad avvalorarne ulteriormente l’inconsistenza.

6. La corte ritiene invece significative di un rapporto imposto le refertate escoriazioni e lesioni ecchimotiche alle cosce. Peraltro, in un contesto come quello appena esposto, la presenza di quanto refertato non è sufficiente a sciogliere il dubbio sull’attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, poichè tali tracce possono ben derivare anche da una colluttazione che non è pervenuta alla violenza sessuale. La posizione della corte è pertanto illogica. E ancor più illogica diventa affrontando un ulteriore scoglio all’attendibilità delle dichiarazioni della S.. Nell’esposizione dei motivi d’appello (pagina 2) la corte richiama la "strana coincidenza" che secondo l’appellante sarebbe stata ignorata dal primo giudice, consistente nel fatto che prima di recarsi, il (OMISSIS) nella casa coniugale, la parte offesa, secondo le sue stesse dichiarazioni, aveva appreso dalla madre che questa aveva litigato con il genero e aveva comunque sentito costui manifestare aggressivamente, parlando con un terzo e anche insultandola, la sua volontà di farla pagare alla moglie, la quale, però, "curiosamente" non desisteva dal recarsi dal marito. Non si può non rilevare che, secondo il senso e l’esperienza comuni, una donna di normale prudenza e intelligenza, nonchè non affetta da squilibri psicologici (ovvero, non plagiata nè masochista) che avesse già subito in più occasioni, abbastanza vicine nel tempo, aggressioni violente da parte del marito con cui stava separandosi anche per una relazione extraconiugale (si rimanda al contenuto dei primi tre capi d’imputazione, o quantomeno dei capi B e C, contenuto già di per sè sufficientemente espressivo), non si sarebbe recata da lui, appena aveva saputo che questi era adirato con lei e voleva "fargliela pagare", da sola e quindi senza nessuna cautela preventiva. E ciò contrasta altresì, si rileva ad abundantiam, col fatto che la S. non era una persona isolata, ma aveva, secondo le sue stesse dichiarazioni, normali rapporti sociali con persone che avrebbero potuto aiutarla e accompagnarla: la madre, la dottoressa F. sua amica, le colleghe che si preoccupavano per lei, e l’allievo con cui aveva una relazione. Invece la S. sarebbe andata del tutto da sola, senza neppure concordare, per esempio, telefonate di controllo della situazione da parte di altre persone di sua conoscenza. Questa scelta, alla luce della comune esperienza, contraddice l’esistenza delle condotte violente dei marito, quanto meno per i capi d’imputazione da B ad E (d’altronde il "confessato" capo A, si noti, descrive una lite familiare la cui violenza dovrebbe essere stata minima, dato che, a differenza, guarda caso, di tutti gli altri capi, non risulta che il marito abbia messo le mani addosso per far del male alla moglie, la spinta apparendo collegata all’impedimento di uscire): aveva senso recarsi dal marito, anche se questo parlando con un terzo la insultava e dichiarava che gliel’avrebbe fatta pagare, solo se il marito fosse stato una persona tutt’al più violenta con le parole, ma non pericolosa, vale a dire una persona, ancora guarda caso, corrispondente alle descrizioni ritenute dalla corte territoriale provenienti da "più o meno superficiali conoscenti" e comunque controproducenti (motivazione pagina 8), rispetto alla quale era la moglie ad assumere atteggiamenti di superiorità ed aggressività. Questa scelta, dunque, avrebbe dovuto essere attentamente vagliata dalla corte territoriale per individuare se, eccezionalmente rispetto a quanto sopra esposto che è insegnato dalla comune esperienza, e comunque perchè poteva ritenersi compatibile con la veridicità delle dichiarazioni della parte offesa, cioè non ne dimostrasse, al contrario, l’inattendibilità. Ma la corte risponde che "a fronte di tutto ciò" – riferendosi alle escoriazioni e alle ecchimosi alle cosce – le considerazioni dell’appello sull’essersi la parte offesa "comunque recata nella casa coniugale, in cui sarebbe stata da sola con il V. appaiono oziose, e piuttosto paradossali appaiono le indicazioni sullo stato psicologico della donna, tipiche più di un romanzo d’appendice che di una seria valutazione dei fatti, sottostante alla decisione di recarsi in casa". Poichè dalle dichiarazioni dell’imputato risulta che la moglie non voleva dormire con lui ma addirittura dormire in macchina, si deve escludere qualunque ritrovata cordialità del rapporti, e dà rende anche "del tutto credibile l’antefatto narrato dalla S.: essersi lei recata nella casa coniugale per avere un confronto civile con il marito, confronto tosto abortito per le intemperanze di costui, a fronte delle quali ella manifestò l’intenzione di uscire di casa per andare a dormire (non in macchina, ma) da sua madre, cosa che il V. le impedì, mettendole le mani addosso". Ora, a parte i tratti pittoreschi e forse non del tutto conformi a una motivazione giurisdizionale come il riferimento ai romanzi d’appendice, non si percepisce il collegamento logico tra gli elementi esposti, in una situazione di precedenti plurime aggressioni, non si vede proprio, infatti, come può essere sufficiente a rendere credibile che la S. sia andata nella casa coniugale "per avere un confronto civile con il marito" il fatto che il marito abbia dichiarato che la moglie non voleva dormire con lui. Il problema non è l’esistenza o meno di un recupero sul piano matrimoniale, bensì la manifestazione di fiducia di poter attuare "un confronto civile" che la S. avrebbe posto in essere recandosi da sola da un delinquente violento.

Poichè la S. non risulta una persona sprovveduta, squilibrata, affetta da deficit cognitivi, una simile condotta rimane senza spiegazione nella motivazione della corte, che preferisce dispiegarsi analiticamente su ulteriori particolari di ben minor spessore (come quello del giocattolo del figlio) e qualifica "oziose" "le considerazioni dell’atto d’appello sul fatto che la S. si è comunque recata nella casa coniugale". In realtà, non si tratta di rilievi oziosi, bensì dell’individuazione di un grave elemento intrinseco di illogicità presente nel racconto della pretesa vittima; elemento che non può essere eluso tanto più tenendo in conto la natura della testimonianza della parte offesa, cioè la necessità di una verifica più intensa e più severa della attendibilità della stessa. Se il marito era un uomo pericoloso e violento, la motivazione non spiega perchè la donna si recò da lui da sola, pur avendo ben saputo che era in un momento di ira nei suoi confronti; se non lo era, cade l’attendibilità della teste per tutti i capi di imputazione in cui, sulla base delle dichiarazioni della moglie, all’imputato sono state attribuite condotte gravemente violente, cioè, come già rilevato, i capi da B a E. Non superato questo problema, non è condivisibile l’asserto della corte territoriale sull’esistenza di "un corposo quadro di attendibilità intrinseca ed estrinseca nella narrativa della S."; e ciò a tacere anche sulle ulteriori criticità rappresentate, si è visto, dalle modalità graduali di conformazione dell’accusa, dalla condotta posteriore alla pretesa violenza del 5 novembre (al lavoro come in un giorno qualunque: del tutto insufficienti, si nota, al riguardo, le pretese connotazioni caratteriali della S. di pudore, che la stessa corte richiama per altro motivo, cioè per le confidenze alle testi P. e F.) e dagli esiti del referto medico quanto all’assenza di tracce nei genitali e al collo. Il vizio motivazionale denunciato, pertanto, sussiste, non avendo la corte esternato una verifica adeguata dell’attendibilità della teste sulla base fondamentalmente delle cui dichiarazioni ha ritenuto la responsabilità dell’imputato. La sentenza, in conclusione, deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.

La tipologia dei reati esige l’oscuramento dei dati identificativi delle persone coinvolte per rispetto del Codice della riservatezza.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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