Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Ritenuto in fatto.
1. Il 27.8.2010 il Tribunale di sorveglianza di Brescia dichiarava la propria incompetenza territoriale a provvedere sull’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da T. R. in relazione alla condanna di cui alla sentenza del 19.1.2004 della Corte di appello di Brescia, rilevando che il titolo esecutivo in relazione al quale il predetto aveva presentato l’istanza era stato poi ricompreso nel cumulo emesso dalla Procura della Repubblica dl Grosseto in data 7.5.2010 e che l’istante era attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Piacenza.
2. Il 3.3.2011 Il Tribunale di sorveglianza di Bologna, al quale erano stati trasmessi gli atti, declinava la propria competenza territoriale e disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte per la risoluzione del conflitto, osservando che le istanze erano state avanzate dal T. in relazione alla sentenza della Corte di appello di Brescia del 19.1.2004, divenuta irrevocabile il 28.5.2004, la cui esecuzione era stata sospesa dalla competente Procura della Repubblica in data 16.6.2004 con successiva trasmissione degli atti al competente Tribunale di sorveglianza ex art. 656 comma 5 cod. proc. pen. Pertanto, la circostanza che molto tempo dopo detto titolo sia stato ricompreso nel provvedimento di pene concorrenti deve ritenersi del tutto irrilevante per il principio della perpetuatio iurisdictionis, alla luce dei principi fissati da questa Corte.
Considerato In diritto.
1. Il conflitto sussiste, in quanto due giudici contemporaneamente ricusano la cognizione del medesimo fatto loro deferito, dando così luogo a quella situazione di stallo processuale, prevista dall’art. 28 c.p.p., la cui risoluzione è demandata a questa Corte dalle norme successive.
2. Va ribadito quanto già affermato da questa Corte riferimento ad una medesima fattispecie, trattandosi di principi totalmente condivisi dal Collegio. «La competenza per territorio della magistratura di sorveglianza è disciplinata dall’art. 677 cod. proc. pen. in relazione aIla condizione in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio d’ufficio del relativo procedimento. Nel caso in esame assume rilevanza il disposto di cui all’art. 677, comma 2, cod. proc. pen. in base al quale, quando l’interessato non è detenuto o internato, la competenza, se la legge non dispone diversamente appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo in cui l’interessato ha la residenza o il domicilio. Se la competenza non può essere determinata secondo il criterio sopra indicato, essa appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere e, nel caso di più sentenze di condanna o di proscioglimento, al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza divenuta irrevocabile per ultima”.
Come si ricava dall’interpretazione letterale della norma, essa si applica “se la legge non dispone diversamente”, sicché quelli previsti dalla citata disposizione assumono il rango di criteri generali di competenza, ai quali, peraltro, la legge può apportare deroghe.
Come affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (n. 38171 del 2008, n. 38047 del 2005 e n. 47881 del 2004), una di tali deroghe è costituita dalla previsione contenuta nell’art. 656, comma 6, cod. proc. pen. secondo cui l’istanza va trasmessa al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha promosso la sospensione dell’esecuzione. Viene, così, stabilito un criterio specifico che determina la competenza del tribunale di sorveglianza, in base ad un parametro diverso dal luogo di residenza o di domicilio. Questa Corte ha avuto modo di affermare che la competenza per territorio del tribunale di sorveglianza, radicatasi ai sensi della norma ora citata, rimane ferma anche qualora sopravvengano altri titoli esecutivi sulla base di sentenze definitive di condanna pronunciate da giudici di diverso distretto di corte d’appello. In tal caso è applicabile il principio della perpetuazio jurisdictionis, secondo il quale, una volta radicatasi la competenza per territorio con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta di una misura alternativa alla detenzione, tale competenza resta insensibile agli eventuali mutamenti che tale situazione può subire in virtù di altri successivi provvedimenti (Sez. 1, 17 dicembre 2004, n. 198, rv. 230544; Sez. 1, 28 giugno 1993, n. 3084, rv. 1). Si tratta di un criterio di orientamento certo ed obiettivo, che, in presenza della stessa domanda di concessione di una misura alternativa alla detenzione, consente di evitare il trasferimento del procedimento di sorveglianza davanti a giudici di volta in volta diversi, in relazione al continuo aggiornamento della posizione esecutiva di un condannato.
La ratio di tale criterio risiede nell’esigenza di garantire una volta intervenuta la sospensione dell’esecuzione, la celerità del procedimento ed il collegamento con il pubblico ministero che ha disposto la sospensione (cfr. Corte cost. n. 178 del 2009). Sulla base di queste considerazioni è possibile affermare che, qualora, dopo la presentazione, da parte del condannato dell’istanza di
accesso ad una misura alternativa alla detenzione in riferimento alla pena inflitta con una o più sentenze definitive, sopraggiungano altre decisioni irrevocabili di condanna emesse da giudici di diversi distretti di corte d’appello e tali sentenze siano assorbite in apposito provvedimento di cumulo adottato dal pubblico ministero territorialmente competente ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen., rimane ferma, in attuazione del principio stabilito dall’art. 656, comma 6, cod. proc. pen., la competenza per territorio del tribunale di sorveglianza radicatasi con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta della misura alternativa» (Sez. 1, n. 1137, 24/11/2009, Savino, rv. 245948).
3. In conformità con detti principi, nel caso di specie deve essere dichiarata la competenza del Tribunale di sorveglianza di Brescia, cui il T. aveva avanzato l’istanza volta all’ammissione alle misure alternative all’esito del provvedimento di sospensione dell’ordine di carcerazione, emesso, ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. dalla competente Procura della Repubblica.
P.Q.M.
Dichiara la competenza del Tribunale di sorveglianza di Brescia cui dispone trasmettersi gli atti.
Depositata in Cancelleria il 05.09.2011
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