Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 03-04-2013, n. 15366

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 16 giugno 2009 la Corte d’appello di Roma rigettava istanza depositata il 25 settembre 2008 da P. A. avente oggetto riparazione per ingiusta detenzione in carcere e agli arresti domiciliari in un processo in cui gli era stato contestato il delitto di tentato omicidio ed era stato assolto per legittima difesa. Avverso l’ordinanza suddetta – che aveva respinto l’istanza per assunta incompatibilità della formula d’assoluzione – P. aveva presentato ricorso per cassazione, ottenendo da questa Suprema Corte l’annullamento con rinvio con sentenza del 3 giugno 2010. Quale giudice di rinvio, quindi, si pronunciava ancora la Corte d’appello di Roma, con ordinanza del 29 marzo 2011 che nuovamente rigettava l’istanza, in quanto P. sarebbe stato assolto a seguito della modifica dell’art. 52 c.p. effettuata dalla L. n. 59 del 2006.

2. Avverso quest’ultima ordinanza il difensore di P. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo: violazione dell’art. 314 c.p.p. in relazione all’art. 2 c.p., sostenendo che la disciplina della legittima difesa non è mutata nella sostanza e che comunque, anche qualora fosse mutata, in caso di successioni di leggi penali spetta comunque la riparazione per l’ingiusta detenzione.

Ha presentato memoria l’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sostenendo l’infondatezza del ricorso;

ha depositato requisitoria scritta la Procura Generale presso questa Suprema Corte, ritenendolo invece fondato.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato.

In ordine alla descrizione del fatto imputato al P. l’ordinanza impugnata richiama l’accertamento, passato in giudicato, effettuato dalla sentenza emessa dalla Corte d’appello di Roma in data 19 giugno 2006 che ha assolto P. "perchè non punibile ex art. 52 c.p.". Contro P. si verificò un’aggressione all’interno della sua officina da varie persone tra cui tale T. M., inutilmente invitato dall’aggredito ad allontanarsi;

P. "(impossibilitato a sottrarsi agevolmente agli aggressori per la molteplicità degli stessi e le ridotte dimensioni del luogo) si opponeva all’aggressione facendo uso di un coltello legittimamente detenuto" colpendo all’addome T.. Il fatto era avvenuto il (OMISSIS). La sentenza, osserva sempre l’ordinanza impugnata, aveva ritenuto che "nel caso in esame sussistevano tutti i presupposti per l’applicazione (ex art. 2 c.p., comma 4) della nuova disciplina concernente la scriminante della legittima difesa".

Essendo stata applicata la nuova disciplina, deduce l’ordinanza, la soluzione non può dare luogo alla riparazione, dovendosi considerare la situazione normativa al momento dell’instaurazione e del mantenimento della misura custodiale; in particolare "in tale momento, avuto riguardo alla normativa all’epoca vigente e secondo la ricostruzione fattuale operata in entrambi i gradi del giudizio, al P. doveva addebitarsi una evidente sproporzione della reazione difensiva, che impediva il riconoscimento della legittima difesa".

La decisione della corte è stata evidentemente sviata dal fatto che la sentenza di primo grado aveva dichiarato P. colpevole di tentato omicidio sulla base di una assunta sproporzione della reazione difensiva, e la sentenza di secondo grado aveva richiamato l’intervenuta modifica normativa. In realtà, non vi è alcuna incidenza nella fattispecie di tale modifica. La L. 13 febbraio 2006, n. 59, art. 1 ha infatti aggiunto due commi all’art. 52 c.p. senza peraltro modificare quello che originariamente era l’unico, ora comma 1 dell’articolo. E’ vero che la modifica normativa ha inserito una presunzione di proporzionalità per i casi previsti dal secondo e dal terzo comma. Ciò tuttavia non esclude che la proporzionalità potesse sussistere nelle circostanze descritte dai due nuovi commi anche prima di tale jus novum: vale a dire, non si può presumere al contrario che, se l’aggressione è avvenuta in un luogo dove l’aggredito esercitava la sua attività professionale anteriormente alla novella, una reazione violenta con arma sia stata sproporzionata al pericolo attuale di offesa ingiusta.

Nel caso di specie, la descrizione dell’aggressione richiamata dalla stessa ordinanza evidenzia che si era dinanzi a un caso tipico di legittima difesa: P. era stato aggredito da più persone, non poteva "sottrarsi agevolmente" a queste per la loro molteplicità e per le ridotte dimensioni del luogo, cioè non poteva fuggire, era come in trappola, ma comunque prima di difendersi con il coltello aveva invitato – inutilmente – l’aggressore ad andarsene. La ricostruzione dei fatti in tal modo avrebbe dovuto comportare, quanto meno dopo il periodo di tempo strettamente necessario per raccogliere gli elementi essenziali, la revoca di ogni cautela personale: invece P. è stato tenuto per più di sei mesi agli arresti, prima in carcere (dal giorno del fatto, il (OMISSIS)) e poi al domicilio (dal (OMISSIS)).

Il diniego della riparazione ex art. 314 c.p.p. costituisce dunque nel caso in esame violazione della suddetta norma.

Ma anche qualora si ritenesse che l’assoluzione sia derivata dalla modifica normativa, si osserva che comunque sussisterebbe violazione dell’art. 314 c.p.p., che al quinto comma circoscrive l’esclusione del diritto alla riparazione all’ipotesi di abolitio criminis (Cass. sez. 4, 24 giugno 2008 n. 30072; Cass. sez. 4, 23 aprile 2001 n. 22927). Nel caso di specie non vi è stata abrogazione di norma incriminatrice, bensì chiarificazione, mediante una presunzione di proporzionalità a favore della reazione di difesa in luoghi di domicilio o ad esso equiparabili, del concetto di proporzionalità già evindbile dal primo, e originariamente unico, comma dell’art. 52 c.p., per sedare talune incertezze del diritto vivente e rafforzare il diritto di autotutela in tali luoghi del privato (cfr. p, es.

Cass. sez. 1, 27 maggio 2010 n. 23221; Cass. sez. 1, 8 marzo 2007 n. 16677); e in ogni caso non è equiparabile l’abrogazione, anche parziale, della norma incriminatrice all’ipotesi di successione di leggi penali (Cass. sez. 4, 22 novembre 2000-23 gennaio 2001 n. 2651), aventi inoltre per oggetto una norma scriminante.

In conclusione, l’ordinanza deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2013
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