Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-07-2012, n. 13191

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Svolgimento del processo
Il 19 giugno 2002 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da C.I., G.A. e P.A. nei confronti della società M. V. e condannava la convenuta al pagamento dei canoni non corrisposti a seguito dell’illegittimo recesso della società dal contratto di locazione relativo ad un immobile adibito a magazzino sito in (OMISSIS).
Su gravame della M. V. di P. D.e C. s.n.c. la Corte di appello di Roma in data 11 ottobre 2006 confermava la sentenza di prime cure.
Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la M. V., affidandosi a due motivi.
Resistono con controricorso C.I., G.A., D.S.T., P.S. e P.C., in qualità di eredi di P.A..
Su istanza di trattazione L. 12 novembre 2011, n. 183, ex art. 26, il ricorso è stata fissato per l’odierna pubblica udienza.
Entrambe le parti hanno depositate rispettive memorie.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo, redatto e strutturato sotto due profili (violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455, 1460 c.c., art. 1575 c.c., n. 2 e art. 1576 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – primo profilo; violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – omessa motivazione su un punto decisivo della controversia – secondo profilo), che possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, in sostanza la ricorrente società si duole che il giudice dell’appello, così come il Tribunale prima, non abbia tenuto conto della continue dimostranze fatte da essa conduttrice, per cui il suo comportamento in merito alle infiltrazioni esistenti nel locale, che lo avrebbero reso inagibile, non poteva considerarsi "tollerante" (p. 10 ricorso).
Immotivatamente, poi, sarebbe stata ignorata la prova documentale acquisita agli atti, dalla quale si sarebbe potuto ricavare la colpevole inerzia dei locatori.
2. – Le doglianze vanno disattese, pur corredandosi di quesiti ai limiti dell’ammissibilità.
Infatti, e contrariamente a quanto deduce la società ricorrente, non risponde al vero che il giudice dell’appello non abbia esaminato la corrispondenza intercorsa tra la conduttrice e i locatori e non abbia considerato la CTU versata in atti.
Al riguardo, va precisato, in linea di principio, che la condotta del locatario non è idonea a legittimarne il recesso della L. 27 luglio 1978, n. 392, ex art. 27, qualora, stante la contestazione dei locatori, il primo abbia tenuto una condotta, anche documentalmente provata, dalla quale si evinca che a fronte delle infiltrazioni già presenti poco dopo la conclusione del contratto, come nella specie, vi sia stato l’utilizzo ed il godimento dell’immobile per una lungo periodo di tempo – nel caso in esame circa sette anni dalla stipula del contratto – (v. Cass. n. 15058/08).
In altri termini, se non si sono sostanziati fatti involontari, imprevedibili e/o sopravvenuti alla costituzione del rapporto tali da rendere oltremodo gravoso per il conduttore sotto il profilo economico la prosecuzione del rapporto locatizio, la condotta prolungata del conduttore si configura come ostacolo alla reclamabilità dei gravi motivi e viene a connotare di illegittimità il suo recesso (Cass. n. 9443/10).
Peraltro, le violazioni denunciate e formulate non sembrano riguardare la soluzione di una questione di diritto.
Anzi, esse sono intese a contestare la motivazione della impugnata sentenza e non si concretano, in buona sostanza, in una critica logico-giuridica della decisione sul punto.
Di vero, esse non indicano quale sia l’errore di diritto in cui sia incorso il giudice del merito nè quale sia, secondo la prospettazione della ricorrente, la regola diversa da applicare una volta emerse determinate risultanze processuali.
Nella specie, è sufficiente la lettura dei quesiti (p. 12 ricorso) per rendersi conto della generica deduzione dell’obbligatorietà dell’accertamento giudiziale circa l’asserito inadempimento ex art. 1453 c.c., posto che il giudice del merito ha potuto affermare che la parzialità dell’inconveniente, dato dalle infiltrazioni, e il comportamento della conduttrice escludevano l’inadempimento di importanza rilevante secondo i dettami di cui all’art. 1455 c.c. (p. 5 sentenza impugnata).
Peraltro, va anche posto in rilievo che le infiltrazioni erano già in atto quasi sin dall’inizio del rapporto, ma ciò non aveva impedito il proficuo svolgimento dell’attività lavorativa per un lungo periodo (contratto stipulato il 7 ottobre 1992 – recesso comunicato il 10 giugno 1999 – p. 4 sentenza impugnata).
3. – Di qui l’assorbimento del secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1464 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia – p. 13 ricorso), che, peraltro, non sembra cogliere nel segno la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Infatti, da un lato si invoca l’art. 1464 c.c., evidentemente nella parte in cui giustifica il recesso dal contratto quando non si abbia un interesse apprezzabile al suo adempimento, dall’altro non si indica quale sarebbe stato il venir meno dell’interesse a continuare ad adempiere, atteso che non solo la impossibilità parziale era vanificata dall’utilizzo del bene per lungo periodo, ma nemmeno vengono indicati ovvero allegati i danni che essa ricorrente avrebbe subito.
Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore dei resistenti delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012

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