Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 03-04-2013, n. 15308

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con ordinanza del 06/04/2012, il Tribunale di Reggio Calabria rigettava l’istanza del G.F.A. (indagato per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso – denominata "ndrangheta" e nella sua articolazione territoriale "X" -, detenzione illegale di armi e munizioni, tentata estorsione aggravata continuata, attribuzione fittizia della titolarità della ditta "S & C. s.n.c." al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e resistenza a P.U.; tutti i reati – ad esclusione del primo – aggravati, tra l’altro, dalla L. n. 203 del 1991, art. 7) di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’imputato propose appello, ma il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, con ordinanza del 16/07/2012, la respinse.
Ricorrono per cassazione gli Avvocati Gi. B. A. e S. I. deducendo il difetto di motivazione e la sua manifesta irrazionalità per omessa considerazione dei risultati della C.T. medica che certificava un aggravamento delle condizioni di salute del ricorrente; carenza motivazionale in ordine alle condizioni di salute della moglie dell’indagato madre di una bambina di 5 anni; il non aver considerato che l’aggravamento della malattia del ricorrente unitamente alla malattia della moglie potessero costituire quegli elementi nuovi che potevano incidere sulla valutazione globale del quadro delle esigenze cautelari.
La difesa del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia -come nel caso di specie – compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 c.p.p., lett. c) in relazione all’art. 581 c.p.p., lett. c), perchè le doglianze (sono le stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti il Tribunale – richiamando anche l’ordinanza impugnata – ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, sottolineato tutte le ragioni per le quali rigetta la richiesta. In particolare per quanto riguarda la salute dell’indagato evidenzia: tutti gli accertamenti medico legali disposti; perchè ritiene condivisibili le conclusioni del Collegio Peritale contenute nella relazione del 27.03.2012 (si vedano le pagine 5 e 6 dell’impugnata ordinanza); perchè quanto esposto dal C.T. della difesa (relazione del dott. T. datata 10.06.2012) non inficia le conclusioni del Collegio Peritale (si veda pag. 6 dell’impugnata ordinanza). Per quanto riguarda le condizioni di salute della moglie del ricorrente, il Tribunale esclude – con motivazione incensurabile in questa sede – che siano tali da impedirle di assistere la figlia e che pertanto non può trovare applicazione nel caso di specie la disciplina prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 4, (si veda pag. 6 dell’impugnata ordinanza). Pertanto è evidente la manifesta infondatezza della doglianza relativa al fatto che il Tribunale non avrebbe considerato che l’aggravamento della malattia del ricorrente unitamente alla malattia della moglie potessero costituire quegli elementi nuovi che potevano incidere sulla valutazione globale del quadro delle esigenze cautelari.
In realtà – come si è sopra evidenziato – il Tribunale ha correttamente preso in considerazione tutti gli elementi relativi alle condizioni di salute del ricorrente e della moglie, ma ha escluso che potessero portare all’accoglimento dell’istanza del G..
Per quanto riguarda il decorso del tempo il Tribunale correttamente richiama il principio più volte affermato da questa Suprema Corte secondo il quale in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (si veda: Sez. 5, Ordinanza n. 16425 del 02/02/2010 Cc. – dep. 27/04/2010 – Rv. 246868; Sez. 2, Sentenza n. 21424 del 20/04/2011 Cc. – dep. 27/05/2011 – Rv. 250253). Si parla quindi del decorso del tempo di esecuzione della misura e non del tempo trascorso dalla commissione del reato. Quanto sopra evidenziato rivela chiaramente perchè non incida sull’odierno giudizio il generico richiamo – effettuato nel ricorso -al principio di questa Suprema Corte secondo il quale in tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al "tempo trascorso dalla commissione del reato" di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacchè ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (fattispecie di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in relazione a fatti commessi più di tre anni prima; Sez. U, Sentenza n. 40538 del 24/09/2009 Cc. – dep. 20/10/2009 – Rv. 244377). Infatti, la valutazione di cui sopra – come detto – è stata già effettuata dal G.I.P. al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo e dai vari giudici che si sono, eventualmente, occupati della questione nel procedimento del riesame. E’ appena il caso di rilevare che il "tempo trascorso dalla commissione del reato" deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c), da parte del giudice che emette l’ordinanza di custodia cautelare; analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 c.p.p. ai fini della revoca o sostituzione della misura (Sez. 2, Sentenza n. 47416 del 30/11/2011 Cc. – dep. 21/12/2011 – Rv. 252050; Sez. 2, Sentenza n. 47416 del 30/11/2011 Cc. – dep. 21/12/2011 – Rv. 252050).
Infine, si deve rilevare che il Tribunale ha confermato la decisione del G.I.P. prendendo in considerazione tutte le doglianze della difesa, rigettate con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria.
A fronte di ciò, come si è già detto, il ricorrente contrappone solo generiche contestazioni. In proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante:
Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *