Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 03-04-2013, n. 15307

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Svolgimento del processo
Con ordinanza del 24/05/2012, il G.I.P. del Tribunale di Napoli rigettava l’istanza del D. (indagato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso – associazione camorristica denomina clan "X"-) di revoca della misura cautelare della custodia in carcere.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’imputato propose appello, ma il Tribunale di Napoli, con ordinanza dell’11/07/2012, la respinse sottolineando che nell’appello non era stato evidenziato alcun elemento nuovo che consentisse una rivalutazione del quadro indiziario e cautelare così come era stato già valutato dallo stesso Tribunale solo cinque mesi prima.
Ricorre per cassazione D.L. contestando – dopo aver esposto vari principi di diritto di questa Corte Suprema – il fatto che il giudicato cautelare possa impedire di valutare se la misura sia ancora proporzionata al fatto concreto e se sussistono ancora i presupposti che hanno giustificato l’applicazione della misura.
Segnala, poi, che per alcuni coindagati è stata annullata l’ordinanza custodiale e che proprio tale fatto costituisce fatto nuovo.
Il ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 591 c.p.p., lett. c) in relazione all’art. 581 c.p.p., lett. c), perchè le doglianze (sono le stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, il Giudice di merito espone, in modo chiaro ed esaustivo, che: si è formato il giudicato cautelare sia sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia sulle esigenze cautelari che si è ritenuto salvaguardate solo dalla misura della custodia in carcere (nel caso di specie trattandosi di imputazione di appartenenza ad associazione a delinquere di stampo mafioso e sussistendo le esigenze cautelari, la custodia in carcere è obbligatoria ex art. 275 c.p.p., comma 3); che nella richiesta di revoca si ripropongono le stesse questioni già valutate e decise dallo stesso Tribunale solo cinque mesi prima; che inoltre nella richiesta di revoca si afferma che non vi sono elementi che dimostrano l’appartenenza del D. all’associazione mafiosa, ma che tale affermazione si fonda sulla base non di elementi di fatto nuovi, ma solo sulla base dello stesso materiale probatorio già esaminato dal Tribunale del riesame.
Si deve, in proposito, ricordare che questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che in tema di misure cautelari (nella specie: personali) l’effetto preclusivo di un precedente giudizio cautelare viene meno soltanto in presenza di un successivo, apprezzabile, mutamento del fatto; ne consegue che, in difetto di nuove acquisizioni probatorie che implichino un mutamento della situazione di fatto sulla quale la decisione era fondata, le questioni dedotte a sostegno di una richiesta di revoca presentata dall’interessato restano precluse (fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto che nè le consulenze di parte nè le perizie possono determinare un apprezzabile mutamento di fatto che consenta di superare il cosiddetto "giudicato cautelare"; Sez. 5, Sentenza n. 17986 del 09/01/2009 Cc. – dep. 30/04/2009 – Rv. 243974; si veda anche Sez. U, Sentenza n. 18339 del 31/03/2004 Cc. – dep. 20/04/2004 – Rv. 227359). Inoltre, una volta formatosi il giudicato cautelare, solo la sopravvenienza di fatti nuovi può giustificare la rivalutazione di quelli già apprezzati e rendere possibile la revoca o la modifica della misura applicata (fattispecie in tema di revoca della custodia cautelare in carcere; Sez. 1, Sentenza n. 19521 del 15/04/2010 Cc. – dep. 24/05/2010 – Rv. 247208).
A fronte di ciò, come si è già detto, il ricorrente – dopo aver citato astratti principi di diritto di questa Corte Suprema – contrappone solo generiche contestazioni affermando solo che l’elemento di fatto nuovo sarebbe costituito dall’annullamento dell’ordinanza custodiale per altri suoi coindagati. Sul punto non dice null’altro nè tantomeno indica perchè tale fatto potrebbe incidere sulla sua posizione. Si rileva che il "fatto nuovo" rilevante ai fini della revoca ovvero della sostituzione della misura coercitiva con altra meno grave, deve essere costituito da elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari apprezzate all’inizio del trattamento cautelare con riferimento al singolo indagato (od imputato), risultando all’uopo inconferenti sia il mero decorso del tempo dall’inizio dell’applicazione della misura, che il "bilanciamento" con la valutazione ("in melius") delle esigenze cautelari operata in relazione a coindagati o coimputati (Sez. 2, Sentenza n. 39785 del 26/09/2007 Cc. – dep. 26/10/2007 – Rv. 238763; Sez. 5, Ordinanza n. 16425 del 02/02/2010 Cc. – dep. 27/04/2010 – Rv. 246868; Sez. 2, Sentenza n. 21424 del 20/04/2011 Cc. -dep. 27/05/2011 – Rv. 250253).
Inoltre, in tema di giudicato cautelare, non costituisce fatto nuovo, idoneo a modificare il quadro indiziario già valutato in sede di riesame ed a legittimare la revoca della misura, il mero fatto dell’adozione, sempre in sede cautelare, di una decisione di segno favorevole nei confronti del coindagato, potendo al più assumere rilevanza – ma non è questo il caso visto quanto affermato dal Tribunale e l’assoluto silenzio sul punto del ricorrente – gli elementi per la prima volta eventualmente acquisiti e valutati in quel contesto rispetto al quadro indiziario già posto alla base della confermata misura a carico dell’istante (Sez. 6, Sentenza n. 4993 del 03/12/2009 Cc. – dep. 08/02/2010 – Rv. 246076).
In conclusione appare opportuno ricordare che questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 -dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal cit. art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2013

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