Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 03-04-2013, n. 15305 Impugnazioni

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Svolgimento del processo

Con ordinanza del 13.01.2012, il G.I.P. del Tribunale di Lecce rigettò l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di fase ex art. 303 c.p.p., lett. a) con riferimento all’art. 297 c.p.p. proposta da M.R. (indagato per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73).

Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di riesame. Il Tribunale di Lecce, con ordinanza del 21.02.2012, in parziale accoglimento del gravame dichiarava l’inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere disposta con l’ordinanza del GIP di Lecce in data 13-01-2012 limitatamente alla cessione di droga a tale S.R. di cui al capo B) della relativa imputazione, con formale ordine di scarcerazione e rigetto nel resto per i residui addebiti, in difetto dell’invocata connessione qualificata tra i fatti delle misure relative ai due distinti procedimenti (proc. pen. n. 7085/0 RGNR in ordine al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e n. 10152/07 – RGNR attinente i reati ex D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73) e della desumibilità dagli atti dei fatti di cui alla seconda ordinanza al momento dell’emissione della prima misura, ad eccezione del reato sub B) di cui al richiamato dispositivo della decisione del Tribunale del riesame leccese.

Avverso l’ordinanza del Tribunale di cui sopra, l’indagato ricorse per Cassazione. La Sesta Sezione di questa Corte – con sentenza del 21.06.2012 accolse il ricorso e pertanto annullò l’ordinanza impugnata e rinviò per nuovo esame al Tribunale di Lecce. In particolare nella sentenza si evidenzia che ancorchè in punto di asserita esclusione della c.d. "connessione qualificata" ai fini della applicabilità del disposto dell’art. 297 c.p.p. in relazione all’art. 303 c.p.p., lett. a) l’impugnata ordinanza abbia offerto una risposta formalmente corretta, non altrettanto è a dirsi quanto alla verifica della desumibilità dagli atti, al momento dell’emissione della prima ordinanza, dei fatti oggetto della contestazione della seconda ordinanza intramuraria. In sostanza si è immotivatamente limitata l’indagine al solo aspetto attinente la contestazione dell’illecita cessione al S.R. (capo B), trascurando una motivata e necessaria valutazione puntuale e segnatamente individualizzante dell’intero compendio accusatorio a carico dell’indagato il che confligge, anche in termini di coerente esaustività della motivazione, con l’obbligo demandato al giudice procedente di una verifica non meramente "parcellizzata" dei fatti, nei termini di rappresentativa rilevanza, tracciati dal combinato disposto degli artt. 303 e 297 c.p.p. segnatamente riferiti al comma 3 ultima parte di tale disposizione. La sentenza di questa Corte evidenzia, infine, che a conferma di quanto innanzi rilevato, va richiamato il passaggio motivazionale di cui all’impugnata ordinanza in cui si sottolinea che "almeno una parte" del reato di cui al capo B) dell’ordinanza relativa al p.p. n. 10152/07 RGNR, fosse nota al PM del pp.7085/05 RGNR, senza però che tale asserzione si accompagnasse ad una motivata verifica della complessiva portata dell’imputazione, a tacere del fatto che detta indagine avrebbe potuto eventualmente portare un contributo anche ad una più approfondita verifica in merito alla correttezza dell’asserita insussistenza della connessione qualificata tra le due ordinanze intramurarie.

Il Tribunale di Lecce in sede di rinvio con ordinanza del 10.08.2012 ribadì le conclusioni cui era pervenuto con il provvedimento annullato e quindi in parziale accoglimento del gravame dichiarò l’inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere disposta con l’ordinanza del GIP di Lecce in data 13-01-2012 limitatamente alla cessione di droga a tal S.R. di cui al capo B) della relativa imputazione, con formale ordine di scarcerazione e rigetto nel resto per i residui addebiti.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato eccependo la violazione dell’art. 627 c.p.p.; infatti nonostante quanto fissato dalla questa Suprema Corte il Tribunale ha di nuovo escluso il vincolo della connessione ex art. 12 c.p.p., lett. b) cosa evidentemente non possibile in forza delle censure della sentenza di annullamento sul punto. Inoltre il difensore del M. deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) in relazione all’art. 297 c.p.p., comma 3, e art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b) per violazione di legge e motivazione illogica e manifestamente contraddittoria in punto di asserita non desumibilità dagli atti dei fatti attinenti la seconda ordinanza custodiale fin dalla data di emissione della prima, avuto riguardo allo sviluppo modale e temporale di tali fatti, come emergente dagli atti tempestivamente conoscibili dall’AG procedente, nonchè in punto di erronea esclusione della connessione qualificata. Il ricorrente contesta, in particolare, che la non perfetta coincidenza della componente soggettiva delle due associazioni possa escludere che l’una costituisca l’evoluzione dell’altra. Evidenzia, inoltre, come nella parte riassuntiva contenuta a pag. 5 dell’impugnata ordinanza emerga, chiaramente, la violazione di legge e il palese difetto di motivazione censurati; sottolinea, poi, che dalle argomentazioni contenute dalla metà di pag. 6 in avanti dell’impugnata ordinanza si ricavano tutti gli elementi utili per il riconoscimento della connessione nei due procedimenti penali. Sarebbe proprio l’attività di spaccio del M. in favore di S.R. a dimostrare la connessione tra i due procedimenti. Ricorda, infine, vari elementi dai quali emerge con chiarezza la desumibilità dagli atti dei fatti attinenti la seconda ordinanza custodiale fin dalla data di emissione della prima.

Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento senza rinvio dell’impugnata ordinanza.

Motivi della decisione

Si deve preliminarmente affrontare la questione evidenziata a pagina 2 del ricorso avente per oggetto la composizione del Tribunale che ha deciso in sede di rinvio. In particolare si evidenzia che il Giudice relatore è lo stesso dell’ordinanza annullata da questa Suprema Corte. Il difensore dell’indagato pur non avanzando una specifica richiesta di annullamento per tale fatto cita una sentenza di questa Corte nella quale si afferma che la designazione del giudice di rinvio attribuisce la competenza funzionale a giudicare in sede di rinvio (in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato l’ordinanza del tribunale del riesame, designato in sede di rinvio, in quanto adottata da un collegio che comprendeva due membri già facenti parte del collegio che aveva emesso la prima ordinanza annullata; Sez. 3, Sentenza n. 1410 del 11/10/2011 Cc. – dep. 17/01/2012 – Rv. 251874). Si deve però rilevare che leggendo la motivazione della sentenza si comprende agevolmente che il caso affrontato dalla Corte e di cui alla massima sopra riportata è completamente diverso da quello di cui oggi ci occupiamo. Infatti in tale sentenza si afferma che "la precedente sentenza di annullamento di questa Corte aveva espressamente disposto il rinvio al "Tribunale di L’Aquila in diversa composizione personale". L’ordinanza emessa in sede di rinvio, invece, è stata adottata da un collegio che comprendeva due membri che avevano fatto parte del collegio che aveva emesso la prima ordinanza annullata. Si tratta di una questione che attiene non tanto (o non solo) alla incompatibilità del giudice, quanto piuttosto (anche) alla competenza funzionale del collegio.

E’ noto infatti che la designazione del giudice di rinvio da parte della sentenza di annullamento attribuisce a questo giudice la competenza funzionale a giudicare in sede di rinvio, ed è noto altresì che "in forza del combinato disposto dell’art. 25 c.p.p. e art. 627 c.p.p., comma 1, nel giudizio di rinvio non può essere rimessa in discussione la competenza attribuita con la sentenza di annullamento" (Sez. 1, 11.12.2007, n. 1511, Lorenzo, m. 238844); che "l’irretrattabilità del c.d. foro commissorio stabilita dall’art. 627 c.p.p., secondo il quale nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione, costituisce principio di ordine generale e di carattere assoluto, la cui unica eccezione è quella prevista dall’art. 25, per il caso di sopravvenienza di fatti nuovi" (Sez. 1, 13.6.2003, n. 30172, Corderà, m. 225503); e che "non è deducibile in sede di legittimità il difetto di competenza del giudice di rinvio che abbia pronunciato sentenza a seguito di pronunciato annullamento con rinvio della Corte di Cassazione, in violazione dell’art. 623 c.p.p., lett. c), senza che si sia successivamente fatto ricorso alla procedura di correzione dell’errore prevista dall’art. 130 c.p.p., essendosi il giudice di merito correttamente attenuto al principio fissato dall’art. 627 c.p.p., comma 1, che non consente di discutere la competenza fissata nella sentenza di annullamento) (Sez. 3, 14.11.2006, n. 436, De Angelis, m. 235503). Il Collegio che ha emesso l’ordinanza impugnata, non essendo composto da magistrati diversi da quelli che avevano emesso l’ordinanza annullata, non aveva pertanto la competenza funzionale a decidere. Trattandosi di competenza funzionale espressamente attribuita (o esclusa) dalla sentenza di annullamento, sono irrilevanti le decisioni relative alla incompatibilità o meno dei magistrati che abbiano pronunciato un’ordinanza, in sede di riesame, a comporre il collegio in sede di rinvio dopo l’annullamento del giudice di legittimità (cfr. Sez. 5, 24.3.2011, n. 16875, Rao, m. 250173; Sez. 6, 11.12.2009, n. 3884, Maral, m. 246135)". Invece, nel caso di cui oggi ci occupiamo questa Corte nell’annullare l’ordinanza del Tribunale di Lecce ha deciso il rinvio "per nuovo esame al Tribunale di Lecce". Quindi non avendo questa Corte specificato (e quindi attribuito) la competenza al Tribunale di Lecce in diversa composizione personale vale il principio più volte affermato da questa Corte – condiviso dal Collegio e richiamato anche nella sentenza di questa Corte indicata nel ricorso – secondo il quale non sussiste l’incompatibilità dei magistrati che abbiano pronunciato un’ordinanza, in sede di riesame, ex art. 309 c.p.p. – annullata con rinvio dal giudice di legittimità – a comporre il collegio in sede di rinvio, avuto riguardo all’assenza di indicazioni al riguardo nel testo dell’art. 623 c.p.p. – il quale prevede, in tal caso, il rinvio allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento – e alla natura incidentale del procedimento "de libertate" (Sez. 5, Sentenza n. 16875 del 24/03/2011 Cc. – dep. 02/05/2011 – Rv. 250173).

Tanto premesso, si rileva che il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Si deve, in primo luogo, evidenziare che non sussiste la lamentata violazione di quanto disposto dall’art. 627 c.p.p.; infatti la sentenza di questa Corte con la quale è stato annullata l’ordinanza del Tribunale di Lecce del 21.02.2012, ha riconosciuto formalmente corretta la motivazione del predetto Tribunale in ordine alla "connessione qualificata" e ha solo sottolineato una carenza motivazionale in ordine alla verifica della desumibilità dagli atti, al momento dell’emissione della prima ordinanza, dei fatti oggetto della contestazione della seconda ordinanza intramuraria. Si deve osservare, in proposito, che in tema di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio non è obbligato ad esaminare solo i punti specificati nella sentenza rescindente, isolandoli dal residuo materiale probatorio, ma mantiene, nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione dei dati, nonchè il potere di desumere, anche sulla base di elementi prima trascurati, il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, con l’unico limite – pienamente rispettato nel caso di specie – di non ripetere i vizi già censurati in sede di giudizio rescindente e di conformarsi all’interpretazione ivi data alle questioni di diritto (Sez. 6, Sentenza n. 42028 del 04/11/2010 Ud. – dep. 26/11/2010 – Rv. 248738).

Il Tribunale ha, poi, ben motivato perchè ritiene di escludere la sussistenza della connessione qualificata tra le due ordinanze intramurarie, perchè non ravvisi la sussistenza del medesimo disegno criminoso e perchè riconosce la desumibilità dagli atti dei fatti di cui alla seconda ordinanza al momento dell’emissione della prima misura solo per le cessioni di stupefacente a S.R. di cui al capo B. In particolare il Giudice di merito giunge a tali conclusioni dopo un accurato esame della descrizione del fatto reato dei due diversi procedimenti e della parte introduttiva delle due ordinanze genetiche.

Il motivo con il quale il ricorrente ha contestato queste conclusioni si risolve in una inammissibile riproposizione delle deduzioni di merito contenute nei motivi di appello, tutte puntualmente considerate e disattese dall’ordinanza impugnata. Infatti, il ricorrente si lamenta di quanto deciso dal Tribunale genericamente e in particolare evidenziando solo singoli argomenti trattati dal Giudice di merito (ad esempio quello della non perfetta coincidenza della componente soggettiva delle due associazioni) senza tener, quindi, conto dell’accurato e complessivo quadro di insieme di tutti gli elementi valutati; oppure con affermazioni apodittiche e comunque generiche a fronte della motivazione dell’ordinanza impugnata (a solo titolo di esempio il ricorrente non fornisce alcuna spiegazione del perchè dalla parte riassuntiva contenuta a pag. 5 dell’impugnata ordinanza emerga, chiaramente, la violazione di legge e il palese difetto di motivazione censurati. In particolare – si veda pag. 3 n. 1 del ricorso – non può certo inficiare il ragionamento del Tribunale sulla non coincidenza soggettiva delle due distinte associazioni il richiamo di quanto stabilito da una sentenza di merito. Infatti, si deve ragionare solo sulla base dei fatti emersi e contestati allorchè sono state emesse le due ordinanze. Nei punti n. 2, 3 e 4 – sempre di pag. 3 del ricorso – il difensore dell’indagato si limita solo a generiche contestazioni di quanto sostenuto nell’ordinanza. Nè il ricorso specifica perchè dalle argomentazioni contenute dalla metà di pag. 6 in avanti dell’impugnata ordinanza si ricavano tutti gli elementi utili per il riconoscimento della connessione nei due procedimenti penali; nè perchè sarebbe proprio l’attività di spaccio del M. in favore di S.R. a dimostrare la connessione tra i due procedimenti). Si deve rilevare in proposito che questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che in tema di cosiddetta "contestazione a catena", l’accertamento dell’esistenza della connessione qualificata costituisce apprezzamento riservato, quanto alla valutazione del materiale probatorio o indiziario, al giudice di merito che deve – come nel caso di specie – adeguatamente e logicamente motivare il proprio convincimento. Anche la valutazione circa la "desumibilità dagli atti" compete al giudice di merito, perchè richiede l’esame e la valutazione degli atti ed una ricostruzione dei fatti, attività precluse al giudice di legittimità (Sez. 4, Sentenza n. 9990 del 18/01/2010 Cc. – dep. 11/03/2010 – Rv. 246798).

La difesa del ricorrente richiama, poi, a sostegno della sua tesi il principio di diritto secondo il quale nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologia, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive, prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, opera indipendentemente dalla possibilità, al momento dell’emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive, e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure (Sez. U, Sentenza n. 21957 del 22/03/2005 Cc. – dep. 10/06/2005 – Rv. 231057). In buona sostanza la predetta sentenza delle Sezioni unite, ha individuato tre diverse ipotesi di retrodatazione:

1) quella delle ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione opera automaticamente, vale a dire senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza (art. 297 c.p.p., comma 3, prima parte);

2) quella delle ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare (art. 297 c.p.p., comma 3, seconda parte);

3) quella, non espressamente prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, delle ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione opera solo se al momento della emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza. Orbene è evidente che il caso di cui ci occupiamo non rientra in nessuno dei tre casi sopra elencati. Invero, il Giudice di merito – come già evidenziato – con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria ha affermato che: non si è in presenza dello stesso fatto (ipotesi n. 1); che i fatti contestati nelle due ordinanze non sono legati tra loro da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologia (ipotesi n. 2); che le ordinanze non sono state emesse nello stesso procedimento (ipotesi n. 3).

Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 408 del 2005, che ha dichiarato "l’illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza" le Sezioni Unite hanno di nuovo affrontato l’argomento. Con sentenza 2007/14535 si è affermato che in tema di "contestazione a catena", quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza.

Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez. U, Sentenza n. 14535 del 19/12/2006 Cc. – dep. 10/04/2007 -Rv. 235909).

E’ evidente che il caso di cui ci occupiamo – essendo stata esclusa, con motivazione incensurabile, la sussistenza della connessione qualificata – potrebbe teoricamente entrare nel secondo caso. Si dice teoricamente perchè, come già evidenziato, il Giudice di merito – sempre con motivazione incensurabile in questa sede – ha escluso – a parte l’eccezione già segnalata – che gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima. Si deve, però, aggiungere che le Sezioni Unite con la sentenza 2007/14535 hanno escluso nel caso da loro trattato la retrodatazione, trattandosi di procedimenti originati da distinte notizie di reato, pervenute allo stesso ufficio del pubblico ministero a distanza di tempo l’una dall’altra (esattamente come nel caso di cui oggi ci occupiamo). E, nell’affermare tale principio – tenuto conto della sentenza n. 408 del 2005 della Corte costituzionale, dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 297 c.p.p., comma 3 -, hanno osservato che la regola della retrodatazione concerne normalmente misure adottate nello stesso procedimento e può applicarsi a misure disposte in un procedimento diverso solo nelle ipotesi sopra indicate.

Appare, infine, opportuno ricordare come la decisione del Tribunale di escludere – tranne che per la vendita di sostanza stupefacente a S.R. di cui al capo B della rubrica – che gli elementi giustificativi della seconda misura erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima (si veda la corretta motivazione alle pagine 6 e 7 dell’impugnata ordinanza) è in linea con quanto più volte affermato da questa Suprema Corte.

In particolare si è affermato il principio – condiviso dal Collegio – che nell’ipotesi d’adozione di più ordinanze cautelari nei confronti del medesimo indagato per fatti diversi tra i quali non vi è connessione qualificata, la regola di retrodatazione dei termini custodiali relativi al provvedimento più recente opera esclusivamente quando al momento dell’emissione della prima ordinanza l’autorità inquirente era già in possesso degli elementi sufficienti per richiedere l’adozione della misura cautelare anche per il reato oggetto del successivo provvedimento e non anche quando la stessa era solo a conoscenza dei relativi fatti, ma non aveva ancora provveduto al loro accertamento (Sez. 4, Sentenza n. 2649 del 25/11/2008 Cc. – dep. 21/01/2009 – Rv. 242498; si veda anche sent.

Corte Cost. n. 408 del 2005). Ancora che in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di "desumibilità" degli atti va riferita al momento valutativo, che mette in rapporto un determinato dato con le altre risultanze investigative, senza che rilevi il parametro rigorosamente temporale, ossia relativo alla mera presenza in atti di quel dato (Sez. 5, Sentenza n. 2724 del 04/11/2009 Cc. – dep. 21/01/2010 – Rv. 245921).

Infine, che in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore "desumibilità" delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali. Infatti, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in sè una specifica "significanza processuale"; ciò che si verifica allorquando il Pubblico Ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini) del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo – in presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare (Sez. 4, Sentenza n. 15451 del 14/03/2012 Cc. – dep. 20/04/2012 – Rv. 253509). Le decisioni di questa Corte sono tutte in linea con quanto affermato nella sopra citata sentenza delle Sezioni Unite 2007/14535 e cioè che occorre però avvertire che mentre in presenza di una connessione qualificata il meccanismo della retrodatazione opera automaticamente, e dunque è sufficiente che le condizioni richieste dall’art. 297 c.p.p., comma 3 risultino dagli atti, nell’ipotesi in cui la connessione qualificata manca, la retrodatazione, come ha riconosciuto la Corte costituzionale, costituisce un rimedio rispetto a una scelta indebita dell’autorità giudiziaria, sia nel caso in cui la scelta sia avvenuta procrastinando, nell’ambito di uno stesso procedimento, l’adozione della misura, sia nel caso in cui essa sia avvenuta procrastinando l’inizio del secondo procedimento o tenendolo separato dal primo, come può avvenire per esempio non iscrivendo tempestivamente o separando alcune delle notizie di reato, ricevute o acquisite di propria iniziativa dal Pubblico Ministero. Non giustifica di per sè la retrodatazione, perchè non è di per sè indicativo di una scelta indebita, il fatto che l’ordinanza, emessa nel secondo procedimento, si fondi su elementi già presenti nel primo, perchè in molti casi gli elementi probatori non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato: essi spesso devono essere interpretati, specie quando si tratta, come di frequente accade, di colloqui intercettati e avvenuti in modo criptico. Perciò il solo fatto che essi fossero già in possesso degli organi delle indagini non dimostra che questi ne avessero individuato tutta la portata probatoria e fossero venuti a conoscenza delle notizie di reato per le quali si è proceduto, in un secondo momento, separatamente. A volte, infatti, la presa di conoscenza e la elaborazione degli elementi probatori da parte degli organi delle indagini richiede tempi non brevi, che danno ragione dell’intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione della fonte di prova e l’inizio del procedimento penale (Sez. U, Sentenza n. 14535 del 19/12/2006 Cc. – dep. 10/04/2007 – Rv. 235909).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi -ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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