Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 03-04-2013, n. 15304

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il G.I.P. del Tribunale di Torino, con decreto del 18/05/2012, dispose il sequestro preventivo – ex art. 321 c.p.p., comma 2:

sequestro preventivo delle cose cui è consentita la confisca – di un immobile sito in (OMISSIS), di proprietà di T.T. (terza interessata), poichè considerato prezzo del reato del delitto di usura. Immobile, quindi, soggetto, in caso di condanna, a confisca obbligatoria ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies.

Avverso tale provvedimento T.T. propose istanza di riesame, sostenendo che l’immobile era stato regolarmente acquistato da lei terza estranea al reato e quindi non confiscabile. Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 12/06/2012, respinse l’istanza di riesame.

Ricorre per Cassazione il difensore della T.T. ribadendo la carenza e illogicità della motivazione in ordine: alla ritenuta fittizia intestazione a suo nome del bene immobile e alla ritenuta sproporzione tra il suo reddito e il prezzo di acquisto dell’immobile; da quanto sopra discenderebbe, quindi, che il bene non potrebbe essere sottoposto a confisca.

Il difensore della T. conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata ordinanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va, quindi, dichiarato inammissibile. Invero, questa Suprema Corte ha più volte affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione presentato dal difensore del terzo interessato privo – come nel caso di specie – di procura speciale avverso il provvedimento con cui è stato deciso il riesame del decreto di sequestro preventivo (Sez. 1, Sentenza n. 25849 del 04/05/2012 Cc. – dep. 04/07/2012 -Rv. 253081).

Appare, in ogni caso, opportuno ricordare che in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la totale mancanza di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità o la incompletezza di motivazione le quali non possono denunciarsi nel giudizio di legittimità nemmeno tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), posto che questo richiede la "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità" della motivazione. (Sez. 5, Sentenza n. 8434 del 11/01/2007 Cc. – dep. 28/02/2007 – Rv. 236255; Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. – dep. 26/06/2008 – Rv. 239692).

La motivazione dell’ordinanza impugnata non solo non presenta alcun vizio che possa far ritenere sussistente la "violazione di legge" di cui all’art. 325 c.p.p., ma è così esaustiva, logica e non contraddittoria che porterebbe alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso anche se non operasse il limite di cui all’art. 325 c.p.p..

Infatti il Tribunale evidenzia correttamente perchè ravvisa la sussistenza del fumus commissi delicti (neppure oggetto di specifica contestazione; si veda pag. 3 dell’impugnata ordinanza), verifica esattamente la sussistenza della fittizia intestazione del bene immobile, la sproporzione del reddito della ricorrente, la mancata prova del passaggio del danaro da T.T. al venditore dell’immobile B.M. (suocero della T.) e la confiscabilità dello stesso. Infine il Tribunale richiama un principio di diritto più volte affermato da questa Suprema Corte e condiviso dal Collegio secondo il quale in tema di sequestro preventivo propedeutico alla confisca di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, conv. in L. n. 356 del 1992, sussiste a carico del titolare apparente di beni una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale in forza della quale è sufficiente dimostrare che il titolare apparente non svolge un’attività tale da procurargli il bene per invertire l’onere della prova ed imporre alla parte di dimostrare da quale reddito legittimo proviene l’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo (Sez. 5, Sentenza n. 26041 del 26/05/2011 Cc. – dep. 01/07/2011 – Rv. 250922).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *