Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-07-2012, n. 13518

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Svolgimento del processo

Con atto di notificato 17.1.1990 C.V. e P. V. convenivano avanti al tribunale di Salerno M.M. G. chiedendo procedersi alla divisione giudiziale della terrazza a livello dell’immobile sito in (OMISSIS), con attribuzione delle rispettive quote. Si costituiva la convenuta contestando la domanda di cui chiedeva il rigetto, in quanto il bene oggetto della richiesta divisione non era un terrazzo, ma una superficie sormontata da due cupole, impraticabili ed insuscettibili di autonoma utilizzazione.

Formulava riconvenzionale per lo scioglimento della comunione riguardanti altri beni.

Disposta ed espletata la CTU, l’adito tribunale con sentenza parziale n. 1099/05, accoglieva la domanda e disponeva lo scioglimento della comunione, assegnando a ciascun condividente una porzione del lastrico. Rimetteva la causa in istruttoria per la trattazione della domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta.

Avverso la pronuncia proponeva appello la M., deducendo in specie che la divisione di tale bene era avvenuta in spregio dell’art. 1119 c.c. in quanto non apportava alcuna utilità a ciascun condividente, attesa l’impraticabilità delle cupole di copertura, mentre rendeva incomoda e difficoltosa l’ispezione e la manutenzione della guaina impermeabilizzante e degli imbocchi dei pluviali. Si costituivano gli appellati che instavano per il rigetto dell’impugnazione.

L’adita Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 798/2010 depos.

il 21.09.2010, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di divisione del lastrico solare condominiale. Secondo la Corte ai fini della divisione del bene comune, il tribunale aveva fatto improprio riferimento l’art. 1112 c.c. che disciplina la divisione di cosa comune in generale, mentre avrebbe dovuto assumere come punto di riferimento l’art. 1119 c.c., norma specifica e più rigorosa in tema di condominio degli edifici.

In base a tale ultima disposizione non era possibile attuare la divisione in parola in quanto il lastrico solare non era praticabile e la divisione rendeva più incomodo l’uso della proprietà singola servita dalla dividenda parte comune e riduceva l’utilità ricavabile dal bene condominale in funzione della proprietà individuale.

Per la cassazione della sentenza ricorrono la P. e il C., sulla base di 3 mezzi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. L’intimata resiste controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso gli esponenti denunciano il vizio di motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1119 e ss. c.c.. A loro avviso non possono condividersi gli apprezzamenti della Corte d’Appello, che ha rigettato la loro domanda di divisione del lastrico solare, sull’erroneo presupposto che lo stesso non fosse praticabile; che la divisione non avrebbe arrecato alcun miglioramento alla fruizione dell’immobile della M. e avrebbe impedito a quest’ultima di prontamente provvedere direttamente agli eventuali interventi di manutenzione urgenti, anche limitatamente alla metà assegnata alla controparte; che ove la copertura fosse resa praticabile ne deriverebbe un uso più incomodo dei vani sottostanti di proprietà M., a causa del maggior calpestio derivante all’utilizzo del lastrico solare. In realtà, ad avviso dei ricorrenti, la Corte territoriale è incorsa in errore di motivazione e di travisamento dei fatti laddove ritiene impraticabile il lastrico solare, mentre invece ciò non corrisponde al vero come chiaramente desumibile dalla CTU da cui emergeva che il vano era adibito a stenditoio del bucato; del resto le cupole o volte, di fatto sarebbero già state trasformate in terrazzo a livello, mediante un impianto di una struttura fissa costituita da travi metalliche con ancoraggio ai muri perimetrali dello stabile e sovrapposto "maiolato" di tavole in legno. La divisione poi non rendeva affatto più incomodo l’uso del bene, anzi ne migliorava l’utilizzazione, nè ne accentuava la difficoltà di manutenzione.

La doglianza non ha pregio. Invero la corte d’Appello ha ampiamente motivato i proprio dissenso all’accoglimento dell’istanza di divisione facendo corretto riferimento, ai fini della divisibilità delle cose, ai principi espressi dall’art. 1119 c.c. secondo il quale le parti comuni dell’edificio possono essere divise purchè la divisione possa farsi senza rendere più incomodo a ciascun condomino l’uso della proprietà singola servita dalla dividenda parte comune, in quanto ne sia resa meno facile la diretta fruizione ovvero venga ridotta l’utilità ricavabile dal bene condominiale in funzione della proprietà individuale.

Ha precisato questa S.C. che essendo l’uso delle cose comuni in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di uso, cui fa riferimento l’art. 1119 c.c. ai fini della divisibilità delle cose stesse, dev’essere valutata, oltre che con riferimento all’originaria consistenza ed estimazione della cosa comune, considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione (Cass. n. 867 del 23/01/2012; conf.: Cass. n. 7667 del 1995; in tal ultima ipotesi, il progetto di divisione di una terrazza comune avrebbe privato il condominio assegnatario di una porzione, della veduta sul mare consentitagli nella permanenza dello stato di indivisione).

Ciò posto nella fattispecie i dedotti vizi motivazionali e le asserite violazioni di legge si traducono in mere questioni di fatto, come tali riservati al giudice di merito, inammissibili in sede di legittimità stante la motivazione congrua, coerente e immune da vizi logici e giuridici. Circa il difetto di motivazione, secondo questa S.C. lo stesso è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; in questo caso, infatti, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito, che tenderebbe ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. n. 2272 del 02/02/2007; Cass. n. 3436 del 16/02/2006; Cass. 3, n. 3186 del 14/02/2006).

Passando al 2 motivo, con esso si deduce l’omessa o insufficiente motivazione, nonchè la violazione o falsa applicazione dell’art. 1119 c.c. in relazione all’art. 1126 c.c.. Osservano i ricorrenti che la Corte salernitana pur avendo ammesso che "siffatta parte del fabbricato può ritenersi oggetto di proprietà esclusiva ed è dunque in astratto divisibile alle condizioni stabilite dall’art. 1119 c.c." alla fine perviene alla decisione contraria, senza una valida motivazione per discostarsi in maniera così netta dal principio da essa stessa enunciato. D’altra parte il CTU aveva dichiarato – sempre da un punto di vista tecnico-urbanistico e funzionale – che sussisteva "la reale possibilità di procedere ad un equa divisione del piano di copertura, realizzando due distinte aree, nel rispetto degli accessori esistenti e delle quote attribuite in misura paritaria…" Per i ricorrenti dunque "non è dato stabilire a questo punto il motivo ostativo della divisione se, come anche riconosciuto in sentenza, art. 1126 prevede la possibilità di proprietà esclusiva dell’intero, mentre nel caso di specie sarebbe la metà"… Anche tale doglianza è priva di pregio, atteso che i ricorrenti ripropongono in sostanza le precedenti considerazioni che si traducono in quaestio facti riservata alla discrezionalità giudice di merito.

Infine con il terzo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa o insufficiente motivazione; la violazione e falsa applicazione dell’art. 1119 c.c. in relazione ai principi fondamentali della Costituzione di cui agli artt. 42 e 43. A loro avviso l’indivisibilità del bene di cui trattasi, alla fine potrebbe pregiudicare i diritti di proprietà dei ricorrenti e cozzerebbe con i principi fondamentali della Costituzione (artt. 43 e 43) relativi alla libera commerciabilità dei beni, allo sviluppo economico ed alla semplificazione dei processi. A loro parere, l’immobile diviso potrebbe avere un maggior valore nel caso di vendita; sostengono poi che, in conseguenza della divisione, non vi sarebbe alcun danno architettonico per il fabbricato condominiale – come ipotizzato dal giudice a quo -, tanto da avere ottenuto per la divisione del lastrico una autorizzazione amministrativa, anche dal punto di vista urbanistico. Anche tali doglianze non hanno pregio: inconferente appare il richiamo ai principi costituzionali ricordati, mentre le altre considerazioni si risolvono in questioni di merito. La Corte d’appello ha invero statuito con motivato giudizio che "un elemento divisorio costruito a metà muro della cupola centrale è idoneo a danneggiare l’aspetto architettonico del fabbricato, la cui copertura è caratteristica della costiera amalfitana", Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012
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