Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 03-04-2013, n. 15303

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ordinanza del 05.04.2012, il G.I.P. del Tribunale di Napoli respinse l’istanza di dissequestro dei tre "banchetti" per la vendita, nella disponibilità dei tre indagati oggi ricorrenti.

Avverso tale provvedimento gli indagati R.D., R.S. e A.G. proposero appello, ma il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza del 19.06.2012, lo respinse.

Ricorre per cassazione il difensore dei tre predetti indagati deducendo difetto e illogicità della motivazione del Tribunale che non avrebbe preso in considerazione per il R.D. la concessione del Comune di Napoli n. (OMISSIS) e per gli altri due indagati della Perizia Tecnica.

Il difensore dei ricorrenti conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata ordinanza.

Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati e vanno, quindi, dichiarati inammissibili. Invero, si deve preliminarmente rilevare che in tema di misure cautelari reali mezzo ordinario a disposizione per contestare la legittimità, anche nel merito, del sequestro è il riesame, a cui, in pendenza del termine per proporlo, può aggiungersi l’istanza di revoca per fatti preesistenti o sopravvenuti, la quale, per la sua rapida definizione, può essere preferita a detto rimedio. Una volta esaurita la fase del riesame (ivi compreso l’eventuale ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale) o anche in pendenza della stessa oppure in caso di mancata proposizione di questo mezzo di gravame, con implicito riconoscimento della legittimità ed adeguatezza della misura cautelare reale disposta e della sua conformità alle risultanze procedimentali o processuali, è possibile richiedere la revoca di detta misura, solo ove sia modificato il quadro processuale per "fatti sopravvenuti". Pertanto, ove la situazione processuale non sia mutata, diventa inammissibile ogni ulteriore richiesta di revoca della misura cautelare reale e, conseguentemente, l’appello proposto avverso l’ordinanza di rigetto o dichiarativa di questa inammissibilità, se non vengano dedotti "fatti sopravvenuti" tali da escludere la sussistenza delle condizioni per l’applicabilità del sequestro (Sez. 3, Sentenza n. 1512 del 12/05/1994 Cc. -dep. 21/06/1994 – Rv. 198182; Sez. 3, Sentenza n. 38875 del 17/10/2001 Cc. – dep. 30/10/2001 – Rv. 220132; Sez. 3, Sentenza n. 1708 del 13/11/2002 Cc. – dep. 16/01/2003 – Rv. 223474). Orbene, il difensore dei ricorrenti nei suoi genericissimi ricorsi non specifica affatto se gli elementi fattuali proposti con l’appello non siano stati già in precedenza valutati (per quanto riguarda la concessione sembrerebbe di si poichè è del Giugno 2000; della perizia non si può dire nulla perchè nei ricorsi non si specifica da chi e quando è stata effettuata). Quindi non si evidenziano "fatti sopravvenuti" (nei ricorsi, nè la sussistenza di tali fatti si evince dalla lettura dell’impugnata ordinanza) tali da escludere la sussistenza delle condizioni per l’applicabilità del sequestro.

Inoltre, si deve rilevare che il difensore degli indagati ha redatto tre ricorsi eguali per le prime due pagine, nelle quali si espongono solo astratti principi di diritto su come deve essere redatta una motivazione e sul ruolo in generale della Giustizia e in particolare della funzione nomofilattica della Cassazione. Nelle ultime tre righe del ricorsi indica, poi, quali sarebbero gli elementi non considerati dal Tribunale e cioè – come sopra specificato – per il R. D. la concessione del Comune di Napoli n. (OMISSIS) e per gli altri due indagati la Perizia Tecnica. E’ evidente, pertanto, l’assoluta genericità dei ricorsi ove non viene neppure indicata la rilevanza degli elementi sopra specificati, nè perchè inficino quanto affermato dai Giudici di merito; nè, infine, vengono allegati per consentire l’individuazione e la consultazione da parte di questa Corte (quindi, anche, in contrasto con il principio della necessaria autosufficienza del ricorso più volte affermato da questa Suprema Corte; Sez. 6, Sentenza n. 45036 del 02/12/2010 Ud. – dep. 22/12/2010 – Rv. 249035).

Tanto premesso si deve, poi, tener ben presente che in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la totale mancanza di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità o la incompletezza di motivazione le quali non possono denunciarsi nel giudizio di legittimità nemmeno tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), posto che questo richiede la "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità" della motivazione. (Sez. 5, Sentenza n. 8434 del 11/01/2007 Cc. – dep. 28/02/2007 – Rv. 236255; Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. – dep. 26/06/2008 – Rv. 239692).

La motivazione dell’ordinanza impugnata non solo non presenta alcun vizio che possa far ritenere sussistente la "violazione di legge" di cui all’art. 325 c.p.p., ma è così esaustiva, logica e non contraddittoria che porterebbe alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso anche se non operasse il limite di cui all’art. 325 c.p.p.. Infatti il Tribunale motiva correttamente perchè ravvisa la sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora. Ma soprattutto evidenzia il nocciolo della questione: si ravvisa il reato di cui agli artt. 633 e 639 c.p. perchè i tre "banchetti" degli indagati occupano una superficie di suolo pubblico molto più ampia di quella risultante dalle autorizzazioni ricevute (quindi, tra l’altro, il Tribunale ha preso in considerazione – contrariamente a quanto sostenuto dal difensore degli indagati – le autorizzazioni e ha preso in considerazione anche la consulenza tecnica di parte e quanto sostenuto dal difensore nell’impugnazione; si veda in proposito pag. 3 dell’impugnata ordinanza).

A fronte di quanto sopra i ricorrenti nulla dicono. Orbene, quanto sopra porterebbe alla dichiarazione di inammissibilità anche se si fosse in presenza di un ricorso per Cassazione nel quale poter proporre tutti i motivi previsti dall’art. 606 c.p.p..

Invero in proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent.

n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634). Inoltre, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento1′, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente.

Restano escluse da tale controllo sia l’interpretazione degli elementi a disposizione del Giudice di merito sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità – ma non è certo questo il caso per quanto sopra specificato in relazione all’assoluta genericità dei ricorsi – motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente. (Sez. 6, Sentenza n. 1762 del 15/05/1998 Cc.-dep. 01/06/1998 – Rv. 210923; si vedano anche Cass. Sez. 4A sent.

n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

L’inammissibilità dei ricorsi è ancor più evidente nel caso di specie, perchè, come si è già rilevato, l’unico motivo di ricorso ammesso, ex art. 325 c.p.p., è quello della violazione di legge.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, i ricorrenti che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2013

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