Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-07-2012, n. 13513

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Svolgimento del processo
Con ricorsi depositati il 20.2.2004 S.E. e S. U., quali coobbligati in solido con il sig. M.G., proponevano opposizione avverso le ordinanze-ingiunzioni n. 11315 e n. 11316, emesse entrambe il 23.12.2003 dalla XXX e Finanze – XXX Attività Sanzionatorie della Regione Toscana, sulla base del verbale di contestazione del Corpo Forestale dello Stato 10.3.99, con cui era stato loro ingiunto il pagamento della somma di Euro 20.314,16 ciascuno, a titolo di sanzione R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, ex art. 26, per aver effettuato il taglio di bosco ceduo, senza la prescritta autorizzazione, su alcune aree silvestri sottoposte a vincolo idrogeologico, di proprietà dell’azienda agricola "La Dogana", in (OMISSIS), che si era assunto l’obbligo di ottenere le prescritte autorizzazioni amministrative per l’attività di taglio delle piante boschive.
Costituitasi la Regione Toscana, XXX e Finanze, Settore Affari Generali, con sentenza depositata il 29.11.2005, il Tribunale di Firenze, sez. dist. di Pontassieve respingeva le opposizioni e dichiarava integralmente compensate fra le parti le spese di lite.
Osservava il Giudice di merito:
che il taglio delle piante, sulle particelle specificate in detto verbale, era avvenuto senza la prescritta autorizzazione e che il successivo rilascio della stessa, in data 13.10.1997, non valeva a sanare l’illecito amministrativo, posto che il R.D. n. 3267 del 1923, art. 26 sanzionava le violazioni anche solo formali per la loro pericolosità, a prescindere dalla causazione di un danno effettivo;
che non era configurabile un "silenzio assenso" quanto al rilascio dell’autorizzazione e che non era provato l’errore incolpevole degli opponenti.
Per la cassazione di tale decisione ricorrono S.U. e S.E. sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso la Regione Toscana, in persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale.
Motivi della decisione
I ricorrenti deducono:
1) violazione e lo falsa applicazione del R.D. n. 3267 del 1923, art. 26 e della L. n. 689 del 1981, art. 1, comma 2, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, l’art. 26 L. cit. richiedeva, ai fini dell’illecito contestato, non la mancanza di autorizzazione, avente carattere meramente formale, ma il concreto pregiudizio subito dal bene boschivo, circostanza di cui l’Amministrazione non aveva fornito la prova;
2) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi in tema di onere della prova, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;
sarebbe spettato all’amministrazione convenuta dimostrare la eventuale irrilevanza dei documenti rilasciati dalla Provincia di Firenze, prodotti dalla società Stefanini al fine di provare che il taglio delle piante, su alcune particelle, era avvenuto in presenza della richiesta autorizzazione;
3) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 19 e 20, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; il tempo decorso dalla presentazione (il 6.10.1995) dell’istanza di rilascio dell’autorizzazione, da parte della proprietaria, Azienda Agricola La Dogana, ai sensi degli artt. 19 e 20 L. cit. comportava l’applicazione del principio generale del "silenzio assenso", non rientrando l’autorizzazione "a fini idrogeologici" fra quelle escluse dall’applicazione di tale principio ex L. n. 241 del 1990; sotto tale profilo la sentenza impugnata aveva omesso ogni valutazione;
4) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;
il Tribunale aveva ritenuto non provato l’errore incolpevole dedotto dai fratelli S., per non avere essi dimostrato "una manifesta volontà contraria all’effettuazione del taglio, come indicatogli dalla proprietà", senza tener conto che gli stessi avevano avuto il ruolo di meri esecutori del taglio delle piante, secondo le indicazioni dell’azienda proprietaria dei terreni boschivi cui incombeva il rilascio delle relative autorizzazioni;
5) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronuncia sui motivi di ricorso, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;
il Tribunale aveva omesso di rispondere sulla doglianza concernente la illegittima duplicazione della sanzione applicata, senza considerare che l’illecito faceva capo ad una società e senza valutare la posizione del proprietario committente del taglio delle piante;
6) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del R.D. n. 3267 del 1923, art. 26; nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronuncia su motivi di ricorso, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento al lamentato carattere eccessivo della sanzione comminata ed alle non corrette modalità del relativo calcolo, rapportato non già al numero degli alberi tagliati, ma delle "piante tagliate su aree di saggio" di una certa estensione, non corrispondenti a quelle effettivamente interessate dal taglio;
mancato espletamento della C.T.U. al fine di verificare l’esattezza delle somme ingiunte ai ricorrenti in rapporto al numero concreto delle piante tagliate.
Il primo motivo è infondato; la sentenza impugnata ha correttamente affermato, in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Cfr. Cass. n. 5050/1992), che il R.D. n. 3267 del 1923, art. 26 sanziona le violazioni "anche solo formali per il pericolo che esse creano, a prescindere dal danno effettivo".
Del pari infondato è il secondo motivo, avendo il giudice di merito dato conto, sulla base di una accertamento in fatto, non contraddetto da prova contraria, che il taglio delle piante era avvenuto in parte, prima che fosse stata rilasciata la relativa autorizzazione ed, in parte, su superfici che mai erano state oggetto di autorizzazione;
sarebbe spettato, comunque, alle parti ricorrenti provare che "l’estensione del taglio rilevata dal Corpo Forestale dello Stato era in concreto corrispondente alla superficie sulla quale effettivamente erano intervenute le autorizzazioni richiamate" (V. pag. 3 sent.
imp.).
Con la censura sub 3) i ricorrenti ripropongono una questione già esaminata dal giudice di merito e risolta con corretta e congrua motivazione, laddove è stato evidenziato che l’istituto del "silenzio-assenso" non trova applicazione nella specie, non essendo prevista nè dal R.D. n. 3267 del 1923 nè dalla L. n. 241 del 1990, che contempla precise riserve nei procedimenti amministrativi di rilevanza ambientale. (Cfr. Cass. n. 4869/2009).
Il quarto motivo concerne una doglianza correttamente disattesa dal giudice di merito per difetto di prova sull’errore incolpevole, in buona fede, "per esservi stato indotto da terzi".
In proposito la giurisprudenza ha precisato che anche in tema di sanzioni amministrative la buona fede rileva come causa di esclusione della responsabilità quando l’autore della violazione abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva; nella specie, però, l’onere della prova dell’esistenza della buona fede era a carico degli opponenti (Cfr.
Cass. n. 23019/2009) e, sul punto, il mero assunto degli stessi, di essere stati meri esecutori del taglio delle piante su indicazione dell’azienda proprietaria dei terreni boschivi, non risulta, come già detto, provato.
Il quinto ed il sesto motivo sono, invece, fondati, posto che, effettivamente, la sentenza impugnata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ha omesso di statuire e motivare sulla posizione del proprietario committente del taglio delle piante, quale soggetto facente parte di una società, nonchè sul calcolo meramente presuntivo e non effettivo, della sanzione irrogata e sulla mancata applicazione della normativa regionale, più favorevole ai ricorrenti, rappresentata dalla L.R.T. n. 39 del 2000, art. 82, comma 2.
Alla stregua delle considerazioni svolte, va accolto il quinto ed il sesto motivo mentre vanno rigettati gli altri motivi. La sentenza impugnata, va quindi, cassata con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Firenze anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo; rigetta gli altri, Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione del Tribunale di Firenze anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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