Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 22-03-2013, n. 13746 Atti amministrativi Demolizione di costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

F.F. e G.A. ricorrono avverso l’ordinanza emessa il 27 febbraio 2012 dal giudice del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, quale giudice dell’esecuzione, con cui è stata rigettata la richiesta di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione di manufatto abusivo, impartito con sentenza di condanna del tribunale di Napoli passata in giudicato, per intervenuta acquisizione da parte del Consiglio Comunale di Caivano dell’immobile in oggetto, insieme ad altri, al fine di trasformarlo in alloggio di edilizia residenziale sovvenzionata. Il tribunale ha motivato il rigetto considerando la delibera comunale predetta, in ogni caso illegittima giacchè mancante di indicazione di impegno di spesa e di istruttoria svolta per singolo immobile inerente l’effettiva praticabilità dell’intervento, un mero atto di indirizzo non contenente alcuna indicazione specifica.

Deducono i ricorrenti che la delibera consiliare in questione, adottata sulla base di specifiche disposizioni della legislazione regionale, confligge in modo decisivo con la esecuzione della demolizione; tale delibera, inoltre, individuando specificamente una serie di immobili da destinare ad edilizia residenziale sovvenzionata, non sarebbe mero atto di indirizzo politico nè rileverebbe la mancanza di impegno di spesa, in realtà da assumere solo successivamente. Osservano che per arrestare l’ordine di demolizione è sufficiente, sulla base del dettato del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, una delibera di consiglio comunale che dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali senza che siano necessari tutti i dettagli tecnici, economici e normativi che dovranno formare oggetto di ulteriori, conseguenti, atti.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, sostanzialmente riproduttivo di quanto già disponeva la L. n. 47 del 1985, art. 7, prevede che l’opera acquisita di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune in forza di inottemperanza all’ordine di demolizione "è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali"; il legislatore ha così previsto che l’interesse al ripristino dello status quo ante, quale strumento sanzionatorio di condotte poste in essere in violazione delle prescrizioni finalizzate al perseguimento di un ordinato assetto del territorio, debba recedere a fronte di interessi pubblici di diverso genere tuttavia prevalenti rispetto al raggiungimento di un tale risultato e che impongano la permanenza dell’opera, sempre che la stessa non contrasti con rilevanti interessi urbanistici e ambientali. Questa Corte ha pertanto potuto precisare che il Consiglio comunale può dichiarare legittimamente la prevalenza di interessi pubblici ostativi alla demolizione alle seguenti condizioni: 1) assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e, nell’ipotesi di costruzione in zona vincolata, assenza di contrasto con interessi ambientali: in quest’ultimo caso l’assenza di contrasto deve essere accertata dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di una formale deliberazione del consiglio con cui si dichiari formalmente la sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc. (Sez. 3, n. 41339 del 10 ottobre 2008, Castaldo e altra, non massimata).

La natura eccezionale di tali ipotesi rispetto a quella che dovrebbe essere la ordinaria conseguenza, ovvero l’esito demolitorio, della illiceità di condotte poste in essere in violazione della disciplina urbanistica, impone una interpretazione restrittiva dei presupposti cui tali ipotesi sono condizionate e legittima, allo stesso tempo, il giudice dell’esecuzione, in applicazione del resto di un principio generale più volte applicato da questa Corte, a sindacare la sussistenza dei medesimi. Già con riferimento alla concessione in sanatoria, anch’essa evidentemente di carattere eccezionale rispetto all’ordinaria disciplina sanzionatoria in materia urbanistica, si è affermato infatti che il giudice dell’esecuzione ha il dovere di controllare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (tra le altre, Sez. 3, n. 46831 del 16/11/2005, Vuocolo, m. 232642). Analogamente, con riferimento al condono, si è detto che il giudice dell’esecuzione, a cui sia richiesto di revocare l’ordine di demolizione di manufatto abusivo in ragione appunto di sopravvenuto provvedimento di condono, ha il potere di sindacare detto atto concessorio, disapplicandolo ove lo stesso sia stato emesso in assenza delle condizioni fonnali e sostanziali di legge previste per la sua esistenza (Sez. 3, n. 25485 del 17/03/2009, Consolo, m. 243905).

In particolare, per quel che riguarda il sindacato della delibera consiliare in oggetto, deve ritenersi rientrare nei poteri del giudice verificare che l’incompatibilità dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione con la delibera consiliare sia attuale e non meramente eventuale, non essendo evidentemente consentito fermare l’esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti previsti dall’art. 31 cit., giacchè l’ordinamento non può attendere sine die l’adozione di una possibile quanto eventuale deliberazione. Solo a partire dall’adozione di una delibera di tal fatta è dunque preclusa al giudice la potestà di disporre la demolizione del manufatto e solo a partire da tale momento l’inottemperanza dell’ingiunto all’ordine di demolizione impartito dall’autorità giudiziaria potrebbe ritenersi giustificata.

Nella specie, il provvedimento impugnato ha ritenuto di non ravvisare, nella delibera consiliare del 06/02/2012 richiamata, i presupposti richiesti dalla legge, in particolare osservando come le valutazioni cui dovrebbe conseguire la non eseguibilità della demolizione (ovvero, appunto, il prevalente interesse pubblico e l’assenza di contrasto del manufatto con rilevanti interessi urbanistici), benchè dichiarate formalmente sussistenti, di fatto siano state demandate ad una fase successiva, essendosi disposta, nella stessa delibera, la necessità di porre in essere, testualmente, le "opportune verifiche tecniche ed eventuali adeguamenti", demandandosi inoltre agli uffici comunali competenti "tutte le attività ed i provvedimenti necessari per la realizzazione del programmato intervento".

Ne consegue come il giudice dell’esecuzione, qualificando, sotto tale profilo, come "atto di indirizzo" la delibera in oggetto e reputando in definitiva come solo eventuale e futura la valutazione dei presupposti di legge cui l’art. 31 cit. condiziona la non operatività della demolizione, abbia, conformandosi ai principi sopra enunciati, legittimamente escluso nella specie l’effetto ostativo della demolizione, propriamente derivante, per quanto già detto, solo da una valutazione in termini di attualità degli interessi pubblici alla conservazione dell’opera e della mancanza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici. Nè il fatto che i ricorrenti siano stati eventualmente invitati a produrre all’Ufficio tecnico comunale la documentazione inerente il manufatto, appare infirmare l’argomentazione del giudice, al contrario comprovando ulteriormente lo svolgimento di un’attività istruttoria ancora in itinere.

Il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2013
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