Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-07-2012, n. 13511

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24 gennaio 2000 la signora C.E. chiedeva la revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3, della sentenza n. 18 del 1999 della Corte di appello di Lecce ed impugnata con ricorso per cassazione da parte della stessa C., sul presupposto di aver rinvenuto documenti ritenuti decisivi dopo la pubblicazione della predetta sentenza. In particolare, la C. esponeva che, avendo conferito ad apposito professionista l’incarico di istruire una pratica amministrativa volta all’accertamento dell’appartenenza della Torre Alto Lido alla particella 62 di sua proprietà, in conseguenza del suo espletamento erano stati rinvenuti presso il competente Ufficio del Catasto plurimi documenti (tra i quali apposito rilievo tecnico catastale munito di efficacia probatoria ex L. n. 321 del 1901) dai quali era desumibile la suddetta appartenenza, documenti che, tuttavia, lo stesso Ufficio non aveva inteso rilasciare in suo favore. Nella costituzione dei Ministeri convenuti e di S.L., l’adita Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 567 del 2005 (depositata il 28 settembre 2005), dichiarava l’inammissibilità della domanda di revocazione e compensava le spese tra le parti costituite. A sostegno dell’adottata decisione la Corte pugliese rilevava che, a prescindere dalla fondatezza (attinente al merito) della contestazione in ordine alla novità dei documenti rispetto a quelli già allegati nel corso del processo sfociato nella sentenza impugnata, la C. non aveva allegato, oltre alla prova effettiva della data del rinvenimento dei nuovi documenti, neanche le circostanze, integranti gli estremi della forza maggiore o del fatto dell’avversario, che avevano impedito la loro tempestiva produzione nel giudizio in cui era stata resa la sentenza oggetto dell’istanza di revocazione.

Avverso la suddetta sentenza della Corte leccese ha proposto ricorso per cassazione la C.E. basato su tre motivi, in relazione al quale si sono costituiti in questa sede i soli intimati Ministeri con un unico controricorso. Il difensore della ricorrente ha, altresì, depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo complesso motivo la ricorrente ha dedotto plurime censure.

In primo luogo ha denunciato l’illogicità, la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata sul punto decisivo della controversia riguardante l’impossibilità del tempestivo reperimento dei documenti sulla base dei quali era stata richiesta la revocazione. In seconda istanza, la C. ha prospettato l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione sull’esigenza di rigore nella prova della conoscenza e dell’impossibilità di conoscenza dei documenti rispetto alla mancata ammissione della richiesta prova testimoniale ed alla omessa valutazione dei documenti allegati. Sotto altro aspetto, la ricorrente ha dedotto la supposta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 395 c.p.c., n. 3 e art. 398 c.p.c., comma 2, nonchè la violazione e falsa applicazione della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 4 (il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto l’illogicità, la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione sul punto decisivo della controversia attinente alla dichiarata già avvenuta produzione dei documenti rinvenuti dal consulente F., dalla stessa istante incaricato, nonchè la supposta violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

3. Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per assunta violazione degli artt. 112 e 402 c.p.c. in relazione alle domande dalla medesima proposte, nonchè il vizio di omessa pronuncia sui corrispondenti punti decisivi della controversia (in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

4. Rileva il collegio che le plurime censure proposte – che possono essere esaminate congiuntamente siccome strettamente connesse – sono infondate e devono, pertanto, essere rigettate nei sensi di seguito specificati.

Innanzitutto, occorre evidenziare che si prospetta destituito di pregio il rilievo prospettato dal Sostituto P.G. d’udienza che ha concluso (in relazione al combinato disposto dell’art. 325 c.p.c., comma 1 e art. 326 c.p.c., comma 1.) per l’inammissibilità del ricorso sul presupposto che l’atto di citazione in revocazione fosse stato notificato il 24 gennaio 2001 a fronte dell’assunto avvenuto rinvenimento dei documenti sui quali era stato fondato intervenuto il 29 dicembre 1999. Tuttavia, per come riportato nel ricorso formulato in questa sede e corrispondente alle risultanze degli atti processuali (il cui esame deve ritenersi consentito anche nei presente giudizio alla stregua della natura delle doglianze proposte), l’atto di citazione ex art. 398 c.p.c. è stato notificato il 24 gennaio 2000 (e non – come erroneamente riportato nella sentenza impugnata – il 24 gennaio 2001), ragion per cui non può aver seguito la richiesta di inammissibilità avanzata dal P.G..

Ciò posto, si osserva, in via generale, che il motivo di revocazione (straordinaria) previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 3 si fonda sulla circostanza che, dopo l’emissione della sentenza, siano stati rinvenuti uno o più documenti ritenuti decisivi per una diversa decisione della controversia, che la parte non aveva potuto produrre in giudizio in virtù o della sussistenza di una causa di forza maggiore o di un fatto addebitabile alla parte avversaria. Deve, inoltre, sottolinearsi che il giudice della revocazione non può limitarsi a valutare la mera decisività dei nuovi documenti prodotti, ma deve accertare, altresì, le circostanze – anche temporali – del recupero o del ritrovamento dei documenti per poter verificare oltre alla tempestività dell’impugnazione, l’incolpevole impossibilità (in base al criterio dell’ordinaria diligenza ed in relazione alla natura della controversia) di produrre quei documenti nel giudizio definito con la sentenza revocanda. Ai fini della configurazione del motivo di revocazione in questione è necessario, infatti, che si tratti di un documento che la parte soccombente si sia trovata nell’impossibilità, non riconducibile a sua colpa o negligenza, di produrre in tutte le fasi del precedente giudizio di merito e, pertanto, incombe sulla stessa l’onere di dimostrare che, fino al momento dell’assegnazione della causa a sentenza, l’ignoranza dell’esistenza dei documenti e del luogo ove essi si trovavano non sia dipesa da sua colpa o negligenza ma da fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore. Occorre anche specificare che la prova della data di verificazione dell’evento cui si correla la proposizione del rimedio revocatorio in discorso deve essere particolarmente rigorosa quando si tratti di documenti esistenti presso la P.A., che siano acquisibili anche da parte di privati.

Orbene, la ricorrente ha inteso dedurre le prospettate carenze motivazionali e le supposte indicate violazioni di legge sul presupposto che, nella specie, la domanda di revocazione era stata dichiarata inammissibile (con conseguente omissione della pronuncia sul merito della stessa) malgrado ella avesse potuto avere conoscenza dei documenti ritenuti decisivi (con riferimento alla ricostruzione della titolarità della particella n. 62 e dell’assunta appartenenza alla sua proprietà della Torre Alto Lido, la cui domanda era stata respinta con la sentenza di cui era stata invocata la revocazione) solo in virtù dell’univoca fonte indiretta costituita dalla relazione di consulenza affidata all’ing. F. acquisita il 29 dicembre 1999 (nella quale si era allegato il reperimento di pregressi ed antichi rilievi catastali probanti in funzione dell’accertamento della suddetta titolarità), tenendo conto anche dell’impossibilità della loro precedente produzione in virtù del divieto prescritto dalla L. n. 15 del 1968, art. 4.

Senonchè, ad avviso del collegio, la Corte territoriale – dopo aver rievocato le plurime condizioni necessarie per l’ammissibilità della istanza di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 3 – ha fornito una giustificata motivazione della sua decisione poichè: – per un verso, ha ritenuto che non fosse stata idoneamente fornita la prova (incombente sulla stessa C.) della data del reperimento tardivo dei documenti considerati decisivi, non potendo essere sicuramente sufficiente, allo scopo, porre riferimento soltanto alla datazione dell’acquisizione della relazione del consulente incaricato dalla stessa ricorrente; – per altro verso, ha idoneamente rilevato che non era stato offerto il riscontro probatorio dei fatti non imputabili alla stessa parte ricorrente comportanti l’impossibilità del tempestivo reperimento dei suddetti documenti, in relazione al cui onere di allegazione si imponeva un particolare rigore, dal momento che, riguardando documenti conservati dalla P.A., si sarebbe dovuto presumere che, per ragioni istituzionali, fossero a disposizione di chiunque avesse avuto interesse a prenderne visione (aggiungendosi che, ove fosse sorta l’esigenza di acquisirli nel giudizio di merito e la P.A. si fosse rifiutata di renderli disponibili, la parte avente interesse avrebbe potuto sollecitare l’emanazione dell’ordine di esibizione dei documenti medesimi da parte del giudice ai sensi dell’art. 210 c.p.c.: cfr. Cass. n. 5873 del 1985 e Cass. n. 1879 del 1992).

Decidendo in tal senso la Corte salentina ha, in primo luogo correttamente considerato – avuto riguardo alle condizioni di ammissibilità previste dall’art. 398 c.p.c., comma 2, – come insufficiente l’indicazione della data del rinvenimento del documento decisivo siccome rapportata unicamente a quella dell’acquisizione della relazione del consulente di parte ricorrente, evento, però, che non esclude la circostanza della sussistenza della prova che il documento stesso fosse stato oggettivamente appreso e soggettivamente conosciuto già antecedentemente (e, del resto, la stessa ricorrente – v. pag. 6 del ricorso – riconosce di aver conseguito la disponibilità delle copie informi – ottenute dal consulente incaricato a titolo di cortesia – dei documenti ritenuti decisivi anche prima della lettura della relazione dell’ing. F. del 29 dicembre 1999, alla quale ricollega, invece, l’effettiva conoscenza degli stessi). Inoltre, la Corte territoriale si è conformata ai condivisibile orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 1814 del 2004; Cass. n. 15534 del 2008; Cass. n. 6821 del 2009 e, in termini più generali, Cass. n. 27832 del 2011) secondo il quale l’impossibilità di produrre in giudizio un documento decisivo per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, che, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 3, giustifica la domanda di revocazione della sentenza passata in giudicato, può essere ravvisata solo quando chi promuove la revocazione abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per acquisire tempestivamente il documento e di non esserci riuscito per causa a lui non imputabile o per fatto dell’avversario, essendo, altresì necessario, per questa seconda ipotesi, fornire la prova della specifica iniziativa probatoria della parte nel giudizio di merito e di un comportamento ostativo della controparte, non essendo sufficiente allegarne la mancata collaborazione. In altri termini, non sono deducibili nel giudizio di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 3 le circostanze che, pur se emergenti da un documento che si assume non prodotto in giudizio per causa di forza maggiore, si sarebbero potute dedurre od eccepire in sede ordinaria ed altrimenti dimostrare in quella sede, concretandosi il concetto di forza maggiore di cui alla norma citata in una ignoranza assoluta dell’esistenza o del contenuto del documento non attribuibile a colpa dell’interessato.

Nè assume rilevanza, nel caso di specie, la dedotta applicabilità del divieto di cui alla L. n. 15 del 1968, art. 4 opponibile dall’Ufficio del Catasto; in effetti, nella controversia in questione, tale divieto risulta essere stato opposto solo avverso l’istanza prodotta nel gennaio 2000, ovvero dopo la pubblicazione della sentenza n. 18 del 1999 di cui era stata chiesta la revocazione, mentre non risulta (e la C. avrebbe potuto tempestivamente attivarsi in proposito, in modo adeguato, così come aveva fatto – ma solo successivamente alla conclusione del giudizio dinanzi alla Corte di appello di Lecce definito con la suddetta sentenza – mediante l’apporto di idoneo tecnico qualificato) nè è stato allegato che tale istanza era stata formulata già nel giudizio di merito in appello definito con la suddetta sentenza e che nel corso dello stesso giudizio era stata avanzata istanza di sollecitazione per l’emissione dell’ordine di esibizione giudiziale ai sensi dell’art. 210 c.p.c. (che, se fosse rimasto senza esito, avrebbe potuto configurare il presupposto dell’addebitala dell’impossibilità della produzione in giudizio del documento "per fatto dell’avversario", come richiesto dall’art. 395 c.p.c., n. 3).

5. Alla luce delle complessive argomentazioni che precedono e dei richiamati principi di diritto, il ricorso deve essere respinto essendo risultata legittimamente dichiarata l’inammissibilità della domanda di revocazione nella sentenza impugnata, alla quale, quindi, era logicamente conseguita la ritenuta superfluità di dar seguito all’attività istruttoria richiesta dalla C. e non risultando, perciò, nemmeno configuratesi le condizioni per poter procedere all’esame del merito della domanda stessa.

In virtù della peculiarità della fattispecie e della natura delle questioni giuridiche trattate si ritiene che sussistano giusti e congrui motivi per dichiarare interamente compensate le spese del presente giudizio tra le parti costituite, mentre non occorre adottare alcuna statuizione in punto spese con riferimento ai rapporti processuali instauratisi tra la ricorrente e le altre parti intimate non costituitesi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti costituite le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012
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