T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 19-01-2011, n. 494

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con il ricorso introduttivo dell’odierno giudizio, il ricorrente, titolare della licenza per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti per il locale denominato "S.", sito in Roma, via dei XXX, n. 21/A, ha impugnato le determinazioni dirigenziali nn. 1026, 1025 e 1024 del 23 aprile 2003, emesse dal Comune di Roma – I Municipio, con le quali l’Amministrazione ha opposto il diniego sulle istanze di rilascio di tre nuove autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande per il predetto locale, nonché il provvedimento prot. n. CA/45557 del 24 giugno 2003 Comune di Roma – I Municipio – Sportello per il commercio pubblici esercizi, recante comunicazione del mancato accoglimento delle istanze proposte dal ricorrente.
Con l’atto di gravame, il ricorrente ha dedotto che: a) il locale S. ha una superficie di mq 100, di cui mq 65 destinati al trattenimento e svago e mq 20 destinati alla somministrazione; b) con istanza notificata al Comune di Roma in data 25 marzo 2003, ha presentato domanda di nuova autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande ai sensi dell’art. 5, lett. D della legge n. 287 del 1991 per il citato locale; c) con istanza notificata al Comune di Roma in data 31 marzo 2003, ha presentato domanda di nuova autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande ai sensi dell’art. 5, lett. C della legge n. 287 del 1991 per il citato locale; d) con istanza notificata al Comune di Roma in data 7 aprile 2003, ha presentato domanda di nuova autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande ai sensi dell’art. 5, lett. B della legge n. 287 del 1991 per il citato locale; e) trascorso il termine di legge di 60 giorni, senza l’adozione da parte dell’Amministrazione comunale di alcun provvedimento di diniego, con note prot. nn. CA/41999, CA/41997 e CA/42000, del 9 giugno 2003, ha comunicato al Comune di Roma l’avvenuto perfezionamento del silenzio assenso; f) il Comune di Roma, con le determinazioni dirigenziali nn. 1024, 1025 e 1026, del 23 aprile 2003, ha rigettato le predette istanze di una nuova autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande; g) il Comune di Roma, con nota prot. n. CA/45557, del 24 giugno 2003, ha comunicato al ricorrente che sulle predette istanze di nuova autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande non si è legittimamente formato il silenzio, in quanto "alla domanda deve essere allegata una dichiarazione del richiedente che indichi la sussistenza dei presupposti e requisiti prescritti dalla legge per lo svolgimento di quell’attività".
2. A sostegno del gravame, ha articolato le seguenti doglianze: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 134, 138, 139, 140, 141 e 145 c.p.c.; eccesso di potere per sviamento, erroneità dei presupposti, mancata valutazione dell’interesse pubblico, difetto di istruttoria; 2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 della n. 241 del 1990, degli artt. 3 e 5 del D.P.R. n. 300 del 1992, del D.P.R. n. 407 del 1994, nonché della legge n. 287 del 1991; violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per ingiustificato aggravamento del procedimento amministrativo; eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, mancata valutazione dell’interesse pubblico; eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà ed erroneità della motivazione; 3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, della legge n. 287 del 1991, dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; violazione dell’art. 41 Cost.; eccesso di potere per sviamento difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, mancata valutazione dell’interesse pubblico; eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà ed erroneità della motivazione; 4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 6, lett. D) e dell’art. 5 della legge n. 287 del 1991; eccesso di potere per sviamento, erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e mancata valutazione dell’interesse pubblico; eccesso di potere per mancanza del fondamento normativo, illogicità contraddittorietà e pretestuosità della motivazione.
3. Si è costituito in giudizio il Comune di Roma, instando per la reiezione del gravame.
4. Con ordinanza n. 4800 del 29 settembre 2003, la Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione dei provvedimenti impugnati.
5. Il ricorrente, a seguito della revoca del mandato difensivo agli avv.ti F. I. e S. P., ha nominato come nuovi difensori gli avv.ti P. G. e A. B., costituitisi in giudizio con memoria del 23 febbraio 2009.
6. Con motivi aggiunti ritualmente notificati, e depositati il 27 settembre 2009, il ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la deliberazione del Consiglio comunale n. 35 del 16 marzo 2010, nelle parti in cui possa ritenersi ostativa rispetto alle pretese originarie del ricorrente. A sostegno dell’ulteriore gravame, ha denunciato le seguenti doglianze: 1) Violazione falsa applicazione dell’articolo 3 del Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella Legge 4 agosto 2006, n. 248, della Legge Regionale 29 novembre 2006, n. 21, in relazione all’articolo 41, 117 e 118 della Costituzione; eccesso di potere per carenza di potere, illogicità e contraddittorietà, ingiustizia manifesta; 2) Violazione dell’art. 41 Cost., in relazione alla "lesione dell’iniziativa economica privata", e delle disposizioni comunitarie in materia di libera concorrenza; illegittimità propria e derivata; illegittimità del divieto assoluto; eccesso di potere per erroneità nei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria e difetto assoluto di motivazione.
7. All’udienza del 28 ottobre 2010, sentiti i difensori delle parti come da relativo verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
1. Con il ricorso introduttivo, il ricorrente lamenta l’illegittimità delle determinazioni dirigenziali nn. 1026, 1025 e 1024 del 23 aprile 2003, emesse dal Comune di Roma – I Municipio, recanti diniego di rilascio delle nuove autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande richieste dal ricorrente medesimo con istanze ricevute dall’Amministrazione il 25.03.2003, il 31.03.2003 e il 7.04.2003.
Con dette istanze, il ricorrente, con riferimento al locale denominato S., sito in Roma, via dei XXX, ha richiesto il rilascio di nuove autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande ai sensi dell’art. 5, rispettivamente, lettere B), C) e D), della legge n. 287 del 1991.
A sostegno del gravame, deduce che l’Amministrazione avrebbe opposto i dinieghi impugnati – e segnatamente quelli opposti sulle istanze del 25.03.2003 e del 31.03.2003 – quando sulle istanze stesse si era ormai formato il silenzio assenso per decorso del termine di sessanta giorni previsto dalla legge. Deduce, invero, che le notificazioni delle determinazioni impugnate devono considerarsi nulle, in quanto compiute in violazione dell’art. 140 c.p.c. e, comunque, ove il Collegio le ritenesse validamente eseguite, si sarebbero perfezionate dopo la scadenza del termine di formazione del silenzio assenso.
2.1 Rileva il Collegio che la decisione della controversia imponga l’esame preliminare della questione, già in passato oggetto di vaglio da parte dei giudici amministrativi, concernente i presupposti per la formazione del silenzio assenso ai sensi dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990 e del relativo regolamento attuativo adottato con d.P.R. 26 aprile 1992, n. 300.
In sintesi, occorre accertare se, nella vigenza della disciplina applicabile ratione temporis all’odierno gravame, con riferimento alle istanze proposte dal ricorrente rispettivamente nelle date 25.03.2003, 31.03.2003 e 7.04.2003, si sia formato il silenzio assenso per decorso del termine di sessanta giorni o se le determinazioni oggetto di gravame siano state tempestivamente comunicate, impedendo, per tale via, la formazione del silenzio assenso, ovvero, ancora, se ricorressero nella specie elementi comunque ostativi rispetto alla formazione del silenzio assenso.
2.2 Come è noto, l’art. 20 della legge n. 241 del 1990 ha introdotto in via generale nell’ordinamento lo strumento di semplificazione procedimentale del silenzio assenso, la cui formazione dipende dal decorso del termine massimo di durata del procedimento amministrativo, in mancanza di atti interruttivi o del provvedimento conclusivo di competenza dell’amministrazione procedente.
Il regolamento attuativo della citata disposizione legislativa disciplina le condizioni per la formazione del silenzio assenso, precisando che "l’atto di assenso di cui all’articolo 20, comma 1, della legge si considera formato quando la domanda è conforme alle disposizioni di cui all’articolo precedente" (art. 4, comma 1) e che la domanda del privato deve: a) "identificare le generalità del richiedente e le caratteristiche specifiche dell’attività da svolgere"; b) avere "allegata una dichiarazione del richiedente che indichi la sussistenza dei presupposti, ivi compreso il versamento di eventuali tasse e contributi, e dei requisiti prescritti dalla legge per lo svolgimento di quell’attività"; c) contenere i dati necessari per verificare il possesso o il conseguimento dei particolari requisiti soggettivi eventualmente richiesti dalla legge per lo svolgimento dell’attività (art. 3, comma 2).
2.3 Le citate disposizioni regolamentari sono state teleologicamente interpretate dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che lo strumento di semplificazione del silenzio assenso non può essere piegato a finalità elusive del dato legislativo, determinando la formazione del titolo abilitativo tacito in mancanza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla legge per lo svolgimento dell’attività. Ed invero, se la norma legislativa o regolamentare imponga per il rilascio del titolo determinati requisiti soggettivi ed oggettivi, il privato non può, confidando nell’inerzia dell’amministrazione, ritenere acquisiti il titolo e la legittimazione all’esercizio dell’attività, in palese spregio delle previsioni normative di settore.
Più in particolare, la Sezione, pronunciandosi su fattispecie analoga a quella oggetto del presente gravame, ha chiarito "che possa configurasi l’istituto del silenzio assenso solo quando risulti che l’interessato sia in possesso di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti per l’espletamento dell’attività", di talché "è da escludere che l’interessato, che non può ottenere l’autorizzazione perché manca di requisiti oggettivi o soggettivi, possa eludere le prescrizioni fissate dalla legge o dai regolamenti comunali attraverso la procedura del silenzio assenso, fidando nei ritardi della Amministrazione" (T.A.R. Lazio, sez. II Ter, 20 gennaio 2006, n. 460; in senso adesivo, v. Id. 28 novembre 2005, n. 12441; Id. 28 gennaio 2003, n. 500; Id. 28 gennaio 2003, n. 499; Id. 6 marzo 2002, n. 1745).
In linea con il menzionato indirizzo giurisprudenziale, in tempi ancora più recenti, la giurisprudenza amministrativa, pronunciandosi sulle autorizzazioni commerciali disciplinate dagli artt. 7 e. 8 del d. lgs. n. 114 del 1998, ha precisato che "l’interessata, con la presentazione di un modulo incompleto dal quale non si evinceva la sussistenza in capo alla stessa dei requisiti di legge (per es. quanto ad agibilità dei locali), non può pretendere, valendosi del silenzio assenso, di eludere le prescrizioni normative. Ad opinare diversamente, del resto, dovrebbe riconoscersi l’idoneità a far decorrere il termine per la formazione del silenzio anche in capo a dichiarazioni nulle o al limite inesistenti (ad es. sprovviste di sottoscrizione: conclusione che risulta, palesemente, del tutto assurda)" (T.A.R. Toscana, sez. II, 17 aprile 2009, n. 669).
Sulla medesima lunghezza d’onda, si colloca anche il giudice amministrativo di ultima istanza, affermando il principio che spetta all’interessato, il quale intenda invocare la formazione del silenzio assenso ai sensi dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990, dimostrare, oltre al decorso del tempo, la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie disciplinata dalla legge, integrati dai requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per lo svolgimento dell’attività cui si riferiva l’istanza (C.d.S., sez. 11 febbraio 1999, n. 145).
2.4 Traslando i superiori principi all’odierno gravame, non può che rilevarsi come sulle istanze del ricorrente non si sia formato alcun provvedimento abilitativo per silenzio assenso.
Ed invero, perché possa ritenersi formato il titolo abilitativo tacito alla scadenza del termine di sessanta giorni previsto dalla Tabella C allegata al d.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, come modificata ed integrata dal d.P.R. 9 maggio 1994, n. 407, occorre che l’istanza del privato sia conforme alle previsioni degli artt. 3 e 4 del d.P.R. n.300 del 1992 e, pertanto, rechi l’indicazione di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per lo svolgimento dell’attività economica. Ciò al fine di permettere all’Amministrazione procedente di eseguire le verifiche di competenza nel termine di conclusione del procedimento fissato dalla legge.
Nel caso di specie, ciò che massimamente rileva è la mancata allegazione alle istanze in data 25.03.2003, 31.03.2003 e 7.04.2003 della dichiarazione dell’istante recante l’indicazione analitica dei requisiti soggettivi ed oggettivi prescritti dalla legge per lo svolgimento dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (art. 3, comma 2, del d.P.R. n. 300 del 1992). Né per superare la evidente violazione della norma regolamentare è sufficiente richiamare, come sembra fare il ricorrente, la circostanza che le istanze siano state formalizzate su modello predisposto dall’Amministrazione, in quanto l’uso di detto modello per redigere l’istanza di autorizzazione non esclude l’osservanza della chiara previsione regolamentale, la quale impone di allegare all’istanza una specifica dichiarazione sottoscritta dall’istante.
In sintesi, la mancata allegazione della dichiarazione, come correttamente evidenziato dal Comune di Roma con la nota del 20.06.2003, ha nella specie impedito la formazione del silenzio assenso alla scadenza del termine di sessanta giorni.
2.5 L’accertata assenza dei presupposti per la formazione del silenzio assenso rende priva di interesse la censura del ricorrente riferita alla nullità delle notifiche dei provvedimenti di diniego oggetto dell’odierno gravame, in quanto, al di là dell’effetto interruttivo invocato dall’Amministrazione e ricondotto alle predette notifiche, l’impossibilità di formazione del titolo abilitativo tacito risiede nella chiara previsione normativa sopra richiamata, come interpretata alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale dominante, condiviso dalla Sezione.
2.6 Si palesano, invece, infondate le ulteriori censure formulate dal ricorrente, l’una riferita ad un presunto difetto di motivazione dei dinieghi oggetto di gravame, l’altra alla supposta violazione dell’art. 3, comma 6, lettera D) della legge n. 287 del 1991.
Quanto alla prima, rileva il Collegio che con i provvedimenti gravati l’Amministrazione ha chiaramente invocato, quale profilo ostativo rispetto al rilascio delle richieste autorizzazioni, la determinazione dei parametri numerici ottimali da parte dell’ordinanza sindacale n. 127 del 30.11.1999, attuativa dell’art. 4, comma 3, della legge n. 287 del 1991. Di qui l’impossibilità di rilasciare nuove autorizzazioni del tipo richiesto dal ricorrente nel territorio del Municipio I.
Quanto alla seconda, con la quale il ricorrente invoca la non applicabilità dei parametri numerici alle attività, come la propria, di intrattenimento e svago svolte congiuntamente a quelle di somministrazione di alimenti e bevande, non può che rilevarsi come l’art. 3, comma 6, lettera D) della legge n. 287 del 1991 si riferisca esclusivamente alle attività "prevalenti" di intrattenimento e svago. Nel caso di specie, la necessaria prevalenza non emerge né dalle istanze del ricorrente, né dalla documentazione allegata alle medesime istanze.
In sintesi, non avendo il ricorrente dimostrato, come era suo preciso onere, la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 3, comma 6, lettera D) della legge n. 287 del 1991, non può certamente dolersi in sede giurisdizionale della mancata applicazione della norma da parte dell’Amministrazione procedente. Né, peraltro, tale prova è stata fornita nel corso del giudizio, di talché non emergono elementi per censurare la decisione adottata dall’Amministrazione.
3. Gli argomenti sin qui spesi evidenziano l’integrale infondatezza del ricorso introduttivo, che deve pertanto essere respinto.
Deve, conseguentemente, essere respinta la domanda di risarcimento danni, non ricorrendo i presupposti costitutivi della fattispecie risarcitoria invocata dal ricorrente.
4.1 Si palesano, invece, inammissibili per carenza di interesse i motivi aggiunti.
4.2 Con essi il ricorrente, invocando la titolarità dei titoli abilitativi all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande in virtù di silenzio assenso sulle istanze del 25.03.2003, 31.03.2003 e 7.04.2003, ha impugnato la delibera consiliare n. 35 del 2010, nella parte in cui venisse comunque ritenuta ostativa all’accoglimento delle istanze originarie.
Ad avviso del ricorrente, avendo egli acquisito per silenzio assenso i titoli abilitativi prima dell’adozione della delibera n. 35 del 2010, sussisterebbero i presupposti per la conversione dei predetti titoli ai sensi dell’art. 25 della legge regionale n. 21 del 2006 e dell’art. 28 della delibera n. 35 del 2010.
4.3 Rileva anzitutto il Collegio che l’accertata mancata formazione dei titoli abilitativi taciti per silenzio assenso, esclude in radice ogni possibilità di applicazione della conversione invocata dal ricorrente.
Inoltre, l’integrale infondatezza del ricorso principale priva di interesse l’ulteriore gravame proposto avverso la delibera consiliare n. 35 del 2010, la cui applicazione, nei procedimenti sottoposti al presente vaglio giurisdizionale, non è stata mai formalmente invocata dall’Amministrazione in sede procedimentale (né avrebbe potuto essere invocata, tenuto conto della sua sopravvenienza rispetto alla formale chiusura dell’iter dei diversi procedimenti avviati a seguito delle istanze del ricorrente).
I motivi aggiunti devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
5. Per la natura delle questioni scrutinate sussistono comunque giusti motivi per compensare spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. Seconda Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:
a) respinge il ricorso introduttivo;
b) respinge la domanda di risarcimento danni proposta con il ricorso introduttivo;
c) dichiara inammissibili i motivi aggiunti;
d) compensa spese, diritti ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere
Giuseppe Chine’, Primo Referendario, Estensore

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