Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-01-2013) 22-03-2013, n. 13526

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Reggio Calabria ha affermato la responsabilità dell’imputato in epigrafe in ordine ai reati cui agli art. 495, 624 e 625 cod. pen.. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria.
L’imputazione attiene a false dichiarazioni sull’identità rese a pubblico ufficiale; nonchè alla sottrazione, con destrezza, di un computer dall’interno di un negozio XXX.
2. Ricorre per cassazione l’imputato.
2.1 Con il primo motivo si espone che erroneamente è stata ritenuta la falsità delle dichiarazioni sull’identità rese il 18 aprile 2006, argomentando solo dal fatto che il ricorrente aveva in precedenza dichiarato differenti dati identificativi. Tale diversità non chiarisce quale delle dichiarazioni sia mendace e, d’altra parte, le dichiarazioni rese nel corso dei precedenti controlli non sono oggetto di contestazione.
2.2 Con il secondo motivo si censura la motivazione per ciò che attiene all’affermazione di responsabilità per il furto. Essa è basata esclusivamente sulle dichiarazioni del derubato che, tuttavia, mostrano diverse incongruenze. Nelle prime dichiarazioni alla polizia costui aveva mostrato meri sospetti e non aveva descritto le fattezze dei presunti ladri, mentre in un momento successivo ha fornito indicazioni precise ed ha pure riferito di una presenza assidua nel negozio. Inoltre, dalle dichiarazioni rese non emergono circostanze tali che possano rendere plausibili le dichiarazioni accusatorie.
2.3 Con il terzo motivo si censura la ritenuta aggravante della destrezza. Non vi è per nulla prova di una particolare abilità visto che il notebook si trovava esposto in uno scaffale e che l’imputato, dopo la presunta sottrazione, si è allontanato con un’andatura rigida e goffa.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 La sentenza impugnata considera che l’imputato conduce un regime di vita irregolare, caratterizzato da illeciti; e che in tale contesto si colloca la studiata indicazione di generalità sempre diverse al fine di evitare che, attraverso l’identificazione, venga collegato ai diversi reati commessi. Le censure difensive, avuto riguardo alla natura dei fatti così come ricostruiti in modo non censurabile dalla Corte d’appello, non sono pertinenti. Infatti, il giudice non assume che alcune delle diverse dichiarazioni rese sia autentica ad altre false, ma argomenta che lo stile di vita è improntato proprio alla falsità delle diverse dichiarazioni.
2.2 Quanto al reato di furto la sentenza reca una analitica ricostruzione della vicenda: la quasi quotidiana presenza dell’imputato in compagnia di una donna, in un negozio di computer, senza un’apprezzabile ragione; la constatazione della scomparsa di un notebook esposto, subito dopo che i due si erano allontanati dall’esercizio con un atteggiamento inconsueto, come di chi nasconda indosso qualcosa di ingombrante; il casuale riconoscimento del ladro incontrato qualche giorno dopo in strada; l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal responsabile del negozio.
Tale apprezzamento si sottrae alle indicate censure che, anche attraverso la riproduzione di isolati brani degli atti di prova, tentano di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione del merito.
In breve, due dati altamente significativi ed ineludibili, posti in luce dalla Corte di merito, legano l’imputato al reato: la sottrazione avvenuta sicuramente in concomitanza con la presenza del negozio, come dimostrato dal fatto che l’addetto se ne avvide cinque minuti dopo; ed inoltre la goffa andatura, inusuale, spiegabile solo con il nascondimento indosso della refurtiva.
3.3 Quanto all’aggravante, si argomenta che pur non essendosi in presenza di straordinaria abilità, la condotta si caratterizza per una studiata accortezza che ha consentito di eludere la vigilanza del commesso e di occultare indosso ingombrante oggetto. Tale apprezzamento è conforme ai principi ed immune da vizi logici, dandosi conto di condotta indubbiamente di non trascurabile abilità.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2013

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