Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 20-03-2013, n. 12850 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 11/11/2011 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Gip presso il Tribunale di Roma in data 07/05/2009 che ha assolto Ma.Pr. dal reato di cui all’art. 609 quater c.p. in relazione al compimento di atti sessuali con la figlia minore.

2. Ha proposto ricorso per cassazione per gli interessi civili la parte civile M.M.L. in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulla minore.

Con un unico motivo deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al dubbio sulla piena attendibilità processuale delle dichiarazioni della persona offesa Ma.Li., posto che la Corte, pur avendo valorizzato, nel senso dell’inattendibilità le particolarità genetiche dell’istruttoria (in particolare la mancanza di una rivelazione iniziale da parte della bambina, nè specifica, nè generica, nè sospetta, di un patito abuso), non avrebbe tenuto conto di comportamenti tenuti dalla stessa bambina significativi nel senso contrario. Anche l’ulteriore argomentazione della Corte, ovvero la valorizzazione di numerosi colloqui tra L. e la mamma, da questa finalizzati a sollecitare la memoria della bambina sui presunti abusi, e che avrebbero poi influito sulle risposte dalla piccola date al consulente del P.M. e al Gip in sede di incidente probatorio, sarebbe viziata da evidenti profili di illogicità e contraddittorietà, tenuto conto in particolare del fatto che il racconto di L. sarebbe rimasto assolutamente univoco e coerente in tutte le occasioni e del fatto che la genuinità della minore non sarebbe stata alterata, come confermato dalla consulente del P.M., da interferenze, suggestioni, contaminazioni o confabulazioni.

3. In data 11/01/2013 la Difesa dell’imputato ha depositato memoria con allegate note di udienza già svolte innanzi alla Corte d’appello. Sotto un primo e principale profilo si lamenta che il ricorso è volto a sollecitare, per di più attraverso il riferimento a specifici atti del processo riportati solo parzialmente, una lettura alternativa del materiale probatorio con conseguente inammissibilità dello stesso. Sotto un secondo profilo, sollecita comunque il rigetto del ricorso essendo la sentenza impugnata ampiamente e logicamente motivata. Riepilogate sul punto le ragioni a supporto della decisione esposte dalla Corte con riguardo in particolare alla peculiare genesi della vicenda, caratterizzata da mancanza di dichiarazioni della persona offesa, ai condizionamenti anomali subiti dalla bambina in particolare da parte della madre, alle modalità non corrette delle audizioni della bambina da parte della consulente del P.M., alle contaminazioni dichiarative da parte di terzi, ed infine alla disamina del contenuto dell’incidente probatorio, la memoria rimarca l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è inammissibile.

Va premesso come questa Corte abbia ripetutamente affermato che in sede di giudizio di legittimità non sono proponibili doglianze volte a porre in discussione gli aspetti fattuali della vicenda oggetto del processo o mirate a proporre una lettura alternativa rispetto a quella che il giudice di merito, con argomentazioni non inficiate da carenze motivazionali o logiche, abbia effettuato. Si è infatti, sul punto, specificamente sottolineato che, anche successivamente alla modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, il sindacato della Cassazione continua a restare quello di sola legittimità sì che continua ad esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (tra le tante, Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893). Rimane fermo, cioè, il divieto per la Cassazione – in presenza di una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria – di una diversa valutazione delle prove, anche se plausibile. Di conseguenza, non è sufficiente, per invocare il nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del procedimento siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione diversa e più persuasiva di quella operata nel provvedimento impugnato; occorre che le prove, che il ricorrente segnala a sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento svolto dal Giudice sì da rendere illogica o contraddittoria la motivazione (cfr., tra le tante, Sez. n. 23781 del 24/05/2006, Billeci e altro, Rv. 234152).

4.1. Nella specie, invece, è proprio questa l’opzione metodologica su cui appare fondarsi il ricorso della parte civile pur apparentemente ricondotto, nel suo unico complessivo motivo, alla contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, avendo la parte ricorrente contrapposto una propria lettura delle emergenze processuali a quella, sorretta da logica e ampiamente argomentata, della Corte romana, e avendo in definitiva inammissibilmente censurato l’opera di valutazione del compendio probatorio in particolare attraverso la deprecata sottovalutazione di alcuni elementi rispetto ad altri.

La sentenza impugnata, di conferma dell’esito cui già era pervenuto il giudice di primo grado, ha infatti essenzialmente fondato l’epilogo assolutorio sulla ritenuta mancanza di prova certa in ordine alla attendibilità e genuinità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa Ma.Li., di anni quattro all’epoca dei fatti, dando di tale convincimento, maturato dopo l’esaustiva disamina in particolare delle modalità di formazione di tale compendio dichiarativo, una motivazione esaustiva e logica; nè la Corte territoriale, nel procedere alla disamina di dette dichiarazioni, è incorsa in affermazioni contrastanti con i principi più volte affermati da questa Corte relativamente ai criteri normativi di valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, in particolare vittima, in tenera età, di reati sessuali, di cui è necessaria una scrupolosa ed attenta disamina.

La sentenza ha sottolineato, sulla base di una corretta lettura dei dati a sua disposizione, che: 1) mai la minore ebbe a raccontare spontaneamente ed autonomamente (all’infuori cioè di domande appositamente rivoltele su eventuali abusi subiti) di atti sessuali da parte del padre; 2) tali rivelazioni furono effettuate, e non in occasione del primo incontro avutosi, solo dinanzi al consulente nominato dal P.M. al solo fine, peraltro, di verificarne la capacità a testimoniare, dopo che la madre aveva riferito, difformemente dalla realtà, che sul pigiama della bambina erano state rinvenute tracce di sperma, così venendo iniziate indagini apposite; 3) in precedenza, e segnatamente nel corso appunto del primo colloquio tra minore e consulente, nessuna accusa era stata mossa dalla prima al padre; 4) all’interno del lasso temporale di svolgimento della suddetta indagine psicologica svolta dalla consulente e risoltasi in quattro "interviste", erano intervenuti numerosi colloqui tra la minore e la madre, anche alla presenza di estranei (tra cui un pranzo al mare cui aveva partecipato anche un ispettore di polizia interessato alle indagini) in cui la memoria della bambina era stata, anche per il tramite di disegni, sollecitata su temi ed argomenti (in particolare quello delle "code", mai emerso in precedenza) poi trattati dalla consulente attraverso le domande rivolte; 5) altri colloqui casalinghi, preliminari e preparatori alle interviste della consulente, e sul cui contenuto ed andamento nulla era dato sapere, si erano poi svolti tra madre e figlia da cui, in relazione a specifici aspetti (in particolare di "coda" del padre da cui usciva liquido e da toccare) erano usciti appunti poi consegnati alla consulente ed utilizzati per porgere alla minore domande su quegli stessi temi.

Ha ritenuto quindi la Corte, del tutto logicamente, che tali "peculiarità" non possano non avere pregiudicato il processo di verificabilità della genuinità delle dichiarazioni della minore, tanto più necessario stante la genesi di una vicenda sorta, appunto, per effetto di un dato non veritiero (la presunta presenza di sperma dell’imputato sul pigiamino della figlia) e, ancor più reso di impossibile univoca soluzione attese le continue, provate, interferenze della madre durante le interviste (specie le prime due) della consulente, il subitaneo esordio della minore in sede di incidente probatorio circa le "cose brutte" subite dal padre senza neppure attendere domanda sul punto, e la necessità, quanto a particolari concreti riferiti comunque dalla minore ed invocati dalla parte civile ricorrente, di considerare l’intero contesto dell’esame (in particolare, con riferimento al termine "spruzzare", usato in incidente probatorio, l’impiego dello stesso termine, poco prima, da parte della esperta con riferimento al gioco di tatuaggi a timbro).

Sicchè, in definitiva, la sentenza impugnata ha, oltre che nella forma (attesa la operata "conferma" della sentenza del Gip), anche nella sostanza della motivazione condiviso la fondamentale ragione di assoluzione dell’imputato, ovvero la sussistenza del fondato dubbio sull’attendibilità della persona offesa derivato, in via preliminare, dalla oggettiva constatata contaminazione del processo dichiarativo.

In ciò i giudici hanno, del resto, fatto corretta applicazione dei principi più volte enunciati da questa Corte, se è vero che, da un lato, anche la ricostruzione della genesi della notizia di reato, delle reazioni emotive e delle domande degli adulti coinvolti e delle ragioni dell’eventuale amplificazione nel tempo della narrazione rappresentano utili strumenti al fine di controllare che il minore non abbia inteso compiacere l’interlocutore ed adeguarsi alle sue aspettative (Sez. 3, n. 24248 del 13/05/2010, O.J., Rv. 247285) e che, dall’altro, i minori possono essere dichiaranti attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni etero indotte, specie laddove lo scambio di informazioni e dati tra individui, quand’anche avvenuto in buona fede, può condurre a modifiche anche radicali nelle convinzioni relative a quanto accaduto e, nella sua forma estrema, determina il formarsi di convincimenti che non corrispondono alla realtà dei fatti (cfr. Sez. 3, n. 37147 del 18/09/2007, P.M., in proc. S., Rv.

237553).

5. Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della parte civile ricorrente, in proprio e quale legale rappresentante della minore, al pagamento delle spese processuali e, considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2013
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