Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-07-2012, n. 13500

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 23/02/05, depositata il 2.3.05, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto parzialmente il ricorso proposto da O.R. nei confronti dell’avviso di accertamento con il quale l’amministrazione aveva recuperato a tassazione, ai fini IRPEF ed ILOR, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, ricavi costituiti da versamenti non contabilizzati e prelevamenti corrispondenti a costi non documentati, effettuati dal contribuente sui propri conti bancari.

2. La CTR – dopo avere rigettato, in via pregiudiziale, l’eccezione di ultrapetizione proposta dall’Agenzia delle Entrate – riteneva ingiustificato il recupero a tassazione anche dei prelevamenti, operato – a suo dire – sulla base della mera supposizione che gli stessi corrispondessero a ricavi non contabilizzati. Il giudice di appello reputava, inoltre, fondato il richiamo, operato dal primo giudice, alla dichiarazione giustificativa del contribuente in ordine ai rilievi verbalizzati nel processo verbale di constatazione, dichiarazione da presumersi – a parere della CTR – sussistente, per il solo fatto che la possibilità per il contribuente di muovere contestazioni ai rilievi dell’Ufficio è prevista, in via generale, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e sebbene – nella specie – alcuna giustificazione sottoscritta dall’ O. fosse concretamente riscontrabile in atti.

3. Per la cassazione della sentenza n. 23/02/05 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

1.1. Ritiene l’amministrazione che il giudice di appello abbia erroneamente rigettato la censura dell’Ufficio appellante circa l’extrapetizione in cui sarebbe incorso il primo giudice, essendosi quest’ultimo pronunciato sul recupero a tassazione, sia dei ricavi, costituiti da versamenti non contabilizzati in conto corrente, sia dei prelevamenti dal medesimo conto, ritenuti dall’Ufficio corrispondenti a costi non documentati; e ciò, ancorchè il contribuente non avesse proposto doglianza alcuna al riguardo.

Quest’ultimo, a parere dell’Agenzia delle Entrate, si sarebbe, invero, limitato ad una generica contestazione dell’accertamento operato dall’Ufficio, sicchè il richiamo dal medesimo effettuato all’imputazione a ricavi dei versamenti e dei prelievi, operata dall’amministrazione finanziaria, equivarrebbe all’esposizione di un mero dato di fatto, del tutto privo della valenza di una censura all’atto impositivo.

L’ O. avrebbe, difatti, incentrato – ad avviso della ricorrente – le sue contestazioni sull’inesistenza stessa di un’attività fonte di reddito, ed in particolare di un’attività di impresa, presupposto per l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2).

1.2. La censura è infondata.

1.2.1. Dall’esame del motivo di ricorso formulato, in prime cure, dall’ O. – e trascritto dall’Agenzia ricorrente – si desume, infatti, che il contribuente aveva censurato dinanzi alla CTP, sia pure in maniera molto sintetica, non solo l’inapplicabilità della norma (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) fondante il potere impositivo esercitato nel caso di specie, per la pretesa insussistenza di un’attività di impresa, ma anche la metodologia stessa seguita dall’amministrazione nella determinazione del reddito di impresa.

Ed invero, tale determinazione sarebbe stata erroneamente effettuata dall’Ufficio – secondo il contribuente – considerando le risultanze del conto corrente bancario, ed -in particolare – "accertando come ricavi sia i versamenti effettuati che i prelevamenti annotati nei conti". L’ O. aveva, pertanto, espressamente richiesto, nel giudizio di primo grado, che venisse "riconosciuta l’illegittimità del procedimento adottato" dall’amministrazione finanziaria.

Ne discende, dunque, che del tutto legittimamente il giudice di prime cure si è pronunciato su tale aspetto della domanda, e del tutto correttamente il giudice di appello ha disatteso la censura di extrapetizione mossa, al riguardo, dall’Ufficio appellante.

2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso – da trattarsi congiuntamente, attesa la loro evidente connessione – l’amministrazione finanziaria denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e degli artt. 2697 e 2727 e ss.

c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR, ad avviso della ricorrente, ad escludere dal calcolo dei ricavi recuperati a tassazione i prelevamenti operati dall’ O. sul conto corrente bancario, sulla base della "mera supposizione" – come si esprime il giudice di secondo grado – che ad essi corrispondessero costi non documentati e, quindi, sostenuti "in nero". La norma dell’art. 32 del decreto cit., per contro, porrebbe – a parere dell’Agenzia delle Entrate – una specifica presunzione ex lege dell’equivalenza dei prelievi ad acquisti "in nero", superabile soltanto dalla prova, del pari specifica, che il contribuente sarebbe tenuto a fornire circa la destinazione delle somme prelevate a finalità diverse dall’attività di impresa svolta, ovvero in ordine alla corrispondenza dei prelevamenti medesimi ad operazioni regolarmente contabilizzate. E tuttavia, siffatta dimostrazione non sarebbe stata, in alcun modo, fornita – nel caso concreto – dal contribuente.

2.2. Invero, a parere dell’amministrazione, tale prova non potrebbe certamente ravvisarsi nel richiamo – operato dal primo giudice e condiviso da quello di appello – alla dichiarazione giustificativa che il contribuente avrebbe reso, circa i rilievi operati dai verbalizzanti nel processo verbale di constatazione. Tale dichiarazione, invero, secondo l’asserto del tutto illogico ed incoerente della CTR, dovrebbe presumersi sussistente, in base alla mera considerazione dell’astratta previsione della possibilità per il contribuente di rendere giustificazioni, contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 1, n. 2, ed ancorchè di tali pretese giustificazioni dell’ O. non vi sia traccia alcuna in atti.

Di qui anche la denuncia del vizio motivazionale, dal quale – ad avviso dell’Agenzia – sarebbe affetta la decisione di seconde cure.

2.3. La censura è fondata.

2.3.1. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, infatti, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, ed a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, essendo, tra l’altro, le presunzioni inserite a pieno titolo nel catalogo delle prove tipiche disponibili per il giudice, attesa la loro collocazione nel titolo 2^ del libro 6^ (tutela dei diritti) del codice di rito, dedicato alle "prove". Anche se è evidente che le presunzioni in materia dovranno essere sottoposta ad un’attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti evidenziati dal contribuente, dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (sempre che sia grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati (cfr. Cass. 25502/11).

2.3.2. Senonchè, nel caso di specie, a fronte del predetti elementi presuntivi desumibili dai conti correnti in titolarità dell’ O., nessuna prova di segno contrario, neppure sul piano presuntivo, risulta avere offerto il contribuente. Per cui deve ritenersi sia incorsa nel denunciato vizio di violazione del disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 la CTR che abbia, erroneamente, escluso che la norma in questione si applichi anche ai prelevamenti effettuati dal contribuente sul proprio conto corrente bancario.

2.3.3. Quanto alla pretesa giustificazione dei pagamenti "in nero" che il contribuente avrebbe fornito, osserva la Corte che la motivazione dell’impugnata sentenza sul punto si palesa affetta da vizi logici, tali da inficiarne del tutto la validità.

La CTR – condividendo quanto già statuito in prime cure – ha, per vero, ritenuto sussistente una giustificazione del contribuente, circa i pagamenti non contabilizzati, da una presunta dichiarazione giustificativa dell’ O. non riscontrabile in atti, ma ritenuta – nondimeno – esistente dal giudice di appello, per il solo fatto che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 ne prevede l’astratta possibilità.

Ebbene, la motivazione in esame, oltre che del tutto scevra da logicità e congruenza, è altresì del tutto priva di riferimenti alle fonti dalle quali il giudice avrebbe tratto il convincimento di una giustificazione dell’ O. circa i rilievi formulati dall’Ufficio, palesandosi, pertanto, anche del tutto apodittica.

Per tali ragioni, pertanto, la proposta censura non può che essere accolta, anche sotto il profilo del vizio di motivazione.

3. L’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo proposto da O.R..

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’intimato soccombente, nella misura di cui in dispositivo.

Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; condanna l’intimato alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 13 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012
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