T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 19-01-2011, n. 503

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

I ricorrenti, proprietari dei terreni (identificati in catasto al foglio ) affermato di aver partecipato all’invito del comune di Roma volto ad individuare aree destinate all’housing sociale, impugnano il decreto del 25.1.2010 il Direttore Generale dei Beni culturali e Paesaggistici del Lazio – pubblicato sulla GU n. 25 del 1.2.2010- che ha dichiarato, ai sensi dell’art. 136 del d.lvo n. 42/2004, il notevole interesse pubblico dell’area qualificata "Ambito Meridionale dell’Agro Romano" compreso tra le vie Ardeatina e Laurentina (sita nel Municipio XII), che comprende tali terreni, nonché gli atti presupposti e conseguenziali; gli stessi chiedono il il risarcimento del danno conseguente all’illegittimo operato della PA.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1) Violazione degli artt. 9, 97 e 117 Cost. Violazione degli artt. 134, 135, 136 e ss. del d.lvo n. 42/2004. Violazione del principio di leale collaborazione e cooperazione tra diversi soggetti della PA. Sviamento di potere. Violazione della legge n. 1034/71. Eccesso di potere per illogicità e aggravamento della procedura amministrativa.

Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano l’illegittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo della violazione dell’art. 136 del Codice, in quanto la Soprintendenza ha imposto un vincolo su un’area estremamente estesa (5.400 ettari) e dal carattere assai eterogeneo, che non presenta i prescritti "cospicui" caratteri di bellezza naturale – che costituisce, proprio per tale presupposto di unicità, non solo l’oggetto di tale potere, ma anche il suo limite – erroneamente ravvisando nei luoghi ivi compresi un carattere identitario insussistente, facendo illegittimamente uso del vincolo paesaggistico in funzione di vigilanza sullo sviluppo urbanistico delle zone interessante, finendo con interferire con il potere di pianificazione urbanistica spettante al Comune, imponendo di fatto le modifiche che non erano state recepite nell’iter di approvazione del PRG, erroneamente assumendo la prevalenza della tutela paesistica su quella urbanistica, contestando che le osservazioni formulate dalla Soprintendenza dovessero necessariamente trovare accoglimento, come si evince chiaramente dalla stessa relazione ministeriale (a pag. 27) ove si afferma che "la tutela non può essere condizionata dagli scambi urbanistici (cd. compensazioni) intercorsi tra il comune e privati in ordine alla destinazione edificatoria di aree. Ciò anche alla luce del fatto che SBAP per il Comune di Roma, dopo aver formulato in data 10.10.2003 alcune osservazioni generali al PRG in itinere, non è stata mai consultata o coinvolta nel procedimento di formazione del Piano".

L’assunto della Soprintendenza non meriterebbe condivisione, in quanto la tutela paesistica e la programmazione urbanistica non sarebbero completamente autonome, ma costituiebbero espressioni diverse, ma concorrenti della tutela del territorio garantita da enti che devono trovare il modo di interagire nell’interesse collettivo secondo un autentico rapporto collaborativo (CDS sez. VI n. 3895/2008), per cui non è consentito all’autorità titolare della tutela paesistica di ignorare la pianificazione urbanistica preesistente.

Illegittimamente, perciò, la Soprintendenza con il provvedimento impugnato, violando il principio di leale collaborazione e cooperazione istituzionale, ha preteso di imporre autoritativamente le modifiche del PRG necessarie, sovrapponendosi alle determinazioni dell’ente territoriale, ed usando con finalità "punitive" il proprio potere, anziché attivare le iniziative, anche giudiziarie, necessarie, ed impugnare il PRG nella parte in cui aveva rigettato le osservazioni dalla stessa proposte e disattese dal Comune. L’amministrazione non avrebbe peraltro tenuto conto delle conseguenze del proprio operato in termini di impedimento della realizzazione di importanti interventi programmati e pianificati dal Comune quali, appunto, i programmati interventi di housing sociale, di importanza strategica per lo sviluppo economico e sociale della Nazione, e non avrebbe neppure considerato che avrebbe impedito in tal modo la realizzazione dell’accordo Governo – Regioni del 31.3.2009, cd. Piano Casa che ha trovato applicazione nella regione con la Legge n. 22 del 22.6.2009.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 136 e ss. del d.lvo n. 42/2004. Violazione degli artt. 97 e 117 Cost. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione, aggravamento della procedura, violazione del principio di economicità del procedimento amministrativo.

Il provvedimento soprintendentizio impugnato si pone in contrasto con il rapporto tra lo strumento di pianificazione paesistica regionale e quello ministeriale impositivo di vincoli delineato dalla vigente legislazione in materia che, a differenza della disciplina previgente, attribuisce prevalenza al ruolo pianificatorio rispetto a quello vincolistico – come attestato dall’attenzione e dalla puntualità con cui sono stati definiti i contenuti e le procedure attuative dei piani territoriali paesistici dell’art. 143 del d.lvo n. 42 del 2004 -, specie ove – come nel caso in esame – si sia preteso di predeterminare finalità e condizioni per l’eventuale modifica del territorio.

Nel nuovo sistema, la dichiarazione di notevole interesse di un bene paesistico può integrare i piani paesistici preesistenti per adeguarli alle esigenze sopravvenute – e che la Regione non abbia ancora inserito in elenchi – oppure può essere ricompresa all’interno del piano paesistico nella fase procedurale del suo rinnovo o riscrittura (art. 140 co 2 e 143 comma 1 d)) ma non può certo sostituirsi al piano paesistico o integrarlo, individuando e pianificando indiscriminatamente l’uso di un immenso ambito territoriale se non a fronte della formale integrazione degli elenchi (oggi nemmeno individuata secondo le previsioni dell’art. 141 bis); tanto non solo per il necessario rispetto degli artt. 136 e ss ma soprattutto dell’art. 117 Cost., tant’è che è riservato alla Soprintendenza il ruolo di mera proposta di una scelta vincolistica solo in via residuale e suppletiva rispetto alle proposte delle Commissioni di cui all’art. 137 d.lvo n. 42/2004 e che comunque può essere approvata dal Ministero ex art. 138 co. 3 sentito il parere regionale.

Con l’atto impugnato perciò la Soprintendenza si è integralmente sostituita alla regione in assenza dei presupposti di cui all’art. 141 bis, intervenendo unilateralmente a pochi mesi dalla chiusura della procedura per l’adozione del PTPR già di per se introduttivo di nuovi vincoli, che ha visto coinvolti tutti gli uffici regionali e ministeriali competenti, contraddittoriamente lamentando la propria mancata partecipazione a tale procedimento, quando invece vi aveva attivamente preso parte mediante la partecipazione alla Commissione Tecnico Scientifica che ha redatto e disegnato materialmente i confini del Piano e scritto le norme attuative dello stesso.

La Soprintendenza s’è perciò arrogata il potere di "correggere" autoritativamente gli strumenti urbanistici e paesistici senza tener conto che, nel nuovo sistema, l’imposizione di vincoli ex art. 140 è suppletiva rispetto al contenuto del PTPR che invece recepisce i vincoli preesistenti e costituisce strumento principe della tutela paesistica, contenente tutte le previsioni per la tutela e l’utilizzo del territorio vincolato (art. 143) mentre l’imposizione di vincoli ulteriori è meramente integrativa. Invece la Soprintendenza, che sta partecipando alla redazione del PTPR in itinere in tal modo ha illegittimamente utilizzato due volte il medesimo potere impositivo – prima come partecipante alla redazione del PTPR e poi come supplente della Regione con poteri sopraordinati sulla tutela del territorio – nella medesima procedura e sui medesimi territori in violazione del principio di leale collaborazione tra le istituzioni, nonché di buon andamento ed imparzialità della PA.

3) Reiterata violazione dell’artt. 136 del d.lvo n. 42/2004. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifesta della motivazione.

I ricorrenti rilevano, oltre agli errori sopra evidenziati, anche la contraddittorietà della valutazione nel merito delle aree da vincolare, denunciando la mancata esatta individuazione delle specifiche cose da tutelare e la mancata descrizione del carattere di cospicua bellezza che si intendeva tutelare, tantomeno la documentazione di queste. Infatti nella relazione illustrativa viene menzionato un unico ritrovamento, peraltro a distanza di 3 km dal confine dell’area perimetrata dal vincolo, nonché la presenza di resti di età romano non individuate all’interno dei 1500 ettari vincolati; senza ricostruire i tracciati storici, nè indicarne consistenza e visibilità, cosi come delle testimonianze non è specificato lo stato di conservazione e l’effettiva rilevanza storica. Lo stesso dicasi per le cospicue bellezze geologiche, naturali e vegetazionali pretesamente presenti, ma non meglio identificate; rilievi critici analiticatamente formulati nelle osservazioni a margine della relazione tecnica alla proposta di vincolo. Carenze gravi ed in contrasto con l’effettivo stato dei luoghi, trattandosi di area ampia ed in molta parte compromessa dall’edificazione come si evince dalla documentazione fotografica allegata.

Si è costituita in giudizio, per resistere, l’Amministrazione intimata con memoria scritta a sostegno del proprio operato.

Con memoria conclusionale i ricorrenti hanno replicato alle difese della parte avversa

L’Amministrazione ha prodotto ulteriori controdeduzioni in vista dell’udienza.

All’udienza pubblica odierna il ricorso è trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Deve essere precisato in fatto che le aree di proprietà dei ricorrenti, come esattamente dimostrato dagli atti dell’istruttoria svolta dall’amministrazione, sono qualificate dal piano regolatore di Roma come agro romano, ma sia il PTP che il PTPR le ha qualificate, nelle varie parti, come paesaggio agrario di valore, di rilevante valore, paesaggio naturale di continuità e fascia di rispetto del fosso della Castelluccia.

La posizione dei ricorrenti, sul piano urbanistico, è quindi di mera aspettativa rispetto ad un’iniziativa comunale ancora in itinere relativa ad interventi che ancora dovevano essere localizzati al momento dell’adozione del provvedimento.

Volendo sintetizzare le censure dedotte nel ricorso, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo, poiché il potere di pianificare il territorio sarebbe riservato alle Regioni, l’amministrazione centrale avrebbe solo la possibilità di integrare, ma non di modificare il PTPR una volta adottato, non potrebbe incidere sulle previsioni degli strumenti pianificatori comunali approvati e comunque dovrebbe agire secondo i canoni della leale collaborazione, consultando sia la regione che i comuni ed agendo in modo da contemperare sviluppo economico ed edilizio, cristallizzato in procedimenti ormai conclusi, con tutela del paesaggio.

La tesi non può essere condivisa se si tiene conto della gerarchia dei poteri sancita dopo le modifiche al Codice urbani del 2008.

Al fine di meglio inquadrare la questione, è quindi necessario operare una ricostruzione della materia alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale ed in particolare della novella successivamente introdotta al Codice dei BB.CC.PP., con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63.

Le modifiche introdotte nel 2008 al codice Urbani nell’originaria versione sono di estrema rilevanza per la decisione della presente controversia, poiché per scelta del legislatore espressamente sancita, in particolare, sia nell’art.131 comma 3 che nell’art. 138 comma 3, all’originario esclusivo potere regionale di riconoscere il notevole interesse pubblico di immobili ed aree da sottoporre a tutela, in quanto riconosciuti beni paesaggistici, previo apposito procedimento, il legislatore ha accostato, facendola espressamente salva la " potestà esclusiva" dello Stato, a sua volta esercitatile previo procedimento, sia pure differenziato nelle modalità di avvio e di partecipazione sia della regione che dei comuni.

E’ bene chiarire che tali norme non si riferiscono al potere di pianificazione paesaggistica, che resta attribuito alla regione, ma al superiore potere di individuare i "beni paesaggistici", da sottoporre a specifica tutela anche attraverso l’indicazione di norme d’uso e di indirizzi finalizzati alla conservazione non degli immobili e delle aree in sé considerati, ma "dei valori"espressi dal loro insieme in un dato luogo, espressione questa che non esclude dunque anche interventi di recupero e trasformazione delle varie componenti il bene paesaggistico – nella loro individualità od in complessi ben definiti- purchè ispirati ai principi chiaramente espressi dall’art. 138 secondo periodo.

Tutto l’art. 131, nella sua nuova versione introdotta dalla novella del 2008, insiste infatti nell’affermare che tutti i soggetti che intervengano sul paesaggio e quindi anche le regioni devono assicurare " la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari", mentre è sancito che gli interventi sul territorio devono essere informati ad un " uso consapevole e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti ai criteri di qualità e sostenibilità".

Si tratta in sintesi di una riappropriazione di potere rispetto all’originaria impronta del codice che lasciava ampio spazio alle regioni sia nell’autonoma individuazione dei "beni paesaggistici" sia nella gestione di quella parte del paesaggio da recuperare o sviluppare attraverso i piani paesaggistici estesi a tutto il territorio regionale.

Quando, nell’ambito del distinto procedimento di pianificazione paesaggistica e nell’esercizio dei poteri che in tali ipotesi la legge attribuisce al Ministero, si determini una divergenza di valutazioni sulla conservazione di oggettivi valori insiti in specifiche aree e si verifichi la prevalenza di scelte finalizzate alla gestione del territorio a fini di sviluppo edilizio ed urbanistico che appaia oggettivamente incompatibile con la tutela di valori costituzionali primari e sia quindi impossibile un’azione condivisa, è dunque "…fatto salvo il potere del Ministero…" (così recita la norma) di cui all’art. 138, 3° co. di imporre, previo parere della Regione, autonomi vincoli, se ciò è ritenuto necessario in rapporto alla messa in pericolo dei valori paesaggistici del territorio.

Come ricordato anche dalla relazione allo schema di decreto legislativo, con la novella – previo parere della Conferenza Unificata StatoRegioni — è stato riconosciuto, e disciplinato, "… il potere dello Stato di proporre vincoli paesaggistici, indipendentemente dal concomitante esercizio della medesima attività da parte delle regioni, in conformità, peraltro, a quanto già da tempo stabilito in materia dalla corte Costituzionale con la sentenza 1424 luglio 1998 n.334…"

Tale nuova suddivisione del potere è coerente con la cornice delineata dalla Costituzione.

In linea di principio, infatti, sotto il profilo costituzionale, la "…tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali…" è affidata alla competenza esclusiva dello Stato, mentre è attribuita alla legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.) la "valorizzazione dei beni ambientali".

La formulazione dell’art. 117 della Costituzione, in realtà non menziona direttamente tra le materie nominate "il paesaggio" per cui la predetta disposizione deve essere coordinata con l’art. 9 Cost. che, con una delle disposizioni fondamentali, assegna la "tutela del paesaggio alla Repubblica, e quindi,quanto siano in gioco interessi nazionali, allo Stato.

Il paesaggio — che oggi non deve essere inteso nel limitato significato, meramente estetico, di bellezza naturale considerata – ma come tutela del complesso dei valori inerenti il territorio" (cfr. Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379) è un valore "primario" ed "assoluto", in quanto il termine paesaggio indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato (cfr. Corte cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183). In tale prospettazione è dunque evidente che il "paesaggio" attenendo ad un valore costituzionalmente protetto, supporta anche competenze regionali, nell’ambito degli standard di tutela stabiliti dallo Stato ma necessita di una tutela che non può che essere unitaria (arg. ex Corte Cost., 22 luglio 2004 n. 259).

La Corte Costituzionale in più pronunce ha ribadito che la tutela ambientale deve infatti essere considerata come una tutela "d’insieme" e non concerne esclusivamente i singoli elementi che la compongono in quanto attraverso l’imposizione dei vincoli paesistici, si salvaguarda la tutela del paesaggio, ed al contempo, anche l’ambiente (cfr. Cons. Stato VI, 22 marzo 2005, n. 1186).

Sul territorio gravano più interessi pubblici che tra di loro sono naturalmente antinomici quali quelli concernenti in particolare:

– la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura, secondo le modifiche recenti al codice, è stata di nuovo riservata in via esclusiva allo Stato, e che attiene — come obbligo morale verso le generazioni future e come legame fra la salvaguardia della natura e l’identità nazionale — al profilo della conservazione di una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento. il territorio naturale;

– il governo, l’utilizzo e la valorizzazione dei beni ambientali, intesi essenzialmente come fruizione e sfruttamento del territorio medesimo che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, fatta salva l’autonoma potestà tuttora riconosciuta alle Regioni di individuare, con lo specifico procedimento previsto dall’art. 138 comma 1, "beni paesaggistici" ovvero aree aventi le caratteristiche di notevole interesse pubblico (cfr. Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 180).

Coerentemente con questa impostazione la Corte Costituzionale ha affermato che l’oggetto della tutela del paesaggio non è il concetto astratto delle "bellezze naturali", ma l’insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano "valore paesaggistico",per cui la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, deve essere considerata un valore primario ed assoluto, che precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

Il Codice dei Beni Culturali, nella versione vigente, all’art. 131 del d.lgs. n.41/2004 e s.m. prevede che:

"1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.

2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità" nazionale, in quanto espressione di valori culturali.

3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni (e delle province autonome di Trento e di Bolzano cfr. corte cost. 29/7/2009, n.226) sul territorio, le norme del presente Codice definiscono i principi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici."

Pertanto se, in via ordinaria, ai sensi dell’art. 135 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i., in conformità ai principi costituzionali e con riguardo all’applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 dall’art. 5 del cit, d.lgs, la conoscenza, tutela e valorizzazione del paesaggio è assicurata tramite la pianificazione paesaggistica e a tale fine le Regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle forme previste dall’articolo 143 d.lgs. 42/04 e s.m.i., sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico – territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, tuttavia tale assetto ordinario delle competenze trova un limite, ai sensi del terzo comma dell’art. 131 del Codice, nella ricordata "… potestà esclusiva" dello Stato di tutela del paesaggio che si pone come preciso limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni sul territorio.

Il potere esclusivo di intervento dello Stato, come anticipato in precedenza, è specificato proprio nell’articolo 138 commi 3° (nel testo significativamente introdotto dall’articolo 2, comma 1, lettera h) del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63) del codice dei Beni Culturali per cui

"E’ fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’articolo 136.". Con tale novella si è ritenuto di dover far luogo ad una norma di chiusura del sistema, a garanzia di una tutela effettiva del paesaggio come valore costituzionale nel momento in cui si è modificato il procedimento paesistico.

Ma, come evidente dalla sua stessa costruzione letterale, che non prevede limiti d’intervento, non si tratta una potestà né concorrente, né sussidiaria, e né suppletiva, ma di uno speciale ed autonomo poteredovere d’intervento che l’Ordinamento giuridico ha approntato quando, sulla base di valutazioni assolutamente discrezionali, possa essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato. Ed è significativo che il legislatore abbia introdotto tale modifica in aggiunta al già disciplinato potere sostitutivo in materia di pianificazione paesaggistica, disciplinato dagli artt. 156, 3 comma e 143,2 comma. Si è voluta in tal modo ribadire la coesistenza di un duplice e distinto potere attribuito all’amministrazione centrale, il primo spettategli in via diretta sulla base dei principi costituzionali ed il secondo, funzionale alla valorizzazione del paesaggio, in via sostitutiva.

Il riconoscimento del notevole interesse pubblico di una porzione dell’ "Agro romano"qui impugnato (come sarà più evidente in seguito) è coerente con tali principi, garantisce la conservazione dei valori paesistici anche attraverso la indicazione delle relative modalità d’uso e di trasformabilità, e può essere dunque considerato un legittimo esercizio dello speciale potere di intervento in aggiunta alle ordinarie competenze di tutela e di valorizzazione che la legge riconosce alla regione.

Ciò posto, erroneamente la parte ricorrente lamenta che vi sia stata un’indebita pianificazione del territorio in quanto, per effetto del richiamo contenuto nell’art. 141 primo comma, anche per l’esercizio del potere del Ministero (art. 138 comma3), la proposta motivata del Soprintendente, deve contenere "… prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi"; e "la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerata"(art. 140, comma 2 rich).

Tali norme "sostituiscono" le previsioni del piano non perché il Ministero ha inteso pianificare in sostituzione della regione, ma perché l’individuazione dei beni paesaggistici meritevoli di tutela si impone e prevale sul potere pianificatorio regionale, a prescindere dal tempo in cui tale esigenza si sia manifestata. In altri termini pur dopo l’adozione del piano paesaggistico ed anche dopo la sua approvazione, laddove si manifestino nuove esigenze di tutela del paesaggio, sia la regione, sia l’amministrazione centrale possono continuare ad agire, ovviamente se ne sussistano i presupposti, ed i relativi provvedimenti, compresa la disciplina d’uso, " sostituiscono" le previsioni pianificatorie semplicemente per effetto della supremazia, sancita dalla costituzione e dal Codice, del relativo potere di conservazione e tutela su quello di pianificazione ad ogni livello esercitato.

Il legislatore del codice ha quindi inteso contemperare l’esigenza di assicurare la conservazione del territorio con l’esigenza del mantenimento degli elementi costitutivi del "richiamo identitario".

Per questo l’ampia estensione delle aree vincolate appare assolutamente irrilevante, in quanto una volta riconosciuta l’esistenza dei presupposti per sottoporre a tutela una parte significativa della campagna romana, proprio in quanto avente le caratteristiche del richiamo identitario, il vincolo sull’agro romano non può che corrispondere alle dimensioni del territorio che presentano le corrispondenti caratteristiche, nell’area tra la Laurentina e l’Ardeatina.

In tale prospettiva la presenza di aree degradate o parzialmente trasformate può di per sé non aver alcun significato e non dimostra assolutamente un’insufficiente istruttoria ed una carenza di presupposti per classificare l’area tra i " beni paesaggistici" da sottoporre a tutela qualificando anzi peculiarmente sotto il profilo dell’interesse pubblico l’intervento della Soprintendenza.

Anche il profilo relativo alla violazione del principio di leale collaborazione ed il richiamo all’accordo del 1999, non può essere condiviso in quanto è evidente dalla stessa prospettazione della censura e dalla ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato i rapporti successivi tra regione e Ministero, come tale tentativo si sia rivelato assolutamente infruttuoso in quanto il limite di garanzia del bene, ritenuto idoneo e sufficiente dalla regione in sede di pianificazione, autonoma imposizione di vincoli e valorizzazione, non è stato considerato sufficiente a garantire il ragionevole mantenimento dei valori intrinseci del bene dal titolare dell’autonomo e prevalente potere di tutela.

In linea di principio esattamente la difesa erariale ha invocato il principio, affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 88 del 2009, per cui quando la legge prevede una partecipazione procedimentale della regione, come nel caso la previsione del "previo parere" della regione, l’acquisizione del predetto avviso ponga al riparo il provvedimento dalle denunce di violazione della leale collaborazione.

Si tratta infatti di due distinti procedimenti di imposizione del vincolo con procedimenti differenziati volutamente ed in modo non incostituzionale dal legislatore.

Ma anche a voler ipotizzare il contrario, il Collegio ritiene, alla luce delle allegazioni documentali versate in giudizio dal Ministero, che non possa attagliarsi al caso di specie il precedente giurisprudenziale invocato dai ricorrenti (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 04 agosto 2008, n. 3895) per cui, in base ai principi di leale collaborazione e cooperazione conseguenti alla riforma del Titolo V Cost. (art. 114 e ss.), per l’imposizione di un vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 136 e ss. d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42 e s.m.i.) lo Stato deve svolgere adeguate consultazioni delle Autonomie locali coinvolte.

Nel caso di specie infatti l’avvocatura ha depositato in giudizio numerosi atti dai quali è evidente come la Soprintendenza non si sia sottratta, nel corso del complesso procedimento, al suo dovere di interloquire con le Amministrazioni Locali coinvolte sia relativamente ai procedimenti di pianificazione urbanistica che in sede di redazione del piano paesaggistico.

Per ciò che concerne il primo aspetto, la Soprintendenza ha versato in giudizio copia della nota del 10 novembre 2003 (protocollo 335/Segreteria) contenente venti pagine sia di rilievi (es. carenza delle cartografie nell’evidenziazione delle aree tutelate) e sia di osservazioni vere e proprie (cfr. da pag. 13 in poi) al PGR del 2003 adottato dal Comune di Roma.

Gli atti depositati in questa sede, in cui non si discute sulla legittimità del piano regolatore, sono sufficienti a dimostrare che il ministero già nel 2003 aveva espresso, sia pure nell’esercizio di un distinto potere e nell’ambito di un diverso procedimento, il proprio avviso non coincidente con le scelte urbanistiche operate dal comune nella zona.

Va peraltro ribadito che il potere esercitato con il provvedimento impugnato va tenuto ben distinto per presupposti e finalità da quello esercitabile dall’amministrazione con la presentazione di osservazioni agli strumenti pianificatori comunali o regionali.

Quanto alla Regione Lazio la stessa avvocatura ha depositato:

– le sette note con cui, dal 30 maggio 2007 al 20 luglio 2007 il ministero aveva puntualmente controdedotto alle osservazioni del comune di Roma contenenti le proposte di modifica dei vigenti Piani Territoriali Paesistici ai sensi dell’articolo 23, comma primo della legge regione Lazio 204 / 1998, con effetti immediatamente cogenti quando la procedura di elaborazione del nuovo PTPR era ancora in corso;

– la nota riepilogativa in data 10 agosto 2007 con cui la Soprintendenza aveva riassunto le 120 problematiche e fornito le motivazioni per il mancato raggiungimento dell’accordo in materia paesistica tra il MIBAC e la regione Lazio. Anche se nella specie non è in discussione la legittimità del procedimento di approvazione del PTPR, è un fatto non controverso, almeno in questa sede, che di tali controdeduzioni la Regione non avrebbe tenuto conto, quanto meno nella misura ritenuta essenziale dal Ministero, né in via istruttoria e né in fase decisoria come risulta evidente proprio dalla stessa delibera del Consiglio Regionale n.41 del 31 luglio 2007, con la quale, sostanzialmente, si facevano integralmente proprie le indicazioni espansive della pianificazione comunale, "adeguando" i precedenti Piani Territoriali Paesistici alle nuove linee di espansione urbanistica in aree in parte in precedenza qualificate come meritevoli di specifica conservazione.

Tali produzioni dimostrano ulteriormente come vi sia stato da parte del Ministero, nelle distinte sedi comunali e regionali, un tentativo di avviare la leale collaborazione, di cui ora si lamenta la mancanza.

La Soprintendenza, a norma del citato articolo 138 terzo comma, ha ritualmente acquisito inoltre il parere espresso dalla Regione Lazio (nella nota protocollo 13098 del 1 luglio 2009), motivando specificamente il proprio dissenso dai rilievi in esso contenuti, il parere del comitato regionale di coordinamento in data 14 gennaio 2009, il parere del Comitato Tecnico Scientifico del Ministero ed ha inoltrato al Comune di Roma la proposta in questione il 3 luglio 2009 ed alla Provincia di Roma in data 8 luglio 2009.

Dunque, contrariamente a quanto mostra di ritenere la parte ricorrente il provvedimento impugnato si inserisce nell’ambito di una dialettica e di una contrapposizione istituzionale estremamente articolata.

E’ evidente di conseguenza non solo che l’accusa di mancata collaborazione non ha alcun fondamento fattuale, ma anche che la scelta di adozione del provvedimento è stata cagionata da una frattura insanabile -di carattere politicoamministrativo – che ha visto, da un lato, la Soprintendenza che ha agito con il fine di assicurare la conservazione dei valori identitari di una vasta area di agro romano, altrimenti soggetta, con effetto immediato, a causa del metodo seguito per localizzare vasti interventi edificatori, ad una trasformazione urbanistico edilizia snaturante, per dimensioni in special modo se colta nel suo complesso, e, dall’altro, il Comune e la Regione determinati ad allocare nuovi, e consistenti, interventi edilizi sulle aree dell’agro romano con il nuovo PRG e con le modifiche dei PTP vigenti, anticipando la conclusione del procedimento di approvazione del nuovo PTPR.

Tanto chiarito in merito alla natura del potere in questione, va ribadito che l’esercizio di questo nella fattispecie concreta in esame non risulta neppure viziato per erroneità ed insussistenza dei presupposti, come prospettato dalla parte ricorrente, ove lamenta che il Ministero, anziché individuare, e circoscrivere, un complesso di beni costituenti o "bellezze di insieme" vale a dire "i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi centri e nuclei storici (art. 136 lettera c); ovvero "bellezze panoramiche o i punti di vista di belvedere accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di queste bellezze"(art. 136 lettera d), avrebbe invece individuato una vasta porzione di territorio nella parte meridionale del Comune di Roma, qualificata comprensorio, che, nella stessa relazione è descritto tra l’altro come soggetto a "fenomeni sparsi di urbanizzazione consolidati in atto" investendo ben 5.400 ha. che non avrebbero quel carattere di "dimostrata eccezionalità delle caratteristiche di omogeneità del territorio" che, secondo la giurisprudenza del giudice d’appello, dovrebbero "oggettivamente sussistere per tutte le parti in cui si articola il comprensorio preso in considerazione", con la conseguenza che "il regime vincolistico non può essere applicato sulla base di un mero rapporto di contiguità o interclusione dell’area rispetto ai terreni in cui si articola il comprensorio". Alla luce di tali principi sanciti dalla giurisprudenza la vastità dell’area nella specie coinvolta avrebbe dunque imposto la dimostrazione sia dell’eccezionalità delle caratteristiche che dell’omogeneità del territorio e della presenza della combinazione di elementi paesaggistici, architettonici ed archeologici in tutte le aree in esso comprese, soprattutto alla luce del fatto che la regione Lazio con il suo PTPR aveva già vincolato 2700 ha.dello stesso territorio come area identitaria della campagna romana.

Le doglianze non meritano condivisione.

In primo luogo deve sottolinearsi come, il potere esclusivo di intervento straordinario dello Stato di cui all’articolo 138 commi 3° del codice dei Beni Culturali, nel testo introdotto dall’articolo 2, comma 1, lettera h) del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 impone una rilettura della precedente vicenda del 1990.

Anzi tale rilievo dei ricorrenti rende evidente come il Ministero, nell’esercizio dei suoi compiti di tutela per l’interesse generale, si sia sempre mosso nel tempo in una linea di assoluta coerenza.

La "Relazione istruttoria alla proposta" e soprattutto la "Relazione di sintesi dell’istruttoria" allegate al provvedimento, corpose e puntuali,ripercorrono analiticamente i caratteri geomorfologici, i profili storici e culturali, descrivono i singoli sistemi paesaggistici che fanno capo agli scenari interessati; vi è stato un esame sia complessivo che analitico delle osservazioni dei privati e del parere della regione; sono indicati i profili procedimentali, sia le motivazioni tecnico scientifiche e le considerazioni dell’interesse pubblico perseguito che sono state poste a base del provvedimento caratterizzato dell’analiticità dell’esame istruttorio relativo ai singoli ambiti interessati al provvedimento.

Anche sotto il profilo della sussistenza dei presupposti di fatto del provvedimento del Ministero gli obiettivi della tutela appaiono correttamente identificati con particolare riferimento:

– a). alla necessità sia della conservazione degli elementi costitutivi delle diverse morfologie dei beni paesaggistici (in relazione alle tipologie architettoniche, delle tecniche e dei materiali costruttivi), e sia all’esigenza del ripristino dei valori paesaggistici, che si pongono in una linea di continuità con le Osservazioni al Progetto di Piano Territoriale Paesistico Regionale" (PTPR). Tale presupposto è direttamente dimostrato dalle numerose fotografie allegate al provvedimento, che restituiscono in maniera plastica la bellezza e la storicità, e la particolarità di un territorio unico sotto il profilo estetico storico culturale e paesaggistico, la cui significativa alterazione costituisce un vulnus non solo ai cittadini romani, ma all’intera comunità nazionale.

Si tratta infatti di un territorio che (come esattamente ricordato nella Relazione allegata alla proposta di dichiarazioni di notevole interesse pubblico) mantiene l’alta qualità paesaggistica della campagna romana sia sotto il profilo paesaggistico che per la presenza di antichi casali e fortificazioni

La varietà degli ambiti interessati pianori, filari di pini marittimi, poggi, valli, forre, campi, rii e torrenti, così come sono incorniciate dal profilo dei Colli Albani, non fanno affatto venir meno quelle caratteristiche di unitarietà e di unicità sul piano paesaggistico ambientale.

Per i caratteri di peculiare riconoscibilità, inconfondibilità ed unicità dell’ambiente deve pertanto negarsi che l’area interessata sia carente dei tratti tipici della campagna romana e che comunque non avrebbe caratteristiche peculiari tali da giustificare il vincolo. Nonostante le alterazioni e trasformazioni cagionate dell’edilizia spontanea e dalle attività estrattive, destinate comunque ad esaurirsi, la stessa conserva ancora i tratti tipici del paesaggio agrario "qui particolarmente caratterizzato dall’ampiezza dei quadri panoramici oltre che dalla ricca e stratificata articolazione del sistema insediativo storico, con notevole diffusione tanto di beni archeologici che architettonici…., con filari di e/o gruppi arborei di notevole consistenza e di grande rilevanza ai fini della costruzione dell’immagine paesaggistica tipica dei luoghi".

– b) alla presenza di zone degradate dall’edilizia abusiva e da insediamenti di nessun pregio che radica la necessità di riqualificare, e che — lungi dal giustificare un’ulteriore compromissione del territorio — costituisce il secondo degli obiettivi del provvedimento, e qualifica peculiarmente sotto il profilo dell’interesse pubblico l’intervento della Soprintendenza, senza che possa ritenersi travalicato il limite tra tutela e gestione.

– c) all’esigenza di salvaguardare le caratteristiche paesaggistiche degli ambiti territoriali assicurando, al contempo il minor consumo possibile del territorio perfettamente coerente con le indicazioni geologiche rappresentanti il terzo obiettivo del vincolo. Al riguardo, sul piano esclusivamente funzionale, del tutto legittimamente rispetto ai presupposti di fatto l’intervento ministeriale è motivato con riferimento all’insufficiente tutela del paesaggio operata dalla pianificazione comunale, successivamente recepita acriticamente dalla regione in sede di PTPR, come dimostrano proprio le osservazioni dei cittadini alla stessa soprintendenza con richiesta di estendere, e non diminuire, l’area vincolata.

In tale prospettazione è dunque irrilevante che l’area fosse stata oggetto di precedenti urbanizzazioni in quanto la finalità del provvedimento di tutela è proprio l’arresto dell’indiscriminato consumo del territorio, ovvero l’adozione di prescrizioni d’uso coerenti con la conservazione dei valori, concetto che non esclude una guidata trasformazione rispettosa dei caratteri peculiari del territorio.

Né corrisponde alla lettera attuale dell’articolo 136 l’affermazione per cui il compendio individuato non costituiva un circoscritto ed individuato complesso di beni, e né un quadro panoramico, ma una vasta porzione non omogenea di territorio in quanto la norma, così come modificata di recente, non autorizza una visione limitativa nella parte in cui individua:

"c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;

d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze".

Pertanto l’espressione "complesso di cose immobili" non va inteso in senso di contiguità o di vicinanza, ma può concernere ambiti che, seppur differenziati al loro interno, costituiscano, nel loro insieme inscindibile, un unico complesso paesaggistico.

Non rinvenendosi, nella norma, alcuna espressa limitazione, è dunque evidente che la nozione "complesso di beni" deve essere intesa nel senso che deve trattarsi di elementi di differente natura, pregio estetico,e destinazione, i quali sono però unificati dal fatto di costituire un "bene culturale", perché il loro insieme racchiude l’essenza stessa di quel "richiamo identitario", che il Codice tutela in misura massima possibile.

Quanto al profilo panoramico si ricorda che, l’articolo 2, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63 — nell’eliminare dalla norma l’espressione "…considerate come quadri…" — ha proprio voluto elidere dall’ambito oggettivo di applicazione della norma il limite concernente la visione statica esteticopanoramica del bene. Pertanto in base alla nuova normativa, l’imposizione del vincolo non può più essere subordinata all’esistenza di punti di vista dai quali si possa godere della bellezza panoramica del’insieme,perché la legge tutela il paesaggio di per sé come valore autonomo, sintesi e somma del rilievo naturalistico, ambientale, archeologico, culturale ed umano, del territorio.Nei fatti in sede di individuazione del bene si riconosce che la bellezza dei luoghi si percepisce anche attraversandoli e che il valore identitario finora non è stato violato né irrimediabilmente compromesso dagli interventi di un’edificazione che seppure spontanea si pone in ambiti defilati ed appare suscettibile di recupero.

In tal modo lungi dall’incorrere nel frazionare, e contrapporre, paesaggi naturali paesaggi agrari e paesaggi storicourbani, la Soprindentenza è pervenuta — come esattamente ricordato l’avvocaturaad affermare che la campagna romana è un luogo riconosciuto dalla memoria collettiva, proprio perché ha mantenuto attraverso i secoli i suoi lineamenti fisici ed insediativi, come è provato da secoli di produzione artistica, letteraria, e dalla documentazione amministrativa descrittiva del territorio (atti di cessione di terreni, mappe catastali e censuarie, ecc.).

Va altresì respinta la doglianza relativa alla lamentata violazione dei limiti del potere di imposizione del vincolo paesaggistico rispetto alla pianificazione paesistica in itinere (PTPR) ed al nuovo p.r.g. del comune di Roma, sia alla luce delle considerazioni sopra svolte in merito alla natura del potere esercitato, sia, relativamente, all’asserita indeterminatezza dei poteri che il ministero si sarebbe riservato nell’esaminare le potenzialità edificatorie fonte di aspettative qualificate, poiché in ogni caso la valutazione della misura e dei limiti dell’esercizio di un potere di rivalutare progetti già approvati, che resta eccezionale per estensione e modalità di esercizio, non potrà che essere effettuata in una fase successiva di effettiva applicazione.E’ indubbio infatti che, nei casi in cui il Ministero ha ritenuto ammissibili e condivisibili, per determinate aree le scelte pianificatorie del Comune e della regione – riconoscendo come non esistenti i presupposti di fatto per l’imposizione di un vincolo di assoluta inedificabilità – il suo intervento dovrà essere contenuto, nell’esaminare i progetti già redatti ed approvati nelle sedi appropriate, nei limiti dell’imposizione di prescrizioni d’uso sufficienti a garantire la conservazione dai caratteri peculiari del territorio, per non sfociare, in caso contrario, nell’abuso di un potere di pianificazione e di gestione del territorio che non gli appartiene.

D’altro canto le norme tecniche di attuazione appaiono sufficientemente precise nel delineare i limiti ed i vincoli ai futuri interventi per la stessa Soprintendenza.

Al riguardo il Collegio condivide l’affermazione dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui si è in presenza di valutazioni di discrezionalità e di stretto merito amministrativo, che come tali sono sindacabili in sede di legittimità solo per evidenti ragioni di illogicità o di arbitrarietà. Tali profili in questa sede ed in questa fase non si ravvisano.

Né al comune é stato impedito di esporre le proprie ragioni poiché le sue osservazioni, fondate peraltro su una contestazione di principio del potere esercitato, hanno trovato adeguata risposta nelle ragioni addotte dal Ministero sia nelle corrispondenze in corso di istruttoria, e sia nel provvedimento impugnato, sempre poste su di una linea di costante coerenza, per cui la dichiarazione del notevole interesse pubblico dei beni in questione appare puntualmente motivata, sia nelle sue linee generali di intervento che con riferimento alle specifiche aree interessate.

Va del pari respinta la censura relativa alla contestata mancata considerazione dell’incidenza del vincolo su scelte di politica edilizia finalizzate al soddisfacimento di bisogni sociali.

Come si diceva in precedenza il principio fondamentale della tutela del "paesaggio" senza altre specificazioni, impone la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali in attuazione del disposto dell’art. 9 Cost. (cfr. Corte costituzionale, 07 novembre 2007, n. 367), per cui la tutela ambientale e paesaggistica precede e comunque costituisce un limite per gli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni, in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali e e degli enti locali in tema di urbanistica e di sviluppo edilizio.

Il riconoscimento del bene paesaggistico e la conseguente dichiarazione di interesse pubblico, sia che provenga dallo Stato che dalla regione, costituisce infatti sul piano gerarchico e sostanziale, un presupposto intoccabile della pianificazione paesistica (cfr. Consiglio di Stato sezione 22 agosto 2003 n.4766; idem 24 giugno 2006 n. 4056; Corte costituzionale 28 luglio 1995, n. 417).

Il piano paesistico, non può che prendere atto di tutti i vincoli preesistenti o successivamente imposti, recependo le relative norme d’uso, di conservazione e ripristino, avendo la funzione di delineare gli ambiti in cui suddividere tutto il territorio regionale, e di definire prescrizioni e previsioni dirette alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici solo ove non già contenute negli atti di individuazione dei singoli beni soggetti a tutela del territorio

La tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve precedere ed orientare le scelte urbanistico – edilizi locali. In conseguenza, la Corte ha ritenuto, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la "separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro, prevalendo, comunque, l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica….Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni paesaggistiche "…sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette" (cfr. Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 180).

Pertanto se, in via ordinaria, ai sensi dell’art. 135 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i., la conoscenza, tutela e valorizzazione del paesaggio è assicurata tramite la pianificazione paesaggistica e a tale fine le Regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle forme previste dall’articolo 143 d.lgs. 42/04 e s.m.i., sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico – territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, tuttavia tale assetto ordinario delle competenze trova un limite, ai sensi del terzo comma dell’art. 131 del Codice, nella ricordata "… potestà esclusiva" dello Stato di tutela del paesaggio che si pone come preciso limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni sul territorio."

Il carattere di autonomia e specialità del potere di cui all’articolo 138 terzo comma implica in conseguenza che questo possa essere esercitato senza che il Ministero sia vincolato dalla pianificazione locale in quanto la norma, se prevede il parere della regione, non impone assolutamente di procedere "previa intesa" con la stessa.

La Corte Costituzionale, proprio sul piano dei rapporti tra Stato e Regione in materia di paesaggio, ha affermato la "separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro, prevalendo, comunque, l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica".

In definitiva dunque, nella "gerarchia" degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali il paesaggio prevale, in linea di principio,sugli altri strumenti urbanistici (Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 180). Non a caso l’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 e s.m.i. (non modificato in modo significativo dal d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 per quanto interessa il presente problema), prevede che: "Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette".

In secondo luogo le pretese contraddizioni con la precedente pianificazione comunale sono ravvisabili proprio nella maggiore ampiezza spaziale della tutela assicurata dal vincolo qui impugnato rispetto alle aree identificate dal PTPR Regionale in corso di approvazione.

La cancellazione delle aspettative edilizie dei ricorrenti costituiva nella specie una scelta assolutamente necessitata, in rapporto all’esigenza di tutela dell’agro romano, che appare congruamente motivata e razionalmente coerente con l’esigenza di tutelare un territorio che senza il provvedimento sarebbe stato irrimediabilmente compromesso nella sua struttura identitaria.

In definitiva sotto il profilo funzionale il provvedimento, nella parte in cui non tiene conto delle aspettative e dei programmi comunali in itinere, non è indicativo di alcun sintomo di eccesso di potere né per difetto di istruttoria, né per sviamento né infine per errore sui presupposti.

In conclusione il ricorso è complessivamente infondato e deve essere respinto.

Le spese tuttavia in relazione all’assoluta novità delle questioni trattate possono essere compensate fra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione II quater, respinge il ricorso in epigrafe e la domanda risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Lucia Tosti, Presidente

Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore

Alessandro Tomassetti, Consigliere
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