Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-07-2012, n. 13499

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Svolgimento del processo
Con sentenza 31.3.2009 n. 32 la CTR della Lombardia ha rigettato l’appello proposto da XXX s.p.a. e confermato la legittimità dell’avviso di accertamento con il quale venivano liquidati i dazi all’importazione di prodotti tessili acquistati da imprese residenti nello Stato della Giamaica, essendo risultata la merce priva del requisito di origine preferenziale. A seguito di indagine condotta dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) era emerso, infatti, che i certificati RUR-1 – attestanti il requisito di origine della merce che, ai sensi dell’accordo di parternariato del 23.6.2000 sottoscritto a Cotonou tra la Comunità europea ed i Paesi APC (Africa-Caraibi-Pacifico), beneficiava del trattamento preferenziale della esenzione totale del dazio alla importazione nel territorio doganale della UE – erano autentici, in quanto emessi regolarmente dalle autorità doganali giamaicane, ma errati quanto alla indicazione dello status di origine dei prodotti, avendo le ditte esportatrici dichiarato falsamente che i capi di abbigliamento erano stati fabbricati in Giamaica con filati di provenienza cinese, mentre in realtà trattavasi di prodotti finiti fabbricati in Cina.
I Giudici territoriali ritenevano che l’avviso di accertamento fosse adeguatamente motivato "per relationem" agli atti della indagine svolta dall’OLAF nell’anno 2005 e che l’Ufficio attraverso detti atti aveva fornito prova che la inesattezza nei certificati EUR-1 del dato relativo all’origine preferenziale della merce era da imputarsi esclusivamente alla condotta fraudolenta delle società esportatrici.
Inoltre la società importatrice non aveva offerto elementi di prova dimostrativi del coinvolgimento nella frode delle autorità doganali giamaicane.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la società importatrice deducendo nove motivi corredati dei quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c..
Ha resistito con controricorso, ricorso incidentale condizionato – affidato a due motivi – e memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. la Agenzia delle Dogane.
Ha resistito la società con controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione
p. 1. I Giudici di appello hanno motivato la sentenza in base alle seguenti ragioni, rilevando:
– che l’avviso di rettifica era correttamente motivato in base alle risultanze della indagine svolta dall’OLAF – che l’art. 9 del reg. CE n. 1073/1999 non ostava ad attribuire efficacia probatoria non soltanto alla relazione finale redatta dall’OLAF ma anche "a tutta la documentazione formale prodotta dal predetto organismo" che non poteva essere contrastante con le conclusioni della relazione finale;
– che, quanto all’esonero dal controllo a posteriori rimesso alle tre condizioni previste dall’art. 220 paragr. 2, lett. b, CDC, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria, nella specie l’inesattezza dei certificati era da ascrivere a condotta fraudolenta delle società giamaicane esportatrici che avevano falsamente dichiarato la origine delle merce per ottenere il rilascio dei certificati, e che la prova della imputabilità della inesattezza dei certificati alle dichiarazioni rese dalle società esportatrici, posta a carico dello Stato membro che intendeva recuperare il dazio, non poteva essere fornita a causa degli impedimenti frapposti dalle stesse ditte giamaicane che non avevano provveduto a conservare, per il triennio previsto dall’accordo, la documentazione indispensabile alla verifica (come risultava dal verbale dell’OLAF);
– che i documenti prodotti dalla società appellante non dimostravano il coinvolgimento o comunque la consapevolezza della frode da parte delle autorità doganali della Giamaica: quanto alla vicenda concernente il rilascio di container di merci non corrispondenti alle dichiarazioni delle società esportatici, la stessa appariva inconferente trattandosi di merci destinate alle zone franche e non alla importazione nel territorio della UE: quanto alle dichiarazioni rese al giudice dello Stato della Giamaica da tale sig. O. in ordine alla carenza di controlli doganali sulla merce da parte delle autorità giamaicane, la prova non poteva ritenersi ammissibile in quanto "l’affidavit era stato rilasciato …in una fase anticipatoria di un giudizio che deve ancora iniziare" in cui le autorità doganali giamaicane non avevano avuto modo di contraddire e l’attendibilità delle stesse dichiarazioni non era stata ancora vagliata in sede giudiziale.
P. 2. Esame dei motivi del ricorso principale.
1) Con il primo motivo la società censura la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avendo omesso i Giudici di merito di esaminare il motivo di gravame con il quale si deduceva la nullità dell’avviso di accertamento per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a) non essendo stato indicato nell’atto l’ufficio presso il quale era possibile ottenere informazioni ed il responsabile del procedimento.
Su tale questione Giudici di appello hanno omesso del tutto di pronunciare incorrendo nel denunciato vizio di attività processuale.
Tuttavia il constatato vizio di "error in procedendo" per omessa pronuncia sul motivo di gravame non determina per ciò stesso l’accoglimento del ricorso le volte in cui la Corte, non occorrendo procedere a verifiche in fatto essendo stata dedotta con il motivo di gravame esclusivamente una questione di mero diritto, può nell’esercizio dei poteri alla stessa conferiti in funzione nomofilattica esaminare direttamente la questione pretermessa pronunciando nel merito: a questa Corte, infatti, deve ritenersi consentito – alla stregua di una interpretazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2 costituzionalmente orientata ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. – di omettere di cassare la sentenza impugnata con rinvio, e di decidere la causa nel merito, allorquando la questione di diritto sulla quale il Giudice di merito non ha pronunciato non richieda ulteriori accertamenti in fatto e risulti, per l’appunto, infondata (cfr. Corte cass. 2 sez. 1.2.2010 n. 2313; id. 1 sez. 22.11.2010 n. 23581; id. sez. lav. 3.3.2011 n. 5139).
Il motivo in esame, peraltro gravemente carente sia in relazione alla formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. (alla Corte viene tautologicamente sottoposta la questione se la omessa pronuncia su un motivo di appello configuri vizio di nullità processuale, senza alcuno specifico riferimento al caso concreto), sia quanto al requisito di autosufficienza (non essendo stato trascritto nel ricorso il contenuto dell’avviso di accertamento, rimanendo pertanto impedito alla Corte il controllo pregiudiziale sulla congruità della doglianza, tanto più in presenza di espressa contestazione della Agenzia delle Dogane che nel controricorso ha sostenuto che nell’avviso era invece indicata la autorità che aveva emesso l’atto impositivo), è manifestamente infondato alla stregua del principio di diritto enunciato da questa Corte e dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi in difetto di nuovi argomenti sottoposti dalla ricorrente, secondo cui n tema di atti tributari, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 2, lett. a), il quale dispone che per qualsiasi atto dell’Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione – e, quindi, anche per le cartelle esattoriali – si debba "tassativamente" indicare il responsabile del procedimento, non comporta, nel caso di omissione di tale indicazione, la nullità dell’atto, non equivalendo la predetta espressione ad una previsione espressa di nullità, come confermato anche dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, convertito nella L. 28 febbraio 2008, n. 31 – norma ritenuta dalla Corte costituzionale, con sent. n. 58 del 2009, non in contrasto con gli artt. 3, 23, 24. 97 e 111 Cost. – che, nell’introdurre specificamente la sanzione di nullità per le cartelle non indicanti il nome del responsabile del procedimento, fissa la decorrenza di tale disciplina dal 1 giugno 2008, precisando, con portata interpretativa, che "la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse" (cfr. Corte cass. 5 sez. 5.5.2010 n. 10805; id. 5 sez. 15.4.2011 n. 8613).
2) Con il secondo motivo la società ha censurato la sentenza per omessa od insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 avendo i Giudici territoriali ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento in rettificato in quanto fondato sulle risultanze probatorie del verbale di indagine redatto dall’OLAF al quale veniva fatto espresso rinvio.
La tesi della società secondo cui la revisione doganale deve fondarsi su dati certi e pertanto deve essere annullato l’avviso impugnato in quanto, in assenza di documentazione reperibile, il verbale dell’OLAF non consentiva di accertare quali prodotti fossero riferibili al quantitativo esportato derivato dalla lavorazione di filati (ton. 596 di filati corrispondenti a circa 1.400.000 di merce) e quali invece dovessero riferirsi alla quantità assolutamente prevalente di capi di abbigliamento fabbricati in Cina, è da ritenersi infondata.
Occorre, infatti, distinguere nettamente la questione relativa alla adeguata motivazione quale requisito formale di validità dell’avviso di accertamento (L. n. 212 del 2000, art. 7; l’obbligo dei requisiti motivazionali richiesti a pena di nullità dell’atto impositivo è stato attuato con il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32), dalla questione attinente alla indicazione ed alla effettiva sussistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria (cfr.
Corte cass. 1 sez. 17.1.1997 n. 459; id. 1 sez. 5.6.1998 n. 5544; id.
5 sez. 1.8.2000 n. 10052).
Nella sentenza di appello è riportato che la società ha proposto i motivi di gravame reiterando i medesimi motivi dei ricorso introduttivo: in particolare con il primo motivo (riassunto dalla CTR a pag. 1-2 della sentenza) la società contestava alla Agenzia delle Dogane il vizio di motivazione dell’avviso e (o meglio per) la indeterminatezza della prova indicata nell’avviso in quanto fondata sulla sproporzione tra l’enorme quantitativo di prodotti finiti esportati nei Paesi UE ed il modesto quantitativo di filati utilizzati per la lavorazione, e dunque inidonea a dimostrare che la merce importata dalla ditta appartenesse all’una od all’altra categoria.
Nonostante la evidente confusione tra i due piani attinenti alla validità dell’atto ed alla efficacia dimostrativa della prova, la pronuncia dei Giudici di merito va esente da critica:
– quanto alla validità dell’avviso di accertamento avendo la CTR correttamente ritenuto assolto il requisito formale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 attraverso la motivazione "per relationem" alle risultanze delle indagine condotta dall’OLAF (pacifica è la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla piena legittimità di tale forma di motivazione: ex pluribus Corte cass. 5 sez. 5.2.2009 n. 2749; id. 5 sez. 9.2.2010 n. 2806; id. 5 sez. 9.4.2010 n. 8504).
– quanto alla indicazione ed alla idoneità degli elementi di prova portati a conoscenza della società contribuente ed in base ai quali risultava espressamente motivato l’avviso impugnato, correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto esaustive le prove offerte dalla Agenzia con riferimento agli accertamenti delle indagini svolte dall’OLAF, con conseguente trasferimento a carico dell’importatore dell’onere della prova della corrispondenza della merce importata alla indicazione di origine risultante dai certificati EUR-1, tenuto conto: a) che ai Giudici degli Stati membri non è dato prescindere dai "fatti accertati" dall’Ufficio per la lotta antifrode, che "costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi e giudiziari dello Stato membro" come espressamente disposto dall’art. 9, commi 1 e 2 del reg. CE n. 1073/1999 del Parlamento e del Consiglio in data 25.5.1999 e più in generale dall’art. 21 paragr. 2 reg. CE n. 515/1997 del Consiglio in data 13.3.1997; b) che per costante giurisprudenza del Giudice comunitario (cfr. Corte giustizia 7.12.1993, causa C-12/92 Huygen, punti 17 e 18; id. 9.3.2006, causa C- 293/04 Beemsterboer, punto 34; id. 14.5.1996, cause riunite C-153/94 e C-204/94, Faroe & Seafood, punto 16; id. 15.12.2011, causa C- 409/10, Hauptzollamt Hamburg – Afasia Knits, punto 44) la irrisolta incertezza sulla origine della merce (non comprovabile in base ai documenti prodotti dall’esportatore) si risolve nella assenza del presupposto richiesto per fruire della preferenza tariffaria, avendo affermato i Giudici di Lussemburgo che "qualora il controllo a posteriori non consenta di confermare la origine della merce indicata nel certificato EUR-1, si deve ritenere che essa sia di origine ignota e che, di conseguenza, il certificato EUR-1 e la tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente".
3) Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 9 paragr. 1 e 2 reg. CE n. 1073/99 del Parlamento e del Consiglio in data 25.5.1999, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
La ricorrente sostiene che il Giudice di merito avrebbe illegittimamente ammesso come prova, posta a fondamento della decisione, il verbale delle indagini svolte dall’OLAF nella missione del 2005, mentre la norma comunitaria asseritamente violata attribuisce tale efficacia probatoria esclusivamente al rapporto finale ("al termine della indagine l’Ufficio redige sotto l’autorità del direttore una relazione finale… Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova… "), come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui "la relazione elaborata dall’OLAF ha piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari dello Stato membro così come dispone il reg. CE 1973/99 e dunque gli elementi raccolti in quei verbali e fatti propri nell’avviso di accertamento sono del tutto idonei a giustificare la pretesa di recupero" (cfr. Corte cass. 5 sez. ord. 2.3.2009 n. 4997;
id. 24.9.2008 n. 23985; id. 28.5.2008 n. 13890).
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che "le norme relative all’onere della prova ed ai mezzi probatori del carattere originario delle merci rientrano nel diritto nazionale solo in quanto non derivino dal diritto comunitario" (Corte giustizia 14.5.1996, Faroe Seafoood, cit., punto 60).
In applicazione del principio indicato al certificato EUR-1 viene riconosciuto dall’ordinamento comunitario uno speciale regime probatorio che si impone agli Stati membri: tale certificato, infatti, costituisce l’unico documento attraverso il quale può essere dimostrata la origine della merce, con la conseguenza che all’importatore che intenda avvalersi delle agevolazioni tariffarie concesse in base ad un regime preferenziale di origine, non è dato provare aliunde il presupposto di fatto cui è condizionata la applicazione del beneficio fiscale. Tuttavia tale efficacia probatoria non è assoluta in quanto le autorità doganali dello Stato in cui la merce viene immessa a consumo possono verificare a posteriori (id est: successivamente al rilascio del predetto documento) la genuinità del documento e la esattezza della origine indicata nel certificato EUR-1 (cfr. Corte giustizia 17.7.1997, Pascoal & Filhos, cit., punto 30; id. 9.3.2006 Beemsterboer, cit, punti 32-33) venendo i documento ad essere privato di efficacia probatoria, in caso di accertamento della falsa od inesatta rappresentazione dei fatti in esso indicati.
Nella specifica materia doganale all’esame del Collegio (regime preferenziale di origine) non è dato rinvenire altra norma comunitaria volta ad attribuire efficacia di prova legale ad un documento emesso dalie autorità doganali dello Stato esportatore od importatore, essendo invece riconosciuta piena rilevanza probatoria, nell’ambito dell’ordinamento comunitario, alla relazione redatta dall’OLAF all’esito della indagine, come previsto dall’art. 9, comma 2 del reg. CE n. 1073/1999 del Parlamento e del Consiglio in data 25.5.1999 (relativo alle "indagini svolte dall’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) che considerare equipollenti la relazione redatta dall’OLAF al termine delle indagini e le relazioni redatte dagli ispettori amministrativi dello Stato membro, tanto ai fini delle "regole di valutazione" applicabili quanto ai fini del "valore" riconoscibile secondo la disciplina legislativa dello Stato membro.
Ne consegue che alla relazione OLAF può essere attribuita efficacia probatoria privilegiata limitatamente ai "fatti accertati" ex art. 9, comma 1 reg. 1073/99 (in quanto accaduti alla presenza degli ispettori).
Se la norma del regolamento comunitario si riferisce espressamente alla "relazione", tuttavia la stessa non pone alcuna limitazione in ordine alla utilizzabilità nei procedimenti amministrativi e giudiziari dello Stato membro anche di altre fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall’OLAF, come è dato evincere dall’art. 9, comma 3 e dall’art. 10, comma 1 del medesimo regolamento comunitario i quali prevedono la trasmissione alle autorità degli Stati membri interessati, rispettivamente, di "ogni documento utile" acquisito e la comunicazione di "qualsiasi informazione" ottenuta nel corso delle indagini.
Ne consegue che, alla stregua della normativa comunitaria e nazionale applicabile al caso di specie, non sono ravvisabili divieti od impedimenti all’utilizzo da parte della CTR della Lombardia – ai fini della selezione e valutazione delle emergenze istruttorie compiute nel giudizio di merito – delle risultanze del verbale delle operazioni della missione OLAF redatto in data 23.3.2005, come peraltro riconosciuto anche nei precedenti di questa Corte segnalati nel ricorso, non dubitandosi in tali sentenze che, se la relazione elaborata dall’OLAF ha pieno valore probatorio, anche "gli elementi raccolti in quei verbali e fatti propri nell’avviso di accertamento" sono idonei a sostenere la pretesa tributaria (cfr: Corte cass. n. 23985/2008. in motivazione).
Va dunque esente dalla prospettata censura la sentenza della CTR lombarda che ha posto a fondamento della propria decisione gli accertamenti risultanti dal verbale redatto dall’OLAF in data 23.3.2005.
La accertata infondatezza della questione determina l’assorbimento del primo motivo di ricorso incidentale condizionato, rivolto a censurare la sentenza di appello per avere i Giudici di appello ritenuto illegittimamente ammissibile un motivo di gravame sul quale avevano omesso di pronunciare.
4) Con il quarto motivo la società censura la sentenza sotto il profilo del vizio di omessa o insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) svolgendo le medesime critiche in diritto oggetto della esposizione del precedente motivo.
Il motivo si palesa all’evidenza inammissibile in considerazione tanto della incompatibilità logica delle censure rivolte contro la stessa statuizione della sentenza impugnata, rispettivamente, per vizio inerente error iuris e vizio inerente error facti il primo potendo configurarsi soltanto se rimane escluso il secondo (cfr.
Corte cass. 3 sez. 7.5.2007 n. 10295; id. sez. lav. 16.7.2010 n. 16698; id. 1 sez. 23.9.2011 n. 19443), quanto in considerazione della mancanza di autosufficienza, qualora la censura motivazionale debba intendersi riferita alla inesatta valutazione delle emergenze istruttorie in relazione alla ipotizzata divergenza delle conclusioni rassegnate dall’OLAF nella relazione finale rispetto a dati acquisiti nel corso della missione e riportati nei verbali delle operazioni.
E’ appena il caso di osservare che, in quest’ultima ipotesi, la società ricorrente avrebbe dovuto supportare la censura formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con la specifica indicazione della prova che, qualora non fosse stata trascurata od erroneamente valutata dalla Commissione regionale, avrebbe – secondo un criterio di certezza probabilistica e non di mera possibilità – consentito di pervenire ad una diversa decisione, favorevole alla Amministrazione, ed avrebbe altresì dovuto provvedere a riprodurre nel ricorso, onde integrare il requisito della autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), il contenuto della indicata prova (non avendo accesso diretto la Corte agli atti e documenti del giudizio di merito, in relazione al tipo di vizi denunciati) nonchè ad evidenziare le modalità attraverso le quali il documento era stato ritualmente prodotto in giudizio e la sede (fascicolo di parte di primo o secondo grado, fascicolo di ufficio) in cui lo stesso era rinvenibile (cfr. sull’onere di integrale trascrizione del documento:
Corte cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6 sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3 sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3 sez. 31.5.2006 n. 12984;
id. 1 sez. 24.3.2006 n. 6679; id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id.
sez. lav. 12.6.2002 n. 8388. Per quanto concerne l’onere di specificazione delle modalità di acquisizione processuale: cfr.
Corte cass. sez. lav. 7.2.2011 n. 2966; id. 1 sez. 13.11.2009 n. 24178; id. 3 sez. ord. 4.9.2008 n. 22303; id. 3 sez. 25.5.2007 n. 12239).
5) Con il quinto motivo si censura la sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere i Giudici di appello affermato che, non essendo stato possibile acquisire dalle ditte giamaicane ulteriori informazioni e documenti comprovanti la origine delle merci (ed in particolare la riferibilità di capi di abbigliamento prodotti a lavorazioni ottenute con filati importati da altri Paesi), era onere della società importatrice fornire la prova che le dichiarazioni rese dalle ditte giamaicane per il rilascio dei certificati EUR-1 corrispondevano a merce di origine preferenziale.
Sostiene la società che come risultava dallo stesso verbale OLAF le ditte giamaicane erano state tutte liquidate nel mese di gennaio 2005 e pertanto eventuali informazioni e documenti avrebbero dovuto essere acquisiti presso la sede di (OMISSIS) della società capogruppo, tenuto altresì conto che, con lettera del 3.3.2005, la presidente del Gruppo AFASIA sig.ra H.L. aveva comunicato all’OLAF di essere disponibile a fornire qualsiasi informazione.
Il motivo è privo di autosufficienza, nella parte in cui si contesta la inesatta rilevazione da parte dei Giudici di merito del contenuto del verbale OLAF (laddove secondo la ricorrente non emergerebbe, diversamente da quanto indicato in sentenza, la impossibilità della acquisizione di documentazione dalle imprese esportatrici per non avere queste ottemperato alla conservazione della stessa, ma soltanto la insussistenza di "evidenze dirette" circa la validità dei certificati), avendo omesso la ricorrente di trascrivere integralmente la parte del verbale oggetto di contestazione e dunque non consentendo a questa Corte di verifìcare in limine la decisività della prova inesattamente valutata.
Il motivo è altresì inammissibile nella parte in cui denuncia la omessa valutazione da parte dei Giudici di merito della lettera inviata all’OLAF dal presidente del Gruppo Afasia (prodotta in allegato all’atto di appello), in quanto la società ricorrente omette del tutto di trascrivere il contenuto del documento. E’ infatti costante l’insegnamento di questa Corte, in tema di ammissibilità dei motivi di ricorso con i quali si denuncino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo cui "la parte che, in sede di ricorso per cassazione, lamenti vizi di motivazione della sentenza impugnata, ha l’onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti ed alle risultanze processuali" (cfr. Corte cass. 3 sez, 24.1.2002 n. 849; id. 1 sez. 23.7.2003 n. 11422).
Ove poi il contenuto del documento dovesse limitarsi alla generica affermazione di disponibilità del presidente del Gruppo AFASIA a fornire informazioni, il motivo andrebbe egualmente incontro ad inammissibilità per difetto del requisito di decisività della prova non essendo stati neppure accennati in tale dichiarazione, e comunque non essendo stati neppure indicati dalla società ricorrente, quali determinanti elementi informativi od ulteriori documenti (rispetto a quelli già allegati dalle ditte esportatrici alla domanda di rilascio del certificato EUR-1) avrebbero potuto essere prodotti per dimostrare la esattezza delle dichiarazioni delle ditte esportatrici circa la origine dei prodotti e per giustificare la enorme discrepanza rilevata dall’OLAF tra i dati quantitativi dei filati e delle merci esportate, documenti peraltro che, ove effettivamente decisivi, bene avrebbero potuto essere agevolmente acquisiti e prodotti già nel corso dei precedenti giudizi di merito dalla stessa XXX s.p.a. che, in quanto aveva avuto rapporti commerciali diretti con la ditta giamaicana fornitrice, veniva a trovarsi certamente in posizione privilegiata per richiedere a quella informazioni utili sulla produzione realizzata nel corso del periodo in esame.
La mancanza di ulteriori elementi documentali specifici idonei a riconoscere la origine preferenziale della merce importata dalla società ricorrente (ulteriori rispetto ai documenti commerciali – fatture – di trasporto – bolle di consegna – e di carico/scarico ed eventualmente contrattuati – commissioni/ordini di fornitura – presentati dalle ditte giamaicane esportatrici a fini del rilascio dei certificati EUR-1, ed ai documenti che l’OLAF ha in concreto potuto esaminare nel corso della indagine) integra, pertanto, la prova della impossibilità per l’autorità doganale che agisce per il recupero del dazio di pervenire a conclusioni certe in ordine a alla "esatta od inesattà" rappresentazione dei fatti dichiarati dall’esportatore ai fini del rilascio del certificato EUR-1, determinata da "negligenza della impresa di esportazione" (cfr. Corte giustizia 9.3.2006 Beemsterboer in causa C-293/04, punto 46), con conseguente inversione dell’onere della prova che viene a gravare sul debitore.
6) Con il sesto motivo la società censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 220 paragr. 2 lett. b) CDC (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto i Giudici di appello avrebbero negato accesso quale prova alle dichiarazioni rese avanti un giudice giamaicano da O.M. già dipendente di alcune delle società giamaicane esportatrici, statuendo che l’accertamento di una condotta dolosa o colposa delle autorità doganali di un Paese terzo spetta in via esclusiva al giudice di quel Paese, mentre la giurisprudenza comunitaria (la ricorrente cita: Corte giustizia 1.4.1993 Hewlett Packard. C-250/91; 19.10.2000 Sommer. C-15/99:
14.11.2002 Ilumitronica, C-251/00) riconosce tale accertamento anche alle autorità amministrative e giudiziarie dei Paesi membri della UE. Il motivo, con il quale viene mossa alla sentenza una critica in astratto condivisibile (è assolutamente pacifica nella giurisprudenza della Corte la utilizzabilità nei giudizio tributario di dichiarazioni scritte o ree a verbale provenienti da soggetti diversi dal contribuente), pecca tuttavia di autosufficienza, non avendo provveduto la ricorrente a trascrivere il contenuto integrale delle dichiarazioni rese dall’ex dipendente delle società esportataci, dovendo pertanto ribadirsi il principio costantemente affermato da questa Corte secondo cui, tanto nel caso di deduzione del vizio di irrituale od omessa ammissione di prove ovvero di omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, quanto nel caso in cui si intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, la parte ricorrente è onerata non soltanto alla specifica indicazione della prova o del documento (eventualmente mediante individuazione della sede processuale in cui la prova è stata richiesta o prodotta: Corte cass. sez. lav. 7.2.2011 n. 2966; id. 1 sez. 13.11.2009 n. 24178; id.
3 sez. ord. 4.9.2008 n. 22303; id. 3 sez. 25.5.2007 n. 12239) ed alla chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (cfr. Corte cass. 1 sez. 17.5.2006 n. 11501), ma deve provvedere altresì alla completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti processuali o dei documenti in modo da rendere immediatamente apprezzabile da parte della Corte il vizio dedotto (cfr. Corte cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6 sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3 sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3 sez. 31.5.2006 n. 12984; id. 1 sez. 24.3.2006 n. 6679; id. sez. lav.
21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388).
La indicata omissione preclude a questa Corte di verificare in limine litis la decisività e rilevanza della prova non ammessa dal Giudice tributario, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.
7) Con il settimo motivo viene dedotta violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 220 paragr. 2, lett. b, CDC (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
La società sostiene che i Giudici di appello, ritenendo che le dichiarazioni rese dall’ O. avrebbero potuto essere valutate sotto il profilo probatorio solo all’esito del giudizio svolto nel Paese giamaicano, avrebbero violato anche il principio stabilito dalla norma sul giudicato secondo cui lo stesso non potrebbe produrre effetti vincolanti nei confronti dei terzi.
Il motivo appare di non agevole interpretazione, tenuto conto che non è dato evincere dalla sentenza impugnata alcuna affermazione in ordine al carattere vincolante per il Giudice italiano della verifica probatoria del predette dichiarazioni compiuta dal Giudice giamaicano, vincolo peraltro che la ricorrente ipotizza possa derivare dall’eventuale giudicato formatosi all’esito del giudizio da svolgersi nel Paese terzo.
La statuizione della sentenza impugnata sembra, infatti, diretta piuttosto a disconoscere a dette dichiarazioni, rese al di fuori del contraddittorio con la controparte interessata (autorità doganale giamaicana), il carattere di fonte attendibile di prova, diversamente dal valore probatorio che potrà invece essere eventualmente riconosciuto agli accertamenti che risulteranno compiuti nella sentenza che sarà emessa all’esito del giudizio da espletarsi nel Paese terzo, e dunque anche ai riscontri probatori delle indicate affermazioni, che potranno quindi, in esito alla verifica istruttoria svolta in quel giudizio, essere utilizzati e valutati come elementi di prova (e dunque al di fuori di ogni richiamo alla efficacia vincolante del giudicato) anche dal Giudice del Paese UE. La censura, come formulata, non coglie pertanto nel segno, risultando estranea alla ratio decidendi e dunque va dichiarata inammissibile.
8) omessa insufficiente motivazione (360 c.p.c., comma 1, n. 5) in punto di accertamento delle responsabilità delle autorità doganali giamaicane.
La società ricorrente sostiene che tali autorità erano "certamente" a conoscenza della anomalia tra i dati statistici delle esportazioni cinesi e quelli delle importazioni giamaicane, dati emersi a seguito della missione OLAF, ed i Giudici di merito avrebbero pertanto dovuto ritenere integrata la condizione posta dall’art. 220 paragr. 2 lett. b. CDC per riconoscere l’errore attivo imputabile alle autorità che avevano rilasciati i certificati EUR-1 in quanto le stesse, al tempo in cui avevano emesso i certificati, "erano informate o avrebbero ragionevolmente dovuto essere informate che le merci non avevano diritto al regime preferenziale.
Il motivo è inammissibile per difetto dell’elemento di decisività delle prove che i Giudici di merito avrebbero obliterato.
Le prove documentali indicate dalla ricorrente, a sostegno del dedotto vizio motivazionale, sono le seguenti:
– lettera inviata in data 13.9.2004 dal direttore dell’OLAF al rappresentante dello Stato della Giamaica presso la Comunità europea nella quale si rendeva noto che l’OLAF stava coordinando le inchieste ed investigazioni in relazione a "sospette irregolarità circa le importazioni di prodotti tessili e chiedeva la cooperazione delle autorità giamaicane, cui seguiva nell’ottobre 2005 la risposta di detta autorità che comunicavano la piena collaborazione secondo quanto previsto dalle disposizioni dell’Accordo di Cotonou. La prova si palesa irrilevante in quanto non consente di verificare: a) se e quali elementi circostanziali erano stati resi noti dall’OLAF con la nota predetta (non avendo la ricorrente provveduto a trascrivere il contenuto della lettera) e se pertanto gli stessi consentivano di affermare la conoscenza da parte delle autorità giamaicane delle irregolarità contenute nei certificati EUR-1. Inoltre, in difetto di qualsiasi indicazione sulla data di rilascio dei certificati EUR-1 utilizzati dalla società ricorrente, non è dato verificare l’elemento chiave per imputare alle autorità doganali giamaicane il difetto di diligenza previsto dall’art. 220 c.d.c., e cioè se la conoscenza/conoscibilità della inesatta origine della merce sussisteva al momento della emissione dei certificati, venendo meno la imputabilità nel caso in cui la conoscenza della irregolarità fosse soltanto sopravvenuta al rilascio dei documenti – verbale 2.2.2006 relativo a due riunioni tenutesi il 18 e 19 gennaio 2006 in Giamaica tra i funzionari del Trade Board e del Ministero degli Esteri "da cui si evince che tali autorità erano consapevoli di non aver mai posto in essere un sistema di controlli adeguato sui prodotti tessili" (ricorso pag. 26).
Il motivo formulato in relazione a tale prova si palesa inammissibile, in difetto di trascrizione del contenuto del documento, e va incontro alla stessa obiezione circa la omessa indicazione degli elementi indispensabili a verificare la rilevanza cronologica della eventuale conoscenza/conoscibilità della frode acquisita dalle autorità giamaicane – "affidavit" di M.O. volto a comprovare "la esistenza di una condotta dolosa delle autorità doganali giamaicane nella vicenda in esame": esaurendosi in tale indimostrata allegazione la descrizione del contenuto della prova documentale, appare evidente la assoluta carenza del requisito di decisività della stessa.
In conseguenza della pronuncia di inammissibilità dell’ottavo motivo del ricorso principale va dichiarato assorbito il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato proposto dalla Agenzia delle Dogane.
9) Con il nono motivo la società impugna la sentenza per omessa motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in quanto i Giudici ritenendo priva di rilevanza probatoria – ai fini dell’accertamento della consapevolezza della frode o comunque della negligenza dei controlli eseguiti da parte delle autorità doganali giamaicane – la vicenda inerente il dissequestro di container in cu era stata rinvenuta merce non corrispondente alla dichiarazione doganale, si sarebbero meramente conformati agli argomenti difensivi svolti dalla Agenzia senza valutare correttamente il verbale redatto in data 11.10.2004 dalle predette autorità doganali, dal quale risultava il rilascio alla ditta giamaicana delle merce, sebbene irregolare, "in attesa di una lettera di spiegazioni alla Direzione generale delle dogane".
Il motivo appare inammissibile in quanto la ricorrente non fornisce alcun argomento a sostegno del carattere decisivo della prova inesattamente valutata dai Giudici di merito.
Dalla trascrizione (non è dato verificare se completa o parziale) del verbale redatto dalle autorità doganali giamaicane risulta, infatti, soltanto il rilascio di alcuni prodotti, ma nulla è dato evincere circa la natura e qualità degli stessi, quali difformità siano state eventualmente riscontrate in sede di controllo, quale fosse la destinazione della merce, quali chiarimenti erano stati richiesti alla società giamaicana importatrice e quali risposte siano state da questa fornite.
Ne consegue che il documento in questione è del tutto inidoneo a supportare la tesi della negligenza nelle operazioni di controllo da parte delle autorità giamaicane, allegata ma non dimostrata dalla società ricorrente.
In ogni caso la mera circostanza del rilascio di mercè irregolare priva di ulteriori elementi chiarificatori (dalla decisione della Commissione UE citata, risulterebbe intatti che la merce fosse destinata al deposito in "zona franca" e non alla esportazione verso i Paesi UE) ove anche idonea in astratto a dimostrare la intervenuta conoscenza/conoscibilità della frode da parte della autorità giamaicane, non consente tuttavia di verificare se tale consapevolezza potesse ritenersi acquisita anche al momento del rilascio dei certificati EUK-1 utilizzati dalla società ricorrente, difettando quindi il requisito di decisività della prova prevista dall’art. 220 c.d.c., paragr. 2, lett. b.
Il motivo è pertanto inammissibile.
p 3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, dichiarati assorbiti i motivi del ricorso incidentale condizionato, con conseguente condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di cassazione:
– rigetta il ricorso, dichiara assorbiti i motivi del ricorso incidentale condizionato, e condanna la società contribuente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1.500,00 per onorari oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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