Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 18-03-2013, n. 12578

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Napoli, Sezione Minorenni, con sentenza del 1 dicembre 2011, ha parzialmente confermato riducendo la pena per la ritenuta applicazione di due attenuanti, la sentenza del Tribunale dei Minorenni di Napoli del 30 settembre 2010 che aveva condannato M.A. per il delitto di lesioni personali in danno di P.M.L..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) una violazione di legge in merito alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello;

b) una motivazione illogica e contraddittoria in merito all’accertamento della sua penale responsabilità;

c) una violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile in quanto i motivi a sostegno sono palesemente infondati.

2. Quanto al primo motivo si osserva come l’art. 507 cod. proc. pen. conferisca al Giudice un potere e non un dovere di integrazione probatoria.

L’esercizio di tale potere presuppone, poi, la sussistenza dell’assoluta necessità del nuovo mezzo di prova e postula l’apprezzamento e la valutazione al riguardo da parte del Giudice, il quale, ove non eserciti tale potere, non è tenuto a darne espressamente conto, evincendosi implicitamente dall’effettuata valutazione, adeguata e logica, delle risultanze probatorie già acquisite la superfluità di una eventuale integrazione istruttoria (v. da ultimo, Cass. Sez. 6 16 febbraio 2010 n. 24430).

L’iniziativa deve essere, pertanto, "assolutamente necessaria" (sia l’art. 507 che l’art. 603 c.p.p. per l’appello usano questa espressione) e la prova deve avere carattere di decisività (altrimenti non sarebbe "assolutamente necessaria"), diversamente da quanto avviene nell’esercizio ordinario del potere dispositivo delle parti in cui si richiede soltanto che le prove siano ammissibili e rilevanti.

Tutto ciò premesso in diritto, quello che rileva, con assorbente considerazione, è che la difesa non si è affatto premurata di indicare la "decisività" della prova da assumere (deposizione dei testi P. e C.) e tale da legittimare, in ipotesi, l’accoglimento della richiesta d’integrazione probatoria.

A ciò si aggiunga come gli indicati testi erano stati sentiti in sede di indagini preliminari e le relative deposizioni, acquisite dal P.M. al dibattimento di prime cure con l’accordo delle parti, valutate ai fini della decisione.

3. Quanto al secondo motivo, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, sia ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si faccia uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo o quando, come nella specie, si ometta la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cd. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il Giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice (v. Cass. Sez. 4 3 febbraio 2009 n. 19710).

Nel caso di specie, invece, il Giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al Giudice di primo grado e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione di penale responsabilità.

Giova, inoltre, osservare in diritto, come ribadito costantemente da questa Corte (v. per tutte, Cass. Sez. 5 6 ottobre 2009 n. 44914), che pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal Giudice per giungere alla decisione.

Nella specie, questa volta in fatto, la Corte territoriale ha ben lungamente e logicamente motivato in merito all’accadimento dei fatti e questa Corte non può esaminare nuovamente tali situazione per aderire ad una versione defensionale già esaminata e disattesa in entrambi i gradi del giudizio di merito.

4. Quanto all’entità della pena inflitta, la determinazione in concreto della stessa costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del Giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obbiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva.

Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello.

5. Il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile, dovendosi procedersi, altresì, all’oscuramento dei dati personali a cagione della minore età del ricorrente all’epoca dei fatti.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso. Oscuramento dati secondo legge.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2013
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