T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 19-01-2011, n. 144

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Svolgimento del processo
Riferiscono le ricorrenti di essere proprietarie di alcuni terreni siti in Provincia di XXX, facenti parte un tempo dell’unico fondo rustico denominato "XXX", situato per la maggior parte nei Comuni di XXX de" XXX e XXX. Detto fondo, sempre secondo la ricostruzione esponente, verrebbe irrigato dalla Roggia XXX, della quale vi sarebbero più utenti, in regime di comunione fra loro (appunto, la comunione degli utenti della Roggia, in assenza della formalizzazione fra gli stessi di un consorzio).
Le ricorrenti sarebbero, dunque, coutenti della Roggia e parteciperebbero alle spese di gestione e manutenzione della stessa in ragione dei rispettivi millesimi pari, per ciascuna, a 124,2.
La ridetta Roggia, precisano ancora le istanti, scorrerebbe per un lungo tratto in fregio ad una zona facente parte di due ambiti territoriali estrattivi (ATE), denominati ATE g20 e ATE g21, entrambi inseriti nel Piano Cave della Provincia di XXX, adottato con deliberazione 27 luglio 2004 n.32 del Consiglio provinciale, approvato con deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia in data 20 febbraio 2007 (n. VIII/344).
L’ATE g20 sarebbe già stato oggetto di escavazione da parte della Inerti rivolta srl per la sua quasi totalità, rimanendo da escavarsi solo la porzione corrispondente alla zona degli impianti e dei depositi della società. Sennonché, in data 30.10.2008 il Responsabile dell’U.S. Gestione attività estrattive e controlli di polizia mineraria della Provincia di XXX avrebbe richiesto agli utenti della Roggia XXX (ad esclusione delle attuali ricorrenti) di esprimere il proprio parere sulla richiesta formulata dalla I.R. srl, di avvicinare il ciglio superiore della scarpata di cava ad una distanza minima di metri 1,15 dalla Roggia, richiesta di parere rinnovata il 20.01.2009.
Di tale iniziativa le ricorrenti ne avrebbero appreso notizia soltanto in occasione della comunicazione del decreto di deroga delle distanze, qui impugnato, effettuata con lettera inviata il 21.05.2009 al Consorzio di Roggia XXX.
I motivi di gravame fanno essenzialmente leva sulla violazione di legge e l’eccesso di potere sotto più profili.
Si sono costituite la Provincia di XXX e la I.R. srl, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.
Alla pubblica udienza del 9.11.2010 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisone.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso le esponenti deducono la violazione degli artt. 10, 11 e 21 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Cave della Provincia di XXX; la violazione degli artt. 104 e 105 del d.P.R. n. 128/1959 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza di istruttoria, illogicità ed erronea rappresentazione della situazione di fatto e di diritto.
In sostanza, a mente delle ricorrenti, la contestata deroga avrebbe consentito l’avvicinamento alla Roggia XXX, non già, alla distanza richiesta dalla I.R. srl di m. 1,15, ma, addirittura, a m. 0,00, così annullando del tutto la fascia di rispetto. In tale evenienza, sempre secondo la difesa esponente, l’alveo della Roggia risulterebbe intaccato, con conseguente riduzione della capacità della Roggia medesima. Da ciò, quindi, la violazione delle norma di attuazione del Piano Cave, che prevedono delle distanze minime inderogabili, atteso che l’art. 11 cit. porrebbe una distanza minima tra il ciglio di scavo ed il perimetro dell’area in disponibilità di 10 m. e, qualora l’altezza dello scavo sia inferiore a 10 m., fisserebbe la distanza minima in misura pari alla profondità e, comunque, non inferiore a 4 m., da misurarsi in orizzontale e con la garanzia della stabilità delle scarpate, per le quali, in ogni caso, sarebbe richiesta la relativa verifica geotecnica. Nel caso in esame, affermano le ricorrenti, poiché la profondità/altezza dello scavo dell’ATE g20 è pari a 9 m, la distanza minima, ai sensi dell’art. 11 cit., avrebbe dovuto essere non inferiore, appunto, ai 9 m., cioè alla profondità dello scavo; invece, con l’impugnata deroga tale distanza sarebbe stata violata e, con essa, l’obbligo di salvaguardare l’integrità della sponda. Ancora, sottolinea la stessa difesa, la motivazione del provvedimento sarebbe del tutto carente, come pure la fase istruttoria: non vi sarebbe alcun riferimento, in esso, alla verifica geotecnica relativa alla stabilità della scarpata, né vi sarebbe stata la prescritta audizione del Comune, prevista dall’art. 105 d.P.R. n. 128/1959. La richiesta di parere al Consorzio, poi, sarebbe avvenuta in epoca antecedente ad una diversa domanda formulata dalla I.R. il 03.02.2009, di contenuto ignoto. Infine, nel medesimo decreto si farebbe riferimento ad un’altra determinazione, la n. 1179 dell’11.08.2008, che pure è stata oggetto d’impugnazione con l’odierno ricorso, anche se di contenuto – allo stato – ignoto, per cui è stata fatta riserva di motivi aggiunti.
2. La difesa provinciale, dopo avere precisato – in punto di fatto – che i terreni delle ricorrenti si troverebbero a valle, sia rispetto al senso di deflusso della Roggia, che rispetto alle aree ricomprese nell’ATE g20, dalle quali disterebbero circa 2 km, ha posto documentate precisazioni in ordine alla vicenda di che trattasi, che si possono di seguito, riepilogare, nel senso che:
– già nell’istanza di deroga del rispetto delle distanze sarebbe stato presente un aggiornamento della relazione tecnica del progetto di gestione dell’ambito, nel contesto del quale era puntualmente e dettagliatamente verificata la stabilità della scarpata;
– tale relazione sarebbe stata sottoposta sia al vaglio tecnico dei competenti uffici provinciali che all’attenzione del legale rappresentante degli utenti della Roggia;
– in data 3.02.2009 la Inerti avrebbe presentato alla Provincia domanda ex art. 14 L.R. 14/1998 di autorizzazione alla coltivazione della cava, con contestuale domanda di autorizzazione paesaggistica, ove si sarebbe evidenziato che la previsione progettuale circa lo scavo in fregio alla Roggia servisse anche a garantire l’uniformità della coltivazione con quella già in precedenza autorizzata, con continuità morfologica dello stato dei luoghi. Proprio tale aspetto sarebbe stato valorizzato dall’U.O. a Tutela del Paesaggio, ai fini del rilascio della prescritta autorizzazione, poi effettivamente rilasciata con provvedimento n.5/2009 del 26.02.2009;
– la Provincia avrebbe, quindi, adottato il 18.03.2009 il decreto di deroga alle distanze, qui gravato e, contestualmente, l’autorizzazione n.14/2009 alla coltivazione della cava, approvandone il relativo progetto che, conformemente a quanto previsto dal piano di gestione dell’ATE g20 e dall’autorizzazione paesistica, prevede lo scavo in fregio alla Roggia;
– le ricorrenti avrebbero impugnato soltanto l’autorizzazione in deroga ma non quella all’espletamento dell’attività di cava e neppure l’autorizzazione paesistica sul medesimo progetto.
3. Tanto premesso, la predetta Provincia eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse e di legittimazione ad esso, nonché, un ulteriore profilo di inammissibilità per mancata impugnazione dell’autorizzazione all’espletamento dell’attività di cava e di quella paesistica, vertenti sul medesimo progetto. Ancora, la Provincia deduce la inammissibilità della censura che fa leva sulla violazione dell’art. 11 delle NTA del Piano Cave, atteso che le ricorrenti non sarebbero proprietarie di alcun terreno che confini con le aree oggetto delle autorizzazioni gravate e, neppure, di terreni interessati dall’alveo della Roggia, i quali apparterrebbero ai frontisti, che sono gravati di servitù a favore degli utenti della Roggia.
4. Nel merito, poi, la Provincia rivela come l’adeguatezza della sponda, prevista dal progetto di escavazione in deroga, sarebbe dimostrata in virtù del fatto che, anche dopo gli interventi effettuati sui terreni già scavati, in forza di analoghe autorizzazioni in precedenza rilasciate e non gravate dalle istanti, non si sarebbero mai verificati fenomeni di esondazioni. L’art. 11, poi, sarebbe stato erroneamente invocato, trovando qui applicazione l’art. 104 d.P.R. cit., che prevedrebbe esplicitamente la possibilità di una deroga. Nessuna discrasia vi sarebbe, infine, fra la domanda della controinteressata e la risposta della Provincia, atteso che, la prima avrebbe riferito i m. 1,15 alla colonna delle lunghezze parziali, la seconda, invece, alla colonna delle differenze altimetriche: i due punti sarebbero però, di fatto, perfettamente coincidenti.
5. In prossimità della data fissata per l’udienza la difesa provinciale ha prodotto una relazione del responsabile dell’U.O.C. Attività estrattive, in cui si precisa che – all’atto del sopralluogo del 01.08.2009 – sarebbe stato riscontrato che la quantità d’acqua defluente attraverso la Roggia risulterebbe di gran lunga superiore (circa 1000 1/s) rispetto alla quantità concessionata (302 1/s) e che, ciò nonostante, non sussisterebbero problemi di esondazione nei fondi limitrofi alla Roggia.
6. La società controinteressata, oltre ad eccepire gli stessi profili di inammissibilità dedotti dalla Provincia, ribadisce la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, poiché il pregiudizio per le ricorrenti avrebbe potuto prodursi già con gli scavi precedenti, con cui era già stata autorizzata la escavazione con abbassamento dell’argine, restando a tal fine ininfluente l’odierna autorizzazione al completamento dell’escavazione, per la conformità morfologica dell’ambito. In ogni caso, le ricorrenti non avrebbero fornito alcuna dimostrazione di come l’autorizzazione in deroga di che trattasi avrebbe influito sulla portata della Roggia, in pregiudizio del loro diritto.
7. Il Collegio ritiene di potere prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari, stante l’infondatezza nel merito dell’odierno gravame.
8. In tal senso, non si può non rilevare come le doglianze di parte ricorrente, specie laddove evidenziano il rischio di una riduzione della capacità della Roggia in conseguenza dell’autorizzazione qui contestata, si scontrino con la realtà della situazione in atto, caratterizzata dalla presenza di pregresse autorizzazioni con deroghe dello stesso tenore di quella odierna, senza che sia mai stato riscontrato alcun pregiudizio alla capacità della Roggia in questione. Tanto è nei fatti scongiurato il rischio dei paventati pregiudizi che, come chiaramente emerge dall’ultimo sopralluogo commissionato dall’ente resistente, la stessa Roggia viene ad oggi utilizzata per una quantità d’acqua notevolmente superiore a quella oggetto di concessione. D’altra parte, la documentazione allegata tanto al decreto impugnato, quanto all’autorizzazione n.14/2009 all’esercizio dell’attività estrattiva (non impugnata), pone bene in evidenza come – anche dopo l’attuazione del progetto di escavazione in deroga – la sponda sia rimasta adeguata a contenere il deflusso delle acque. Né le ricorrenti si premurano di esporre le ragioni per le quali l’odierna autorizzazione, analoga a quelle in precedenza rilasciate rispetto all’ATE g20 (che, come mostrano di sapere le ricorrenti, è lambito "per circa 900 m." dalla Roggia Cascinassa, "di cui 600 m corrispondono a zone già scavate e circa 300 all’ultima zona da scavare". Cfr. pg. 5 del ricorso introduttivo), dovrebbe pregiudicare, diversamente da quanto accaduto sino ad ora con l’attività estrattiva già effettuata, le condizioni di stabilità e di capacità dell’alveo in questione.
Non convince neppure il richiamo all’art. 11 delle NTA del Piano Cave che, disciplinando le distanze del "ciglio di scavo" dai "confini di proprietà" o dal "perimetro dell’area in disponibilità", risulta inconferente rispetto al caso in esame, dove si discute di distanze dello scavo rispetto ad un corso d’acqua. Tale fattispecie, infatti, è prevista dall’art. 104 del d.P.R. cit., il quale espressamente prevede la possibilità di deroga, con l’unico limite della salvaguardia delle "condizioni di sicurezza" (cfr. art. 105 cit.). Né sussiste la lamentata incongruenza tra quanto richiesto dalla ditta controinteressata e quanto autorizzato dalla Provincia, atteso che, il decreto di deroga nel porre la distanza di m. 0,00 rinvia alla Tavola della Relazione del geologo M., ove detta misura viene riferita (nel disegno relativo al progetto di coltivazione), alla differenza altimetrica mentre, nello stesso punto, ove si guardi alla "lunghezza parziale", si vede come la stessa indichi il dato di m.1,15. Ne consegue che la lamentata discrasia è da imputare unicamente all’utilizzazione di un diverso parametro per individuare lo stesso dato di fatto e di progetto.
Infine, deve respingersi la censura afferente il difetto di motivazione e di istruttoria dell’atto impugnato, tenuto conto che il decreto qui in contestazione si colloca nell’ambito di una più ampia vicenda, quella, cioè, afferente l’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva, di cui al decreto n.14/2009.
Nel procedimento preordinato all’adozione della predetta autorizzazione, che le ricorrenti non si sono premurate di impugnare pur vertendo la stessa sul medesimo progetto di coltivazione redatto dal geologo M. e allegato all’istanza di autorizzazione in deroga, oltre a darsi atto dell’esistenza del decreto di autorizzazione in deroga, si indicano tutti i passaggi del più ampio iter autorizzativo concernente l’attività in questione, a cui risultano avere dato il proprio apporto tutti gli enti a vario titolo interessati (la Provincia di XXX per l’autorizzazione paesistica e il Comune di XXX per la vigilanza sul rispetto degli obblighi assunti dalla I.R. srl con la convenzione stipulata in data 05.02.2009, nonché, sul rispetto delle ulteriori prescrizioni imposte con la medesima autorizzazione n.14 cit.).
Nessun vizio di eccesso di potere, così come sopra genericamente dedotto da parte ricorrente, risulta pertanto affliggere gli atti come sopra gravati.
9. Per le considerazioni che precedono, dunque, il ricorso in epigrafe specificato deve essere respinto.
10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Pone le spese di lite a carico della parte ricorrente e a favore delle parti intimate, nella misura di euro 1.250,00= per ciascuna, per complessivi euro 2.500,00= oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Concetta Plantamura, Referendario, Estensore
Ugo De Carlo, Referendario

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