Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-07-2012, n. 13489

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Svolgimento del processo
La commissione tributaria regionale della Lombardia ha confermato la decisione con la quale la commissione tributaria provinciale di Milano aveva accolto un ricorso della XXX s.p.a. contro un atto di irrogazione di sanzioni amministrative per violazioni riscontrate nella importazione di partite di maglieria dalla (OMISSIS) in esenzione dal dazio.
Le violazioni erano state contestate a seguito della invalidazione di certificati Eur 1 circa l’origine preferenziale (OMISSIS) delle merci in questione. La commissione, nel contesto tipico – sanzionatorio della fattispecie di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303, commi 1 e 3, Tuld, ha ritenuto la norma insuscettibile di interpretazione estensiva e tale da non consentire di far rientrare il concetto di origine del prodotto importato – inciso dalla invalidazione dei certificati – in quello, giustappunto tipizzato, di qualità del medesimo.
Pur dichiarando di condividere le ulteriori argomentazione con le quali il giudice di primo grado aveva ritenuto non assolto, da parte dell’ufficio finanziario, l’onere della prova circa l’elemento soggettivo dell’illecito, ha considerato il profilo suddetto – della mancata espressa previsione del comportamento contestato come sanzionabile in virtù del richiamato D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 Tuld – idoneo di per sè a ritenere infondato l’appello dell’amministrazione.
Per la cassazione della sentenza di secondo grado l’agenzia delle dogane ha proposto ricorso affidato a tre motivi.
L’intimata ha replicato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria.
Motivi della decisione
1. – Col primo motivo l’amministrazione, denunciando violazione ed errata applicazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 Tuld, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3 e dell’art. 12 preleggi, ascrive alla sentenza di avere malamente interpretato, nel corpo dell’art. 303 cit., il significato del termine "qualità" impiegato a proposito della merce oggetto di importazione.
Assume doversi ritenere prevista e punita dalla disposizione de qua ogni ipotesi di difformità/falsità della dichiarazione concernente gli elementi essenziali ai fini della determinazione delle imposte applicabili; vale a dire, appunto, la qualità, la quantità e il valore, come pure l’origine e la provenienza della mercè medesima.
2. – Col secondo motivo la ricorrente denunzia un’ulteriore violazione (o falsa applicazione) del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 Tuld, nonchè del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e dell’art. 2697 c.c., imputando alla sentenza di avere errato in quanto il citato D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 non limita la responsabilità per le sanzioni amministrative, ma pone una presunzione di colpevolezza che sta al responsabile superare a mezzo di riscontri probatori precisi.
In sostanza, l’amministrazione assume che l’importatore, che utilizza certificati di origine irregolari, deve ritenersi responsabile anche per le afferenti sanzioni qualora non provi di aver adottato la necessaria diligenza professionale nella verifica della correttezza dell’operato dei soggetti da cui provengono le dichiarazioni all’uopo utilizzate quanto all’origine preferenziale della merce.
3. – Col terzo motivo la ricorrente denunzia infine il vizio di insufficiente motivazione della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 5) ascrivendole di aver omesso di fornire adeguata spiegazione dell’iter logico seguito quanto al profilo concernente l’operatività del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 Tuld.
4. – Il primo motivo – concluso dal quesito "se la sanzione prevista dal D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 colpisce tutte le difformità della dichiarazione doganale riscontrate in sede di accertamento, ivi comprese quelle sull’origine delle merci (..) e, quindi, se è soggetta alle sanzioni irrogate dall’agenzia delle dogane con l’atto in contestazione di cui è causa la controparte per la falsa/difforme dichiarazione di origine delle merci contestata dalla dogana, in relazione anche all’art. 12 preleggi e D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3" – è fondato.
5. – Giova premettere che, in base all’accordo di Cotonou, di partenariato tra i membri del gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro, i prodotti originari dei suddetti Stati ACP sono ammessi all’importazione nella Comunità europea "in esenzione da dazi doganali e da tasse d’effetto equivalente". In proposito, secondo il protocollo n. 1 dell’allegato 5^ dell’accordo, si considerano originari degli Stati ACP i prodotti interamente ottenuti negli Stati detti e i prodotti ottenuti nei medesimi in cui siano incorporati materiali non interamente ottenuti sui loro territori a condizione che codesti siano stati oggetto, negli Stati de quibus, di lavorazioni o trasformazioni sufficienti ai sensi dell’art. 4 del medesimo protocollo.
La prova dell’origine, secondo quanto ancora stabilito nel titolo 4^ del ridetto protocollo n. 1, devesi ricavare in linea generale dal certificato di circolazione – c.d. Eur 1 – rilasciato dalle autorità doganali del paese esportatore in base ai documenti intesi a comprovare, a onere dell’impresa esportatrice, il carattere originario dei prodotti in questione. Ora, il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 Tuld così dispone:
"Qualora le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci destinate alla importazione definitiva, al deposito o alla spedizione ad altra Dogana con bolletta di cauzione, non corrispondano all’accertamento, il dichiarante è punito con la sanzione amministrativa da lire duecentomila a lire un milione.
La precedente disposizione non si applica:
a) quando nei casi previsti dall’art. 57, lett. d), pur essendo errata la denominazione della tariffa, è stata indicata con precisione la denominazione commerciale della merce, in modo da rendere possibile l’applicazione dei diritti;
b) quando le merci dichiarate e quelle riconosciute in sede di accertamento sono considerate nella tariffa in differenti sottovoci di una medesima voce, e l’ammontare dei diritti di confine, che sarebbero dovuti secondo la dichiarazione, è uguale a quello dei diritti liquidati o lo supera di meno di un terzo;
c) quando le differenze in più o in meno nella quantità o nel valore non superano il cinque per cento per ciascuna qualità delle merci dichiarate.
Se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza supera il cinque per cento, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, è applicata in misura non minore dell’intero ammontare della differenza stessa e non maggiore del decuplo di essa. Tuttavia, se tale differenza dipende da errori di calcolo, di conversione della valuta estera o di trascrizione commessi in buona fede nella compilazione della dichiarazione ovvero è dovuta ad inesatta indicazione del valore semprechè il dichiarante abbia fornito tutti gli elementi necessari per l’accertamento del valore stesso, si applica la sanzione amministrativa non minore del decimo e non maggiore dell’intero ammontare della differenza stessa".
La norma, seppure distinta nei termini anzidetti, contempla un’unica fattispecie sanzionatoria, giacchè questa Corte ha affermato che l’art. 303, comma 3 configura, rispetto all’ipotesi contemplata nel comma 1, una mera circostanza aggravante, comportante solo una maggiorazione dell’entità della stessa sanzione di cui al comma 1 per il che, s’è detto, ove ricorra una delle ipotesi contemplate dal comma 2, danti luogo alla non applicazione di sanzioni, non può trovare applicazione neppure la disposizione di cui al comma 3 (v.
Cass. n. 2590/1999).
Il senso ultimo è che la sanzione consegue all’avere sottratto l’importazione al dazio attraverso il nascondimento di uno degli elementi all’uopo rilevanti. Invero l’interpretazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 Tuld non può essere dissociata dalla finalità assunta in seno al meccanismo di determinazione del trattamento doganale. In siffatta prospettiva i termini impiegati nell’art. 303, comma 1 (qualità, quantità e valore) costituiscono un’esemplificazione dell’elemento oggettivo destinato all’importazione e specificamente considerato ai fini del pagamento del dazio. E vogliono sottintendere la relazione di necessaria corrispondenza (sostanziale) che deve correre tra l’oggetto della dichiarazione doganale e l’oggetto dell’accertamento.
La dichiarazione doganale, del resto, in base al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 4 deve contenere (lett. e) "la descrizione delle merci con l’indicazione della posizione di tariffa, della qualità, della quantità, del valore e di ogni altro elemento occorrente per la liquidazione dei diritti".
6. – Ora, in linea generale, nel concetto di "qualità" di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprietà o condizione che serva a determinarne la natura, e a distinguerla da altre simili.
Dunque vi rientra anche l’origine (o la provenienza), in quanto elemento sintomatico delle specificità del prodotto.
E del resto non giova la sottolineatura che il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 57 Tuld, prima dell’abrogazione conseguente al D.Lgs. n. 374 del 1990, come pure il già visto D.Lgs. ult. cit., art. 4 ha imposto di indicare, in dichiarazione doganale, il luogo di origine e di provenienza in topografica separazione (lett. c) rispetto alla descrizione delle merci per posizione di tariffa, qualità, quantità e valore (lett. e).
La menzione (nella lett. c) dei "luoghi di origine, di provenienza e di destinazione delle merci" rileva al fine di compiuta indicazione dell’oggetto dell’attività di importazione, come può agevolmente desumersi dal fatto che la stessa "quantità" e "natura dei colli" (con le marche, sigle o cifre identificative) è ancora prevista nella lett. d), oltre che nella lett. e). Per cui può convenirsi che, tanto le indicazioni di cui alla lett. e) (luoghi di origine, di provenienza e di destinazione), quanto quelle di cui alla lett. d) (quantità e natura dei colli con marche, sigle o cifre identificative), sono assunte, in seno al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 4 in funzione del controllo sulle caratteristiche complessive del prodotto importato.
Ciò non toglie che, ai fini della liquidazione del dazio, si impone (lett. e) che la dichiarazione doganale contenga la descrizione delle merci con l’indicazione della posizione di tariffa, della qualità, della quantità, del valore "e di ogni altro elemento occorrente per la liquidazione dei diritti".
In quanto partecipe della caratteristica funzione distintiva del concetto di "qualità" del prodotto, e in quanto comunque costituente elemento significativo per la liquidazione del tributo (tanto da potersi giustificare l’esenzione dal dazio giustappunto in dipendenza di essa), l’origine della merce importata rileva comunque, ove la dichiarazione doganale risulti sul punto mendace, ai fini dell’applicazione della sanzione di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 Tuld. Giacchè l’origine rappresenta uno degli elementi significativi per stabilire la debenza, o meno, del tributo in base alle condizioni dettate dalla normativa comunitaria in tema di agevolazioni daziarie, e in considerazione della genesi dell’obbligazione doganale siccome correlata all’inosservanza delle condizioni dettate (art. 202 del codice doganale comunitario) per le merci aventi un particolare regime giuridico (cfr. per spunti Cass. n. 15297/2008).
Da questo punto di vista non si tratta quindi – come invece ipotizzato dalla commissione regionale – di un’interpretazione estensiva in malam partem del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303 Tuld.
Si tratta di un’interpretazione letterale, essendo annoverabile l’origine (o la provenienza) della merce – ai fini del trattamento daziario – in seno agli elementi caratteristici sintomatici della qualità; ovvero – il che è lo stesso – essendo la qualità un predicato anche dell’origine e della provenienza.
7. – L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del terzo.
Il secondo motivo, invece, è inammissibile.
La commissione regionale, seppur dichiarando di condividere le ulteriori argomentazioni del giudice di primo grado in ordine alla mancata prova dell’elemento soggettivo della commessa infrazione doganale, a onere dell’amministrazione finanziaria, ha espressamente affermato di prescindere da queste ai fini del rigetto dell’appello.
In tal modo ha mostrato di reputare il detto profilo assorbito.
Il motivo attinge quindi un passaggio della motivazione della sentenza che non risulta elevato a dignità di ratio decidendi.
8. – In conclusione, il primo motivo va accolto, il secondo va dichiarato inammissibile, il terzo è assorbito.
L’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla commissione tributaria regionale della Lombardia, diversa sezione, la quale, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati, riesaminerà l’appello anche in rapporto a quanto assorbito.
La commissione regionale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo;
dichiara assorbito il terzo; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Lombardia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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