Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 13-03-2013, n. 11821

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 23/05/2011 la Corte d’Appello di Genova ha ridotto la pena di cui alla sentenza del Gip presso il Tribunale di Genova di condanna di M.R. per il reato di cui all’art. 609 bis c.p. ad anni uno e mesi quattro di reclusione per avere con violenza costretto A.D.A.S.M. a compiere o subire atti sessuali, avendo in particolare l’imputato iniziato un rapporto con la ragazza mentre ella dormiva nel suo letto e di averlo proseguito approfittando della incapacità della stessa di reagire a causa dello stato di ubriachezza in cui si trovava.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato deducendo con un primo motivo violazione dell’art. 530 c.p.p.; lamenta che sia stata ritenuta la responsabilità nonostante l’inattendibilità intrinseca ed estrinseca delle affermazioni della persona offesa; in particolare evidenzia le incongruenze di tali dichiarazioni sintetizzabili in tre punti: 1) nessun rumore era stato avvertito dall’amico O. presente al momento dei fatti in una stanza attigua del medesimo appartamento; 2) la donna, dopo la violenza subita, era rimasta ciononostante a dormire fino alle 11.00 del mattino accanto all’imputato; 3) la persona offesa aveva smentito di avere badato l’imputato la sera precedente il fatto durante il ballo tra i due all’interno del locale "(OMISSIS)", circostanza, invece, emersa dalle dichiarazioni dei testi R. e O.. Altrettanto perplesse, e comunque prive di riscontri oggettivi, erano le osservazioni del giudice d’appello circa lo stato di minorata capacità psicofisica attribuito alla persona offesa in conseguenza dell’ingestione di alcolici.

Con un secondo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p. avendo la Corte negato le stesse alla luce del contenuto delle dichiarazioni difensive rese dall’imputato, in tal modo comprimendo il legittimo diritto a difendersi.

Motivi della decisione

3. Il primo motivo di ricorso, pregiudiziale rispetto al secondo, è fondato. La sentenza impugnata fonda la prova del fatto attribuito all’imputato esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa posto che lo stesso, consistito in un rapporto sessuale intervenuto mentre I due, conosciutisi la sera precedente tramite il comune amico O., dormivano nel medesimo letto a casa di M., sì sarebbe verificato senza che terze persone fossero presenti. Evidente è, quindi, in consimili casi, la necessità, pur a fronte della sufficienza in astratto di tali dichiarazioni ad integrare la prova necessaria, di vagliare con particolare scrupolo la attendibilità della stessa persona offesa, come più volte ribadito, del resto, da questa Corte (nel senso infatti che a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa, la cui deposizione, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, che può giungere, specie laddove la stessa persona offesa si sia costituita parte civile sino alla necessità di acquisire il riscontro con altri elementi, si vedano, da ultimo, Sez. Un., n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).

Nella specie, risulta dalla sentenza di primo grado, cui quella impugnata fa, sul punto, riferimento, che la persona offesa ebbe a dichiarare di avere incontrato alle ore 3.00 del mattino, in un locale, il proprio amico – padrone di casa O.M. e di essersi recata con questi e l’amico M.R. in altro locale denominato "(OMISSIS)" ivi bevendo alcolici (in particolare una birra e due vodka lemon) e ballando per poi recarsi, verso le 5.00, a casa, da lì poco distante, del M.; ivi giunti, di essersi stesa a dormire sul letto dell’imputato mentre questi era ancora intento a parlare con l’amico e di essersi poi svegliata mentre questi la stava penetrando; di avere più volte espresso il proprio dissenso a voce cercando anche di spostare l’uomo con le mani, ma di non avere avuto forza a causa del sonno e dell’alcol ingerito riaddormentandosi fino al mattino seguente allorchè era finalmente uscita di casa recandosi dapprima a casa propria e poi all’ospedale per essere visitata.

A fronte di tale racconto l’imputato aveva essenzialmente, con l’atto di appello, sotto un primo profilo, lamentato come anomala la riferita incapacità di reagire e, successivamente, di allontanarsi dal letto ove dormiva proprio in un momento nel quale gli effetti dell’alcool, cui tale incapacità doveva, secondo la ragazza, ricollegarsi, dovevano ritenersi sicuramente in procinto di scemare mentre, in precedenza, laddove tali effetti dovevano ritenersi più consistenti, la stessa era stata in grado di salire autonomamente le scale sino al quinto piano dello stabile; sotto un secondo profilo, poi, aveva posto in rilievo tre ulteriori elementi asseritamente idonei ad incidere negativamente sull’attendibilità, ovvero, segnatamente, la mancata percezione, da parte di O.M., che leggeva nella stanza accanto, di rumori di sorta o voci provenienti dalla camera ove i due dormivano, la prolungata permanenza della ragazza nella stanza, anche successivamente alla riferita subita violenza, e, infine, la negazione da parte della stessa di scambi di effusioni o baci con il M. mentre ella e quest’ultimo ballavano nel locale – discoteca, scambi, invece, riferiti concordemente da O., amico di entrambi, e da R. A., amica dei due ragazzi, in ciò confermativi delle dichiarazioni di M..

La Corte territoriale, dopo avere motivatamente escluso, senza imperfezioni logiche, che il fatto di non avere O. udito alcunchè fosse non compatibile con la versione della persona offesa, attese le modalità della reazione di questa, non manifestatasi rumorosamente, posta di fronte ai restanti aspetti, certamente suscettibili di una valutazione sul piano dell’attendibilità della persona offesa secondo i principi ricordati in premessa, ha considerato anzitutto irrilevante la circostanza dell’ avere la ragazza potuto salire a piedi i cinque piani di scale in autonomia "ben potendo il picco alcolico avere raggiunto il suo vertice quando essa si trovava ormai all’interno dell’alloggio".

Tale risposta appare, tuttavia, da un lato, fondata su una mera congettura (non essendo spiegato in quale arco temporale e con quale sequenza avvenne l’ingestione degli alcolici che, secondo lo stesso Tribunale, erano consistiti addirittura, assai probabilmente, in tre vodka lemon e due birre, se non addirittura tre: vedi pag. 9), e, dall’altro, del tutto inidonea a spiegare, da sola, altresì l’andamento, risultante dalle dichiarazioni della ragazza, di una condizione di ebbrezza che, non ostativa, in principio, di autonoma deambulazione dal "(OMISSIS)" a casa di M., ivi compresa l’ascesa dei cinque piani, soltanto dopo fu tale da impedire alla stessa di percepire che M. la stava spogliando e addirittura iniziando l’atto sessuale, per accorgersene solo quando il ragazzo era sopra di lei, intento a penetrarla, per ridivenire, ancora, successivamente, di tale intensità da impedire addirittura alla stessa, quando ormai erano trascorse ore dall’uscita dal locale, di alzarsi dal letto e reggersi in piedi e da indurla a sprofondare nuovamente in un sonno durato fino a tarda mattina. Un tale quadro, desumibile, come si legge in sentenza, dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, ed indicativo di una incapacità di rendersi conto "a fasi alterne" della realtà circostante, non pare, anzi, collimare con lo stato di incoscienza pressochè totale che, secondo la stessa Corte, era usualmente provocato nella ragazza dalla ingestione di alcolici.

Parimenti immotivata appare poi la spiegazione della sentenza in ordine all’incidenza sulla attendibilità complessiva della teste della negazione degli scambi di baci intercorsi tra lei stessa e l’imputato quella notte: la Corte, da un lato, sembra manifestare perplessità sull’attendibilità delle dichiarazioni, in senso contrario alla ragazza, dei testi O. e R., amici del M. ("la possibilità di una testimonianza "di favore" …è tutt’altro che inverosimile") senza, tuttavia, giungere ad affermare, con la certezza richiesta, la non attendibilità degli stessi e, dall’altro, sottolinea che l’eventuale menzogna della ragazza sul punto non potrebbe incidere sulla veridicità della denuncia di violenza sessuale sporta dalla stessa senza tuttavia, subito dopo, chiarire il motivo di una tale conclusione; e ciò, va aggiunto, neppure ove tale spiegazione volesse rinvenirsi in quanto già sottolineato dal giudice di primo grado (come richiamato dalla stessa Corte alcuni passaggi prima), ovvero nel fatto che "l’eventuale disponibilità della persona offesa … non potrebbe interpretarsi come contrastante con la successiva contrarietà ad un rapporto sessuale completo": una tale affermazione, infatti, si limita, a ben vedere, unicamente a spiegare la possibile, ed ovvia, compatibilità tra le due circostanze, ma non procede in alcun modo a valutare, come richiesto dai principi di cui in premessa, se, indipendentemente da tale compatibilità, che nessuno appare aver posto in discussione, l’attendibilità della ragazza debba ritenersi pregiudicata da una dichiarazione non veritiera su tale punto. In definitiva, ed attenendo le lacune indicate ad aspetti centrali del quadro motivazionale, la sentenza impugnata va annullata con rinvio a nuovo giudice che proceda a rivalutare le dichiarazioni della persona offesa tenendo conto di quanto sopra.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2013

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