Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 12-03-2013, n. 11529 Indagini preliminari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 13/12/2011 la Corte d’Appello di Ancona ha ridotto la pena di cui alla sentenza del Tribunale di Fermo di condanna di B.C. per il reato di cui all’art. 600 bis c.p. ad anni quattro di reclusione ed Euro 10.493,00 di multa per avere favorito la prostituzione di R.L., minore infradiciottenne, fornendole a tale scopo una stanza ed accogliendo ed accompagnando i clienti della ragazza.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata deducendo violazione di legge e mancanza e contraddittorietà di motivazione.

In particolare lamenta che la Corte abbia ritenuto, in violazione della L. n. 269 del 1998, art. 14 utilizzabili le dichiarazioni dell’Ispettore O. (che, qualificatosi come cliente, aveva accertato la disponibilità da parte della minore di una stanza);

deduce sul punto che tra i reati indicati dal predetto art. 14, con conseguente necessità di osservare le modalità ivi previste, rientra anche quello di cui all’art. 600 bis c.p., comma 1 in tal modo dovendo disattendersi le argomentazioni della Corte secondo cui il divieto riguarderebbe unicamente l’acquisto simulato di materiale pornografico e le relative attività di intermediazione commesse mediante l’impiego di sistemi informatici. Deduce conseguentemente che, poichè dette dichiarazioni sarebbero l’unico elemento di prova a fondamento della affermazione di colpevolezza, la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata senza rinvio.

Sotto altro profilo contesta che l’avere posto a disposizione della minore una stanza integri il reato contestato posto che quest’ultima si prostituiva in strada, come confermato dalla madre.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile. Quanto al primo profilo investito, va ricordato che la L. n. 269 del 1998, in tema di norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale in danno di minori, prevede, all’art. 14, che gli ufficiali di polizia giudiziaria delle strutture specializzate per la repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei minori, ovvero di quelle istituite per il contrasto dei delitti di criminalità organizzata, possono, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di cui all’art. 600-bis c.p., comma 1, art. 600-ter c.p., commi 1, 2 e 3, e art. 600-quinquies c.p. procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico e alle relative attività di intermediazione, nonchè partecipare alle iniziative turistiche di cui all’art. 5 della stessa Legge. Ne risulta che non ogni attività di contrasto alle predette condotte illecite debba osservare le prescrizioni ivi indicate ma unicamente quelle che si risolvano in un acquisto simulato di materiale e in attività di intermediazione. Nel senso di un’interpretazione restrittiva della disposizione, necessariamente discendente dalla lettera della norma, si è del resto già affermato che neppure l’attività di accesso a fini investigativi, da parte della polizia giudiziaria, mediante uso di una determinata parola chiave, a "file" condivisi, senza che tale attività sia accompagnata da quella di acquisto simulato o di intermediazione nell’acquisto dei prodotti esistenti in detti "file", costituisce "attività di contrasto" soggetta ad autorizzazione dell’autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 13729 del 05/02/2009, Luzi, Rv. 243389). A maggior ragione, dunque, come già correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, non può rientrare nella sfera applicativa della disposizione la condotta tenuta nella specie dall’Ispettore di polizia O., che, recatosi presso l’appartamento abitato dall’imputata, veniva ivi fatto entrare dalla stessa nella camera ove era presente la minore R. che, subito dopo, iniziava a sbottonarsi i pantaloni.

4. Anche le doglianze mosse sotto il secondo profilo sono inammissibili. A fronte delle risultanze processuali, puntualmente riportate nella sentenza impugnata, secondo cui l’imputata ebbe a porre a disposizione la propria abitazione per il compimento dell’attività di meretricio da parte della minore, tanto che, come visto sopra, fu proprio all’interno di tale appartamento che l’ispettore di polizia venne introdotto alla presenza della ragazza, la ricorrente deduce una, inammissibile, diversa dinamica dei fatti, pretendendo che detto meretricio si svolgesse, contrariamente a tale ricostruzione, in strada. D’altra parte, va anche aggiunto che, per costante indirizzo di questa Corte, costituisce reato di favoreggiamento qualsiasi condotta che "effettivamente" agevoli la prostituzione (tra le tante, da ultima, Sez. 3, n. 3588 del 13/03/1996, Roero, Rv. 204951), da qui discendendo la corretta conclusione raggiunta nella specie dalla Corte dorica circa l’integrazione del reato ascritto all’imputata.

5. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in dispositivo, ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2013

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