Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 12-03-2013, n. 11528

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nola di condanna di C.V. per i reati di cui agli artt. 609 bis, 612 bis, 572, 582 e 585 c.p., ha rideterminato la pena in anni tre e mesi sei di reclusione confermandola nel resto.

2. Ha proposto ricorso l’imputato tramite il proprio Difensore lamentando con un primo motivo essenzialmente che la Corte, nonostante la produzione in giudizio di una lettera con cui la persona offesa L. si dichiarava pentita di quanto fatto, in sostanza riconoscendo la non veridicità dell’accusa mossa all’imputato, ha confermato il giudizio di attendibilità della dichiarante; più in generale, poi, lamenta una accettazione assoluta e fideistica della iniziale versione dei fatti della L. senza un approfondimento in particolare con riguardo alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Con un secondo motivo lamenta che la valutazione degli elementi di prova (ovvero le dichiarazioni della persona offesa, le dichiarazioni dei genitori, le dichiarazioni del teste R.) da parte della Corte sia stata svolta sempre e solo a senso unico, ovvero in danno del ricorrente e con chiaro pregiudizio oggettivo. Censura poi la ritenuta non credibilità della versione difensiva.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

Quanto ai primo motivo, con lo stesso viene anzitutto inammissibilmente dedotta una lettura del dato documentale, rappresentato dalle missive inviate all’imputato dalla persona offesa, diversa da quella che la Corte, in maniera logica ed esaustiva, ha dato di essa; i giudici di appello hanno infatti rilevato che dette missive sono al più indicative della permanenza in capo alla donna di sentimenti di affetto verso l’uomo e del pentimento per averlo denunciato (in particolare per gli effetti provocati in termini di libertà personale), senza che in nessuna parte delle stesse la L. abbia peraltro mai affermato di avere detto il falso. Anche le ulteriori doglianze sollevate sempre con lo stesso motivo, e volte a censurare la valutazione delle dichiarazioni effettuate dalla persona offesa, non possono trovare ingresso nella presente sede: da un lato perchè le stesse sono anzitutto generiche esaurendosi in una mera confutazione di principio di detta valutazione senza esplicazione alcuna delle ragioni che avrebbero dovuto condurre a diverso esito e dall’altro perchè, in ogni caso, non censurano il percorso argomentativo della sentenza impugnata, ma investono, appunto, il merito della valutazione della prova, fuoriuscendo dai limiti che il ricorso per cassazione deve fisiologicamente presentare; è del resto significativo che, anche testualmente, il ricorso fondi la pretesa di assoluzione dell’imputato sulla "sola possibilità … di una ricostruzione alternativa a quella accusatoria" che avrebbe imposto "sulla base dei concreti elementi in atti … una lettura dei fatti favorevole al ricorrente". Al contrario, non può non essere rammentato che, anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 il sindacato della Cassazione continua a restare quello di sola legittimità sì che continua ad esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (tra le altre, Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893).

4. Anche il secondo motivo è generico per le medesime ragioni già evidenziate sopra venendo addebitata alla Corte territoriale, in maniera del tutto aprioristica, una valutazione, in ogni caso afferente a profili di fatto qui non deducibili, delle prove raccolte in giudizio "a senso unico": in ogni caso la sentenza impugnata ha motivatamente argomentato, in maniera congrua ed esente da censure, a pag. 6, in ordine all’attendibilità della persona offesa e agli elementi di riscontro, anche estrinseco, delle dichiarazioni della stessa richiamando in particolare, sul punto, le dichiarazioni del padre della donna.

5. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in dispositivo, ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2013

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