Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-01-2013) 07-03-2013, n. 10621

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Perugia confermava la sentenza in data 21 ottobre 1999 con la quale il G.U.P. di Perugia condannava M.Q., a seguito di giudizio abbreviato e con la concessione delle attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per il reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2, art. 609 bis c.p., e art. 609 ter c.p., comma 1. n. 1), relativamente al compimento di plurimi atti sessuali nei confronti di una bambina ( B.A.) di anni (OMISSIS) consistiti, in un’occasione, nello sbottonarle i pantaloni e nell’accarezzarle le gambe e le parti intime ed, in altra occasione, nel toglierle i pantaloni e nell’abbassarle le mutandine e nel tenerla ferma mentre avvicinava le proprie parti intime alle sue ((OMISSIS)).

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione, deducendo, tra l’altro, la violazione degli artt. 157 e 161 c.p.p. e la conseguente nullità della notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio e del verbale di udienza del 9 giugno 2009.

La Corte suprema di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza in data 19.4.2011, annullava la sentenza impugnata in relazione al sopra riportato ed assorbente motivo di natura formale, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze. Quest’ultima, con sentenza in data 10.2.2012, confermava ancora la predetta sentenza del G.U.P. del Tribunale di Perugia.

Avverso tale sentenza della Corte fiorentina ricorre nuovamente per cassazione il difensore di fiducia di M.Q., deducendo i seguenti motivi.

1. La violazione degli artt. 438 e 442 c.p.p. ed il vizio motivazionale in relazione alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla minore nelle varie fasi preprocessuali, degli atti utilizzabili a tal fine e del comportamento processuale dell’imputato; nonchè la violazione dell’art. 157 c.p. per mancata declaratoria di prescrizione del primo episodio di abuso contestato.

Rileva che la motivazione posta a sostegno della decisione impugnata si palesa come apparente e non esaustiva, in relazione alle doglianze mosse con gli articolati motivi aggiunti con i quali erano state evidenziate le discrasie e le inverosimiglianze delle dichiarazioni rese dalla parte offesa della quale erano state incomprensibilmente considerate solo quelle rese in sede di s.i.t. e non anche quelle rese "de relato" dalla Dr.ssa C., ginecologa, e dal ct. del P.M..

Tra l’altro, non era stata data risposta alla collocazione temporale dei due episodi contestati, il primo dei quali, alla luce della comunicazione del 15.12.1997 della dr.ssa C., si sarebbe verificato nel 1996 e, quindi, si era irrimediabilmente prescritto.

2. La violazione dell’art. 609 bis c.p., u.c., ed il vizio motivazionale, laddove era stata negata l’impetrata attenuante della lieve entità del fatto.

Sono stati depositati "motivi nuovi" con i quali si ribadiscono entrambi i motivi di ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto.

Anzitutto va rilevato che il termine prescrizionale (di anni 15, ai sensi del previgente testo dell’art. 157 c.p., applicabile in funzione dell’epoca in cui fu emessa la sentenza di primo grado e comunque più favorevole: L. n. 251 del 2005, art. 10) previsto per il reato contestato (in considerazione delle attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante), non è ad oggi decorso, tenuto conto della sospensione del medesimo per l’astensione degli avvocati (che non è limitata alla sola durata dello "sciopero", ma si estende al tempo resosi necessario per gli adempimenti tecnici imprescindibili al fine di garantire il recupero dell’ordinario svolgersi del processo e, quindi, fino alla data odierna: cfr. Cass. Pen. Sez. 4, n. 46359 del 24.10.2007, Rv. 239020), a seguito di rinvio disposto da questa Corte all’udienza del 23.10.2012.

Nè è prescritto almeno il primo episodio che si assume risalire al (OMISSIS), poichè comunque trattasi di reato continuato la cui consumazione, secondo la disciplina previgente, deve ritenersi protratta fin al (OMISSIS), onde da tale data decorre il termine prescrizionale ai sensi dell’art. 158 c.p. previgente:

infatti, non è applicabile nel caso di specie la novella introdotta dalla L. n. 251 del 2005, art. 6, comma 3 della in relazione all’art. 158 c.p., comma 1 concernente il computo della prescrizione per ciascuno dei reati riuniti sotto il vincolo della continuazione, trattandosi di sentenza di primo grado intervenuta, come sopra rilevato, prima della novella predetta (L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 2) e non potendosi combinare un frammento della vecchia legge con altro della nuova (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, n. 36757 del 4.6.2004, Rv. 229687).

Quanto alle residue censure, si osserva che, in effetti, la Corte fiorentina ha tralasciato di valutare le dichiarazioni dalla Dr.ssa C., ginecologa, e dal c.t. del P.M. circa quelle loro riferite daila minore, adducendo la mancata verbalizzazione di queste ultime ed omettendo sia di analizzare le contraddizioni emergenti tra le diverse versioni e quanto segnalato nell’atto di appello, sia di apprezzare positivamente o negativamente la dedotta censura concernente il decorso del termine prescrizionale in relazione al primo episodio di abuso: tale ultima circostanza è ormai ininfluente attese le argomentazioni sopra svolte in ordine al decorso del termine prescrizionale. Per il resto, benchè le suddette dichiarazioni siano state riportate in via indiretta e sintetica, trattandosi di dichiarazioni "de relato", e la loro mancata verbalizzazione nell’immediatezza non possa escluderne in radice la utilizzabilità, il giudice a quo ha fornito al riguardo una spiegazione tutt’altro che inconsistente o inadeguata, rilevando che non poteva escludersi che i due testi de relato avessero inteso esporre solo le circostanze da loro ritenute rilevanti (al fine dell’integrazione degli estremi del reato e non già dell’attendibilità della minore): in ogni caso si deve convenire come le versioni riportate dal consulente del P.M. e dalla ginecologa fossero sostanzialmente convergenti sul nucleo centrale del racconto, relativo alla ricostruzione degli atti sessuali posti in essere dall’imputato, loro fornito dalla minore. La Corte ha, inoltre, svolto un’accurata indagine esitata in un’esaustiva motivazione (pag.

5 sent.) in relazione alla ritenuta attendibilità della bambina, escludendo elementi indicativi di squilibri o di tendenza ad abbandonarsi a fantasticherie e fornendo congrua spiegazione della diversità del comportamenti tenuto dalla minore in occasione dei due episodi. Sono stata anche valutate, scartandole, ragioni di contrasto tra il nucleo familiare della piccola e quello dell’imputato (ove i genitori la accompagnavano) o di astio che potessero originare false accuse ed è stato persino sottolineato come nemmeno l’imputato avesse smentito i fatti, limitandosi, nel corso dell’interrogatorio delegato alla P.G., a dire, fra l’altro, che i propri comportamenti erano stati fraintesi.

Congrua ed esaustiva (ed in linea con l’orientamento di questa Corte sul punto) è la motivazione addotta a sostegno del rigetto dell’invocata attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., laddove ha ritenuto le modalità particolarmente invasive della condotta nei confronti di una bambina come ostative all’integrazione del fatto di minore gravità che devono essere rapportate al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima (cfr. Cass. pen. Sez. 3, n. 23093 del 11.5.2011, Rv. 250682).

Peraltro, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. 5, n. 39048 del 25.9.2007, Rv. 238215). Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., sez. 2, 15.1.2008, n. 5994; Sez. 1, 15.6.2007, n. 24667, Rv.

237207; Sez. 4, 3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636), evenienza non verificatasi nel procedimento in esame.

Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Infine, trattandosi di persona offesa minorenne, si deve disporre che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2013

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