T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 19-01-2011, n. 102

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 25 marzo 2005 e depositato il successivo 31 marzo, la P. s.p.a. chiedeva l’annullamento, previa sospensione, dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Calenzano, n. 21 del 18 febbraio 2005, con la quale era disposta la sospensione dell’attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, da lei esercitata in Località "Carraia" in area in cui era attiva una cava di calcare nota come "La Cassiana", nonché dell’atto dirigenziale della Provincia di Firenze, n. 576 del 4 marzo 2005, che prendeva atto del divieto di prosecuzione dell’attività di messa in riserva per recupero rifiuti.

La ricorrente precisava che tale cava di calcare era attiva già anteriormente al 1980, gestita da altro oggetto. La prosecuzione di tale attività, previa attestazione di regolarità da parte della Regione Toscana, in seguito all’entrata in vigore della l.r. n. 36/1980, era confermata con provvedimento comunale del 5 gennaio 1988 in seguito alla presentazione di apposito progetto da parte del soggetto gestore. Nelle more – precisava ancora la società ricorrente – lo stesso Sindaco di Calenzano aveva autorizzato la realizzazione di lavori di pavimentazione dei piazzali, nel 1986 e, nel 1987, anche l’installazione di macchinari.

L’attività estrattiva si esauriva nel 1991 e nessun ampliamento ulteriore della cava era in seguito autorizzato.

Il 1 giugno 1998 era poi sottoscritto, tra il precedente gestore e la società ricorrente, un contratto di locazione dei piazzali fondato sul presupposto per il quale l’attività estrattiva non veniva esercitata, ferma restando una specifica clausola risolutiva per cui la locazione stessa sarebbe venuta meno ove l’attività estrattiva fosse ripresa con nuova autorizzazione.

La società ricorrente specificava che tale locazione era stata prevista per consentire l’attività di recupero di materiali idonei alla costruzione di strade ed altri manufatti e in seguito, con provvedimento del 13 novembre 1998, la Provincia di Firenze provvedeva a comunicare l’iscrizione nel registro di cui all’art. 33 d.lgs. n. 22/97 per consentire specificatamente esercizio delle attività di messa in riserva (R13 dell’Allegato "C" d.lgs. cit.) e di riciclo/recupero (R5 dell’Allegato in questione) di rifiuti speciali non pericolosi ivi elencate in dettaglio.

In prossimità del periodo di scadenza quinquennale, la società ricorrente provvedeva a comunicare il rinnovo dell’iscrizione, la quale fu assentita dalla Provincia con nota del 13 novembre 2003, nuovamente come riferimento ai su richiamati codici R13 e R5. In pari data, la Provincia provvedeva anche a comunicare al Comune di Calenzano la prosecuzione della predetta attività, evidenziando la necessità di verificare il rispetto di quanto previsto dalla normativa urbanistica e d’uso.

La società ricorrente evidenziava che nei successivi 14 mesi il Comune non adottava alcun provvedimento in merito e solo in data 28 gennaio 2005 comunicava l’avvio del procedimento per la sospensione dell’attività di recupero rifiuti a cui seguiva, in data 22 febbraio 2005, la notificazione dell’ordinanza indicata in epigrafe che disponeva, con effetto immediato, la sospensione dell’attività di recupero dei rifiuti speciali non pericolosi svolta presso l’area di cava in questione, rilevando che la stessa si svolgeva in area classificata dl PRG come zona "DE/a, ai sensi della prescrizione contenuta nel piano regionale delle attività estrattive del 1995, e che, ai sensi dell’art. 37, comma 2 e 3, l.r. n. 78/1998, si riscontrava la mancanza dell’autorizzazione di cui al secondo comma del predetto articolo e, comunque, la mancanza dell’autorizzazione all’escavazione.

Ne seguiva la nota provinciale evidenziata in epigrafe, con la quale si prendeva atto di detta ordinanza e si disponeva la sospensione dell’iscrizione al Registro provinciale di cui all’art. 33 cit.

La P. spa, quindi, lamentava quanto segue.

"I) Violazione dell’art. 33 del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22; violazione dell’art. 37 della L.R.T. 3.11.1998, n. 78; violazione del D.M. Ambiente 5.2.1998; violazione del decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana n. 14/R del 25.2.2004. Eccesso di potere per difetto di presupposti, per difetto di istruttoria, per contraddittorietà e vessatorietà manifeste". Erroneità e difetto di motivazione".

La società ricorrente precisava che per svolgere le attività sopra ricordate di cui all’iscrizione nel registro provinciale, non era necessaria alcuna autorizzazione ai sensi del secondo comma dell’art. 37 l.r. cit. nè era richiesta alcuna autorizzazione all’escavazione.

Infatti, in relazione al primo profilo, la norma della legge regionale richiamata precisava che la realizzazione dei piazzali di stoccaggio con impianti di riciclaggio di materiali inerti era soggetta solo agli "adempimenti" previsti dalla vigente normativa edilizia e dalla normativa sui rifiuti, senza fare riferimento, per quel che riguardava il caso di specie, ad alcuna autorizzazione, diversa dalla mera comunicazione di denuncia di inizio attività prevista per le procedure semplificate di cui all’art. 33 d.lgs. n. 22/97, risultando già assentiti i piazzali di stoccaggio sotto il profilo edilizio.

Ciò era confermato anche da quanto disposto nel Regolamento (decreto) del Presidente della giunta regionale n. 14/R del 25 febbraio 2004, secondo cui l’assolvimento degli adempimenti relativi alle procedure semplificate disciplinate dal Capo V del d.lgs. n. 22/97 era assolto mediante l’utilizzo dei modelli contenuti negli allegati a detto regolamento, come era stato effettuato a suo tempo dalla stessa ricorrente.

In relazione al secondo profilo, poi, la P. evidenziava che non era necessaria alcuna autorizzazione all’escavazione, dato che non era esercitata alcuna attività estrattiva nei piazzali da lei presi in locazione.

La non necessità di alcuna autorizzazione era confermata anche, secondo la ricostruzione della ricorrente, dalla circostanza per la quale la comunicazione provinciale con cui si segnalava al Comune il rinnovo della comunicazione ex art. 33 cit., faceva esclusivo riferimento alla verifica del rispetto della "normativa urbanistica e d’uso".

"II) Incompetenza. Violazione della L.R. 18.5.1998, n. 25; violazione dell’art. 33 del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22".

Risultava esclusivamente a carico della Provincia la competenza a verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti per lo svolgimento di attività di recupero dei rifiuti, per cui il Comune – che secondo quanto suggerito dalla stessa Provincia di Firenze nella ricordata nota del novembre 2003 poteva unicamente verificare il rispetto della normativa urbanistica e d’uso delle aree – si era fatto carico di competenze non sue influendo sull’attività in questione e disponendone la sospensione.

"III) Violazione dell’art. 33 del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22; violazione degli artt. 3, 19 e 20 della L. 7. Da.1990 n. 241. Eccesso di potere sotto il profilo dell’errata valutazione dei presupposti di fatto e della mancata e/o errata comparazione degli interessi. Difetto ed erroneità della motivazione".

L’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti, ai sensi dell’art. 33 d.lgs. cit., poteva essere intrapreso decorsi 90 giorni dalla comunicazione di inizio attività e tale termine, secondo anche quanto previsto dai principi generali di cui all’art. 19 l.n. 241/90, era assolutamente perentorio, con la conseguenza che l’amministrazione, una volta formatosi il conseguente provvedimento autoritativo, poteva intervenire unicamente in autotutela.

Dato che la comunicazione di inizio attività risaliva al 13 novembre 2003 e risultava ricevuta il successivo 17 novembre, la conseguente posizione giuridica in capo alla ricorrente risultava consolidatasi in data 14 febbraio 2004, per cui il Comune non poteva intervenire nel procedimento, disponendo la sospensione, ma, semmai, doveva intervenire in autotutela, specificando le ragioni di pubblico interesse che imponevano l’adozione dello specifico provvedimento.

"IV) Violazione dell’art. 33 del D.lgs. 5.2.1997, n. 22 e dell’art. 19 della legge 7.8.1990, n. 241."

Non risultava previamente contestata l’insussistenza dei requisiti, con assegnazione al privato di un termine per conformarsi, ma era stato disposto immediatamente l’ordine di sospensione dell’attività.

"V) Illegittimità derivata. Ulteriore violazione dell’art. 33 del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22; eccesso di potere per rinuncia l’esercizio della funzione pubblica".

L’atto provinciale risultava illegittimo in virtù dell’illegittimità dell’ordinanza comunale, di cui affermava che prendere atto e, comunque, la Provincia stessa non poteva limitarsi a questo ma doveva rivendicare la propria competenza in materia di gestione dell’attività sui rifiuti svolta dalla ricorrente.

La P. spa, infine, integrava la domanda chiedendo anche, genericamente, il risarcimento del danno patito.

Si costituiva in giudizio la Provincia di Firenze, chiedendo la reiezione del ricorso.

Si costituiva in giudizio il Comune di Calenzano, chiedendo la reiezione del ricorso, secondo quanto approfondito in una successiva memoria depositata in prossimità della camera di consiglio.

Anche la ricorrente depositava una memoria per la camera di consiglio.

Con l’ordinanza indicata in epigrafe, questa Sezione accoglieva la domanda cautelare, per il periodo di quattro mesi dalla data del 14 aprile 2005 "…Considerato che oggetto della controversia è l’aspetto ediliziourbanistico dell’attività della ricorrente e che questa ed il Comune resistente, nel corso della discussione in camera di consiglio, hanno manifestato disponibilità a presentare e, rispettivamente, esaminare un’eventuale istanza di autorizzazione edilizia in sanatoria…".

In relazione all’impostazione delle tesi difensive del Comune resistente, la P. spa, poi, riteneva di notificare un ulteriore atto recante motivi aggiunti, in cui lamentava:

"Eccesso di potere per difetto dei presupposti, per genericità assoluta, per difetto di istruttoria e per difetto assoluto di motivazione".

Il provvedimento impugnato non conteneva alcun cenno a normative edilizie o urbanistiche ma si limitava a richiamare l’art. 37, comma 2, l.r. 78/98. Ne conseguiva che questo era viziato anche da difetto dei presupposti, perché non occorrevano titoli edilizi ulteriori per svolgere le attività in questione, genericità assoluta, in quanto non era indicata la normativa violata e la situazione concreta di riferimento, nonché difetto istruttorio, in quanto negli anni mai erano state contestate carenze di titoli edilizi.

Nel frattempo l’autorizzazione edilizia in sanatoria – richiamata nell’ordinanza cautelare – era presentata dalla società ricorrente in riferimento ad un impianto tecnologico (mobile) di separazione degli inerti.

Dopo richieste di integrazione documentale e ulteriori sospensioni amministrative dell’ordinanza comunale n. 21/05, in data 7 dicembre 2006 era infine disposto dal Comune di Calenzano il relativo diniego "per mancanza di titolo perché non proprietario o titolare di altro diritto reale", considerato che il Comune aveva già rappresentato alla ricorrente, in sede procedimentale, che la proprietà dell’area su cui insisteva l’impianto era della Toscoimmobili srl e non della P. spa. Ne conseguiva, poi, in data 18 dicembre 2006, la comunicazione da parte della Provincia dell’avvio del procedimento volto al divieto di prosecuzione dell’attività di recupero di rifiuti e di cancellazione dal relativo Registro provinciale.

La ricorrente, quindi, notificava un secondo atto contenente motivi aggiunti ove chiedeva l’annullamento, previa sospensione, di tali provvedimenti, lamentando quanto segue.

"I -Eccesso di potere per assoluta irragionevolezza. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Eccesso di potere per contraddittorietà, ingiustizia e vessatori età manifeste".

Il Comune ben sapeva che la P. spa era interessata alla presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ma solo nell’epilogo del procedimento in atto ha comunicato le sue osservazioni in ordine alla proprietà dell’area.

Inoltre, l’impianto era di piccole dimensioni e non poteva influire sulla prosecuzione di tutta l’attività.

"II -Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Eccesso di potere per motivazione contraddittoria".

L’intervento edilizio di cui si chiedeva l’accertamento di conformità riguardava comunque impianto di proprietà della ricorrente.

"III- Violazione per erronea interpretazione degli articoli 83, 84 e 140 della L.R. Toscana 3.1.2005 n. 1. Violazione per erronea interpretazione dell’art. 11 del D.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione per erronea interpretazione dell’art. 31 della legge 28.2.1985 n. 47. Eccesso di potere per violazione dei principi in tema di legittimazione alla presentazione delle istanze di condono. Eccesso di potere per ingiustizia ed irragionevolezza manifeste. Eccesso di potere per erroneamotivazione. Eccesso di potere per contraddittorietà, disparità di trattamento e vessatorietà manifeste".

L’art. 140 l.r. 1/2005 faceva generico riferimento all’"avente titolo", così come gli artt. 83 e 84 l.r. cit., riprendendo la normativa nazionale di cui all’art. 11 d.p.r. n. 380/01. Inoltre, da tempo la giurisprudenza ha considerato legittimato in campo edilizio non solo il proprietario ma anche il titolare di diritto reale o di obbligazione sulla base del quale vi è piena disponibilità dell’immobile.

Anche in materia di "sanatoria", l’art. 31 l.n. 47/85 faceva riferimento agli aventi titolo, così come confermato da circolare interpretativa del Ministero dei Lavori Pubblici del 1995, e lo stesso Comune di Calenzano, nel 1987, aveva assentito in sanatoria l’installazione di macchinari in favore della SIEC srl sull’area già allora di proprietà della Toscoimmobili, ancora attualmente proprietaria.

"IV -Eccesso di potere per sviamento, per difetto dei presupposti, per violazione del principio di proporzionalità, ingiustizia e vessatorietà manifeste. Violazione del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22; violazione della L.R. Toscana 3.11.1998, n. 78. Erroneità e difetto di motivazione".

Le conseguenze derivanti dal diniego di "sanatoria" potevano, tutt’al più, essere quelle della rimozione dell’impianto ma non certo quelle di vietare la prosecuzione e/o la cessazione dell’attività e la cancellazione dell’operatore dal relativo registro ex art. 33 d.lgs. 22/97.

"V -Illegittimità derivata. Con riferimento all’atto impugnato della Provincia di Firenze".

La comunicazione della Provincia di avvio del procedimento volto al divieto di prosecuzione dell’attività di recupero di rifiuti e di cancellazione dal registro provinciale, del 18 dicembre 2006, era viziato per derivazione dall’atto comunale, nuovamente limitandosi la Provincia a prendere atto delle iniziative del Comune di Calenzano, senza approfondire le proprie competenze.

La ricorrente integrava la sua domanda, chiedendo anche in tale occasione, genericamente, il risarcimento del danno patito.

Con atto denominato "Costituzione, memoria e ricorso incidentale", il sig. M.M., quale legale rappresentante della L.N.C. srl, dicendosi controinteressato nel giudizio in quanto, come la P. spa, facente parte del Consorzio Estrattivo "La Cassiana" e proprietario della particella n. 22 di cui al mappale 31 del NCT del Comune di Calenzano, contrastava l’iniziativa giudiziaria della P., affermando di vantare una duplice posizione di interesse qualificato alla conservazione degli atti impugnati. Ciò sia perché proprietaria di area fatta arbitrariamente rientrare dalla ricorrente nel perimetro dell’area utilizzata per lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti, sia perché facente parte del Consorzio sopra ricordato, di cui l’Amministratore faceva capo alla stessa P. spa, la cui attività era paralizzata proprio in virtù del conflitto di interessi con la ricorrente.

L.N.C. srl, quindi, proponeva motivi di ricorso, quali:

"I Motivo: Violazione di legge (artt. 47 e 76 co. 1 e 3 d.p.r. n. 445/2000) per le false dichiarazioni rilasciate in sede di presentazione dell’istanza di sanatoria al Comune di Calenzano da parte del legale rappresentante della ricorrente P. il 7.6.2005 – prat. Ed. n. 296/2005, protocollo n. 14613".

La richiesta di sanatoria presentata dalla P. era falsa nella parte in cui essa non era proprietaria dell’area.

" II Motivo: Falsa interpretazione e violazione di legge (art. 37 commi 2 e 3 L.R. n. 79/1998), in caso di eventuale accoglimento del ricorso principale".

L’area su cui la P. aveva chiesto la sanatoria era una cava dismessa, che doveva essere smantellata nel quadro di una risistemazione generale che invece non vi era stata. Ciò atteneva senza dubbio ad aspetti edilizi e urbanistici mai fatti rispettare dal Comune.

In prossimità della nuova camera di consiglio del 21 febbraio 2007 il Comune di Calenzano depositava nuova memoria, in cui precisava che nelle more – in seguito evidentemente alla integrazione di domanda di sanatoria presentata anche dalla proprietaria dell’area – la Commissione Edilizia aveva comunicato parere favorevole, salvo pagamento della relativa sanzione ex art. 140 l.r. n. 1/2005, e che la stessa ricorrente aveva comunque erroneamente avanzato la richiesta di sanatoria, di cui al provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti, qualificandosi come "proprietaria".

In virtù di tale circostanza, la domanda cautelare era rinunciata dalla ricorrente.

In prossimità della pubblica udienza del 22 giugno 2010 sia la ricorrente che il Comune di Calenzano e la Provincia di Firenze depositavano memorie ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi difensive, nell’ambito di un unico atto che contemplava ulteriori deduzioni relative ad altri due ricorsi avanti a questa Sezione e chiamati per la medesima udienza pubblica, relativi ad altri provvedimenti nel frattempo adottati dal Comune di Calenzano e dalla Provincia di Firenze.

In prossimità dell’ulteriore pubblica udienza del 23 novembre 2010, rinviata d’ufficio dal 22 giugno 2010, il Comune e la ricorrente depositavano ulteriori memorie "uniche".

Alla pubblica udienza del 23 novembre 2010 la causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente il Collegio rileva la parziale inammissibilità della "costituzione, memoria e ricorso incidentale" depositato dalla L.N.C. srl.

Pur essendo regolarmente notificato, tale atto non può essere qualificato quale "ricorso incidentale", in quanto non appare rivolto avverso alcuno degli atti impugnati con il ricorso introduttivo.

La stessa società in questione afferma di avere un interesse qualificato alla conservazione degli atti impugnati ed alla loro concreta esecuzione ma ciò, quindi, contrasta con la proposizione di specifiche censure di illegittimità degli stessi.

Tali censure, ad ogni modo, sono rivolte in sostanza avverso la richiesta di sanatoria presentata dalla P. spa. A tale proposito il Collegio rileva, in primo luogo, che la domanda di sanatoria proposta da un privato non è qualificabile quale atto o provvedimento amministrativo avverso il quale è possibile proporre ricorso avanti a questo Tribunale, ai sensi dell’art. 3 l.n. 1034/71 all’epoca in vigore.

Inoltre, proprio dalla proposizione dei secondi motivi aggiunti da parte della P. spa, si rileva che la sanatoria è stata negata dall’Amministrazione, per cui l’impugnativa sotto forma di ricorso incidentale proposta dalla Nuova Collerose srl è anche inammissibile per carenza di interesse.

Tutt’al più, la costituzione in giudizio da parte della L.N.C. srl può essere qualificata in termini di intervento "ad opponendum", vantando costei un interesse di mero fatto alla conservazione degli atti impugnati per quanto illustrato nel relativo atto denominato "costituzione, memoria e ricorso incidentale", ma non potendosi qualificare come controinteressata, sia formale sia sostanziale (Cons. Stato, Sez. VI, 3.8.10, n. 5145 e Sez. IV, 16.1.08, n. 74), dato che non risulta nominativamente indicata negli atti impugnati o agevolmente individuabile "aliunde" (elemento formale) né ha un interesse analogo e contrario a quello che legittima la posizione del concorrente (elemento sostanziale), nel caso di specie in ordine alle attività di messa in riserva e riciclo/recupero di cui all’art. 33 d.lgs. n. 22/97 su cui rilevano gli atti impugnati con il ricorso introduttivo.

Si ricorda, infatti, che nel processo amministrativo l’intervento "ad adiuvandum" o "ad opponendum" può essere svolto anche da soggetti aventi un mero interesse di fatto, rispettivamente all’accoglimento o alla reiezione dell’impugnativa proposta dal ricorrente, purché la posizione giuridica fatta valere dall’interveniente sia dipendente ovvero secondaria ovvero ancora accessoria rispetto all’interesse fatto valere in giudizio dalla parte ricorrente e sempreché l’interveniente non abbia, nei riguardi degli atti impugnati in via principale, un interesse che lo legittimerebbe all’impugnativa in via autonoma da esperirsi entro il termine di decadenza (TAR Puglia, Ba, Sez. I, 1.9.10, n. 3425).

Premesso ciò, passando all’esame del ricorso e dei motivi aggiunti, il Collegio rileva quanto segue.

L’ordinanza comunale impugnata fonda la sua motivazione sull’interpretazione dell’art. 37 l.r. n. 78/98, in ordine alla ritenuta "mancanza della autorizzazione di cui al 2° comma del predetto articolo" e comunque dell’autorizzazione all’escavazione.

Considerato che, pacificamente, la società ricorrente non svolge attività di escavazione, per cui si rileva il difetto dei presupposti nel ritenere l’assenza della relativa autorizzazione, l’attenzione del Collegio – in aderenza agli approfonditi argomenti esposti dalle parti – deve soffermarsi sulla considerazione del contenuto del richiamato art. 37.

Ebbene, pur riscontrando effettivamente una non cristallina modalità di esposizione della norma regionale in questione, il Collegio ritiene di aderire all’interpretazione proposta da parte ricorrente, laddove evidenzia che, nel caso di specie, nessuna ulteriore autorizzazione poteva richiedere il Comune ai sensi del comma 2 cit.

In primo luogo il Collegio osserva che la stessa Provincia di Firenze, nella nota del 13 novembre 2003 indirizzata al Comune di Calenzano, aveva evidenziato che essa valutava esclusivamente gli elementi relativi alla materia della gestione dei rifiuti (art. 33 commi 3 e 4), riservando ogni altro elemento alla valutazione dei soggetti competenti, in particolare osservando che la richiesta di rinnovo della P. spa a lei indirizzata era da ritenersi come prosecuzione di quella esercitata per le attività di recupero e invitando il Comune a verificare che le condizioni dell’attività in questione rispettavano quanto previsto dalla normativa urbanistica e d’uso.

Già da questa comunicazione si evince che la competenza del Comune nell’intervenire nel procedimento non poteva in alcun modo riguardare la materia della gestione dei rifiuti – di esclusiva competenza provinciale – ma unicamente la verifica del rispetto della normativa urbanistica e d’uso vigente.

Tale conclusione appare condivisa inizialmente anche dal Comune, laddove, nella sua prima memoria, afferma – condivisibilmente – che "…chiunque intenda esercitare l’attività in questione ha il dovere non solo di essere iscritto all’albo provinciale e di ottenere il consenso all’esercizio dell’attività stessa, ma di conseguire i necessari titoli edilizi al fine della creazione dei piazzali di stoccaggio con i relativi impianti di riciclaggio…In sostanza, mentre alla Provincia è demandata la competenza alla verifica e controllo della conformità tecnica degli impianti, sulla rispondenza del ciclo di lavorazione e sulla natura e quantità dei rifiuti trattati, resta al Comune la competenza in ordine all’aspetto edilizio ed urbanistico".

In relazione a tale specifico aspetto, il Comune ha precisato che l’autorizzazione di cui, evidentemente, al comma 2 dell’art. 37 cit., è quella preventiva che deve consentire la creazione dei piazzali e l’installazione degli impianti, oltre che la realizzazione delle opere di servizi interne al sito".

Ne deriva, quindi, almeno per quel che riguarda l’ordinanza comunale impugnata nella presente sede, il Comune sostiene che l’art. 37, comma 2, cit. – il quale dispone: "La realizzazione dei piazzali di stoccaggio con impianti di riciclaggio di materiali inerti è soggetta agli adempimenti previsti dalla vigente normativa edilizia e dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22…" – deve essere interpretato nel senso che le competenze (urbanisticoedilizie) comunali intervengono, non potendo interloquire per quello che riguarda il d.lgs. n. 22/97, soltanto sulla assentibilità nell’ipotesi di realizzazione dei piazzali di stoccaggio. Tale impostazione appariva confermata, poi, anche dalle circostanze sopravvenute alla proposizione del ricorso introduttivo, laddove il Comune aveva ritenuto necessario, al fine di definire il contenzioso, il rilascio dell’autorizzazione edilizia "in sanatoria" per uno specifico impianto tecnologico.

Il Collegio, pur condividendo in astratto le osservazioni del Comune e rilevando che allo stesso può residuare il potere di intervenire in materia di gestione rifiuti se relativamente all’assentibilità edilizia delle relative aree e impianti – non riscontrando così il vizio di incompetenza assoluta di cui al secondo motivo di ricorso – non può fare a meno, però, di rilevare che lo stesso si sofferma sulla fattispecie in esame come se la realizzazione di tali piazzali fosse stata effettuata di recente, senza considerare che invece gli stessi risultavano assentiti da tempo con provvedimenti comunali che non risultano oggetto di revisione, eventualmente, in autotutela.

Infatti, come – anche qui condivisibilmente – osservato dalla società ricorrente, i piazzali di stoccaggio, con i relativi impianti (fermo restando quello oggetto di successiva richiesta di "sanatoria"), risultavano preesistenti all’entrata in vigore della l.r. n. 78/98 e risultavano assentiti dal Comune sin dal 1986, come da relativa documentazione in atti non contestata dallo stesso Comune resistente, in special modo con l’autorizzazione edilizia del 13 novembre 1986, previo parere dell’ufficio tecnico comunale, concernente anche la pavimentazione dei piazzali.

Ne consegue, ad avviso del Collegio, che nel caso di specie l’art. 37 in questione debba essere coerentemente interpretato nel senso che segue.

Per quel che riguarda il primo comma, secondo cui "I materiali inerti non pericolosi derivanti da demolizioni di edifici e manufatti in muratura e calcestruzzo armato, nonché da scavi per la realizzazione di infrastrutture pubbliche ed opere edilizie possono essere stoccati per il riciclaggio nelle aree destinate dallo strumento urbanistico comunale all’attività estrattiva o a piazzali di stoccaggio per il riciclaggio", il Collegio non rileva particolari difficoltà relative, in quanto la norma è di contenuto generale e consente lo stoccaggio in aree destinate a cava o a piazzali per il riciclaggio, secondo la scelta del privato, con conseguente valutazione di compatibilità a tale destinazione già impressa dallo strumento urbanistico.

Naturalmente, qualora i piazzali di stoccaggio non fossero preesistenti – come non accade per il caso di specie, secondo quanto evidenziate in precedenza – la legge regionale ricorda che la relativa realizzazione non è solo sottoposta agli adempimenti previsti dall’allora vigente "Decreto Ronchi" ma necessita anche di quanto previsto dalla normativa edilizia, intendendosi logicamente l’espressione "adempimenti" necessaria per la varietà di tipologie edilizie previste dalla legge a vario titolo, quali concessioni, autorizzazioni, dichiarazioni di inizio attività e quant’altro.

In tal caso, opera la previsione del successivo terzo comma, secondo cui: "Il rilascio dell’autorizzazione di cui al secondo comma del presente articolo, ove sia riferito agli ambiti dei siti di cava, è subordinato alla dimostrazione della compatibilità con l’attività estrattiva e con le caratteristiche ambientali e infrastrutturali dell’area interessata e comunque non può avere una durata superiore a quella prevista per l’attività estrattiva.".

In merito il Collegio osserva che la previsione si riferisce sempre a realizzandi piazzali di stoccaggio, senza prevedere la contestuale necessaria o preventiva autorizzazione all’escavazione per quelli invece preesistenti.

Infatti, il richiamo all’autorizzazione di cui al comma 2, appare evidente se riferito agli adempimenti edilizi specifici sopra richiamati, nel caso di specie, come visto, invece già esperiti da tempo. Tale norma non prevede alcuna necessità di contestualità tra escavazione e stoccaggio nei piazzali di materiali inerti destinati ex d.lgs. n. 22/97 ma attesta che, nell’ipotesi di realizzazione di piazzali in aree di cava in cui si esercita attività di escavazione è necessaria la dimostrazione di compatibilità (sotto il profilo di carico urbanistico), riferendosi l’espressione "ambiti dei siti di cava" ad aree, urbanisticamente destinate alle attività estrattiva, in cui quest’ultima è già attiva.

Ritiene il Collegio, secondo quanto evidenziato anche dalla società ricorrente, che tale conclusione appare la più logica dato che l’attività di riciclaggio può essere assentita in concreto solo quando è in atto una specifica attività estrattiva con la quale possono sorgere problemi di compatibilità, anche urbanistica, mentre è sempre astrattamente prevista negli altri casi, senza necessità di ulteriore autorizzazione se non quella legata agli adempimenti edilizi sopra richiamati ex comma 2, secondo quanto osservato anche nel parere regionale depositato in atti, secondo cui: "Nel caso in cui l’attività di stoccaggio/riciclaggio è stata regolarmente autorizzata…e risulti già in svolgimento, senza limitazioni temporali, in un’area destinata all’attività estrattiva nella quale l’autorizzazione all’escavazione non sia stata ancora rilasciata, tali attività potrà proseguire e di ciò sarà quindi necessario tenere conto nell’ambito del procedimento autoritativo per l’apertura della cava…prendendo in considerazione, i fini della garanzia di sostenibilità ambientale, anche l’apporto degli effetti indotti dalla presenza dell’attività già in corso".

In sostanza, appare corretta l’interpretazione secondo la quale la nozione di "ambiti dei siti di cava" deve riferirsi a fattispecie nella quale l’attività estrattiva ha già avuto inizio, solo così logicamente collegandosi alla disposizione che prevede un’autorizzazione che non possa avere una durata superiore a quella prevista per l’attività estrattiva stessa.

In sostanza, per qual che riguarda il caso di specie ed i provvedimenti impugnati, il Collegio osserva conclusivamente quanto segue: la competenza del Comune, ai sensi della l.r. n. 78/98 era limitata alla verifica della compatibilità urbanisticaedilizia dell’attività svolta, per cui, unicamente sotto tale profilo poteva intervenire, come poi è risultato in seguito alla verifica di necessità di sanatoria per preesistente impianto tecnologico, oggetto del provvedimento di cui ai motivi aggiunti; in relazione alla compatibilità urbanistica dei piazzali, non vi era, invece, motivo di richiedere nuove e ulteriori autorizzazioni, dato che gli stessi risultavano legittimati sin dal 1986; l’applicabilità del terzo comma dell’art. 37 l.r. n. 78/98 rileva nel caso di svolgimento di attività di riciclaggio di materiali inerti in costanza di attività estrattiva ma non impone che la prima sia obbligatoriamente da svolgere in maniera contestuale alla seconda.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il Collegio rileva la fondatezza – che incide in maniera assorbente sugli altri – del primo e del secondo motivo di ricorso, sotto i profili della violazione di legge (art. 37 l.r. n. 78/97) e del difetto di presupposti, in considerazione della circostanza che nel caso di specie la ricorrente non necessitava di alcuna autorizzazione comunale ulteriore ai sensi dell’art. 37, comma 2, l.r. cit. per proseguire nell’attività assentita ai sensi dell’art. 33 d.lgs. n. 22/97.

Fondato appare anche il primo motivo aggiunto, depositato il 9 maggio 2005, in quanto non sono comunque richiamate nel provvedimento comunale impugnato le norme edilizie ritenute violate e le opere ritenute prive di titolo, dando luogo, così, a difetto di motivazione.

Di conseguenza, fondato è anche il quinto motivo di ricorso, che lamenta illegittimità derivata del provvedimento provinciale impugnato, in quanto lo stesso si limita a prendere atto dell’ordinanza comunale n. 21/2005, senza null’altro aggiungere in ordine alle competenze della stessa Provincia e ad altri elementi istruttori autonomamente emersi.

Non può invece accogliersi la generica domanda di risarcimento del danno, in quanto sfornita di elementi specifici, ai sensi dell’art. 2697 c.c.

Passando all’esame dei motivi aggiunti depositati il 9 febbraio 2007, il Collegio rileva che gli stessi hanno ad oggetto il provvedimento comunale del 7 dicembre 2006, con cui era comunicato il diniego di "sanatoria", nonché il provvedimento provinciale con cui si comunicava l’avvio del procedimento di divieto di prosecuzione dell’attività di recupero di rifiuti e di cancellazione dal registro provinciale.

In ordine al provvedimento comunale, il Collegio dichiara l’improcedibilità dei motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto si rileva che la stessa società ricorrente si è poi conformata all’osservazione del Comune, presentando nuova domanda sottoscritta unitamente alla proprietaria dell’area, con conseguente accoglimento della sanatoria richiesta, come attestato con nota comunale del 16 febbraio 2007.

In ordine al provvedimento provinciale, invece, il Collegio rileva l’inammissibilità dei motivi aggiunti, in quanto orientati avverso mero atto endoprocedimentale non lesivo, quale è la comunicazione di avvio del procedimento, atto non idoneo a suscitare un arresto o ad evocare uno sbocco con certezza negativo della procedura e meramente preparatorio nell’ambito di un "iter" suscettibile di definizione non necessariamente sfavorevole nei riguardi dell’interessato (per tutte: TAR Campania, Na, Sez. V, 21.4.10, n. 2070).

Di conseguenza deve essere rigettata anche la domanda di risarcimento del danno ribadita nei secondi motivi aggiunti, considerato anche che parte ricorrente non ha fornito comunque specifici elementi di prova in merito.

Le spese del giudizio possono comunque essere integralmente compensate tra tutte le parti costituite, attesa la novità e peculiarità della questione interpretativa a fondamento dello stesso.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

2) accoglie il ricorso principale e i primi motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;

3) dichiara i secondi motivi aggiunti in parte improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse e in parte inammissibili;

4) rigetta la domanda risarcitoria;

5) compensa integralmente le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del 23 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Ivo Correale, Primo Referendario, Estensore

Pierpaolo Grauso, Primo Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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