Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-01-2013) 04-03-2013, n. 10127

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

ritenuto che B.P., B.A., B. G. e B.C. propongono ricorso per cassazione avverso l’ordinanza 22 ottobre 2010 del giudice del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, quale giudice dell’esecuzione, di rigetto della istanza di annullamento, previa sospensione, dell’ingiunzione a demolire conseguente all’ordine di demolizione di cui alla sentenza di condanna del medesimo tribunale del 25.10.2005, irrevocabile il 16.12.2005;

che i ricorrenti deducono inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 171 c.p., dovendo considerarsi estinto l’ordine di demolizione a seguito del decesso della condannata D.L.A.;

considerato che il provvedimento impugnato è del tutto coerente con il dato normativo e con i principi ermeneutici fissati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, disposto con la sentenza di condanna per reato edilizio, non è estinto dalla morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza, non avendo natura penale ma di sanzione amministrativa accessoria, sicchè non può ipotizzarsi l’estinzione dello stesso ai sensi dell’art. 171 c.p. (Sez. 3^, 18.1.2011, n. 3861, Baldinucci, m. 249317, emessa in questo stesso procedimento, nei confronti degli stessi ricorrenti ed in relazione alla stessa sentenza di condanna ed alla stessa ingiunzione a demolire); il decesso del condannato non giustifica la sospensione o la revoca dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in quanto tale statuizione, di natura reale, conserva la sua efficacia nei confronti di tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, diventano proprietari del bene su cui esso incide. (Fattispecie nella quale l’istanza di sospensione/revoca era stata presentata dagli eredi del condannato, estranei al reato) (Sez. 3^, 5.3.2009, n. 16687, Romano, m. 243405);

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi; con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.;
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte Suprema di Cassazione, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013

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