Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-07-2012, n. 13464

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 9 dicembre 1999 il Servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma notificava alla soc. XXX, già soc. XXX, 283 avvisi di accertamento riguardanti l’imposta di pubblicità per l’anno 1998 relativamente agli impiantì utilizzati dalla contribuente nel territorio municipale romano.
La società impugnava detti atti impositivi proponendo cinque distinti ricorsi: n. 7241/00 e n. 7243/00 per gli impianti muniti di concessione comunale, n. 7230/00 e n. 7235/00 per gli impianti abusivi, n. 7239/00 per un avviso recante indicazioni inesatte.
Sintetizzando il contenuto essenziale dei ricorsi, poi riuniti in primo grado, la contribuente eccepiva (a) l’erronea applicazione dell’imposta su base annuale, (b) la non computabilità delle cornici degli impianti nella superficie imponibile, (c) l’erronea applicazione delle sanzioni e, con riferimento al solo ric. 7239, (d) la nullità dell’atto impositivo per difformità dal verbale della polizia municipale.
Il giudice tributario di prime cure accoglieva i ricorsi solo in parte: (aa) fissava il periodo oggetto d’imposta per gli impianti autorizzati, non nell’anno solare, ma nel solo lasso temporale di esposizione pubblicitaria, purchè inferiore al trimestre; (bb) escludeva le cornici dalla superficie espositiva tassabile;
(cc) determinava le sanzioni, per tutto il periodo d’imposta, nella misura più favorevole alla contribuente prescindendo dall’epoca delle infrazioni e dallo "ius superveniens" (D.Lgs. n. 473 del 1997).
Inoltre, respingeva (dd) tanto la censura di nullità dell’avviso oggetto del ric. 7239 (per la ritenuta irrilevanza della difformità del numero del verbale di riferimento), (ee) quanto la pretesa delle società di conseguire la tassazione su base trimestrale e non annuale per gli impianti abusivi. Infine, (ff) riconosceva alla contribuente il diritto di vedersi computati i pagamenti già effettuati.
La decisione era impugnata da entrambe le parti e la CTR-Lazio emetteva in data 14 ottobre 2005 sentenza recante il dispositivo:
"accoglie gli appelli come da motivazione. Spese compensate".
Il giudice regionale motivava la decisione ritenendo che le eccezioni sollevate dalla società nell’originario ricorso 7239 fossero infondate vertendo su "mero errore materiale di stampa, facilmente rilevabile", mentre coincidevano "tutti gli altri numeri di riferimento". Riguardo alle altre questioni, rilevava che la tassazione trimestrale concerneva gli impianti provvisori destinati a essere rimossi, il che non era avvenuto, essendovi centinaia di segnalazioni della polizia municipale. Precisava che, a mente del D.Lgs. n. 507 del 1993, la tassazione s’intendeva annuale, salva istanza per utilizzo infratrimestrale o per cessazione, nella specie non presentata dalla società. Affermava che dovuta era la "tassa annua" e che questa doveva essere conteggiata "in base alla superficie e per anno solare, salvo disdetta", il tutto con "detrazione di quanto già versato su base trimestrale", oltre a sanzioni e interessi in mancanza di autorizzazioni comunali.
Concludeva la motivazione con le parole: "la Commissione accoglie parzialmente l’appello".
Il 18 novembre 2006, la soc. XXX proponeva ricorso per cassazione (n. 31469/06), affidato a cinque motivi. A sua volta, il Comune di Roma, in data il 23 novembre 2006, proponeva autonomo ricorso (n. 32428/06), affidato a due motivi, e, in data 5 dicembre 2006, resisteva al ricorso principale della contribuente con controricorso e ricorso incidentale (n. 33425/06), affidato agli stessi due motivi.
La ricorrente produce memoria con allegata documentazione relativa all’attivata procedura di definizione di lite pendente.

Motivi della decisione

1.-Preliminarmente i tre ricorsi, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti (art. 335 c.p.c.).
2.-Pregiudizialmente si osserva che, con memoria ex art. 378 c.p.c., la ricorrente deposita documentazione sulla procedura di definizione di lite penedente, secondo il regolamento comunale n. 31 del 2009;
indi, in udienza, chiede rinviarsi la causa a nuovo ruolo, in attesa delle finali determinazioni dell’amministrazione municipale, ovvero la declaratoria di cessazione della materia del contendere. Entrambe le richieste non sono meritevoli di accoglimento.
A mente dell’art. 13 della legge finanziaria 2003 e con riferimento ai tributi propri, i Comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonchè l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti (comma 1).
Le medesime agevolazioni possono essere previste anche per i casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale. In tali casi, la richiesta del contribuente di avvalersi delle predette agevolazioni comporta la sospensione, su istanza di parte, del procedimento giurisdizionale, in qualunque stato e grado questo sia eventualmente pendente, sino al termine stabilito dall’ente locale, mentre il completo adempimento degli obblighi tributar, secondo quanto stabilito dall’ente locale, determina l’estinzione del giudizio (comma 2). Pertanto, la disciplina attuativa del condono è riconosciuta dalla legge come una competenza di carattere organizzatorio degli enti locali, da esercitare attraverso i regolamenti disciplinati in via generale dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52.
Il Comune di Roma ha provveduto con la delibera citata, assegnando agli interessati il termine del 30 giugno 2009 per attivare la procedura di definizione delle liti pendenti (art. 3, comma 3), anche in tema d’imposta comunale sulla pubblicità (art. 2), e fissando diversificati termini di sospensione (a seconda che si tratti definizione in unica soluzione o rateale), l’ultimo dei quali è scaduto 30 giugno 2010 (art. 5, comma 1, art. 6, commi 2 e 3). La parte che ha presentato l’istanza di definizione, al termine della durata della sospensione e nella ipotesi in cui si sia perfezionata la definizione agevolata, è "…tenuta a presentare …l’atto di rinuncia alla prosecuzione del giudizio debitamente sottoscritto dalla controparte per accettazione con compensazione delle spese del giudizio" (art. 5, comma 3).
La documentazione, da ultimo, versata in atti dalle società non rispetta le modalità di presentazione di nuovi documenti dinanzi a questa Corte.
Infatti, si è ritenuto che, nel corso del giudizio di legittimità, possono essere prodotti documenti diretti a evidenziare la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti alla proposizione del ricorso, tali da far venir meno l’interesse alla definizione del procedimento, rientrando tale produzione nell’ambito di applicazione dell’art. 372 c.p.c., comma 2, riguardante la facoltà di deposito dei documenti attinenti all’ammissibilità del ricorso (cfr. C. 21122/08 che ha ammesso il deposito di documenti attestanti l’avvenuta definizione con condono di una violazione amministrativa per affissione abusiva). Del deposito di nuovi documenti, però, deve essere dato avviso all’altra parte mediante notifica del relativo elenco al fine di garantire il contraddittorio (ult. cit; conf.
giurisprudenza costante a partire da SU 2921/1988); la mancanza della notifica è sanata solo dalla presenza dell’avversario che accetti il contraddittorio sulla questione cui si riferisce il documento (conf.
giurisprudenza costante a partire da SU 5781/1981).
Invece, nella fattispecie non v’è stata notifica dell’elenco, nè presenza del difensore del Comune in udienza; dunque, la produzione della contribuente è inutilizzabile.
Si aggiungano due considerazioni: a) in primo luogo, tralasciando ogni valutazione sull’osservanza o meno del principio di riserva di legge statale in materia processuale, si rileva che il termine ultimo di sospensione temporanea dei procedimenti in corso è, comunque, spirato da molto tempo; b) in secondo luogo, si rileva che tra la documentazione addotta dalla contribuente non v’è la rinuncia al giudizio, con l’accettazione dall’altra parte, richiesta sia dalla delibera comunale (art. 5), sia dal codice di rito (art. 390).
3.-Prendendo le mosse dal ricorso principale, con il primo motivo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50 e correlato vizio motivazionale, la soc. XXX lamenta che il giudice d’appello non abbia rilevato che il dirigente comunale del Servizio affissioni e pubblicità fosse privo di potere di rappresentanza processuale dell’ente locale, in primo e secondo grado, e non avesse conseguito la necessaria autorizzazione da parte delle giunta municipale.
La questione, oltre ad essere intempestiva dovendo essere proposta innanzi al giudice di merito (C. 18419/05 e 15854/04), è comunque manifestamente infondata. Questa Corte, in fattispecie analoga, ha ritenuto ammissibile l’appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma, enunciando il seguente e condivisibile principio di diritto: "In tema di contenzioso tributario, il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, conv.
con modificazioni nella L. 31 maggio 2005, n. 8, in vigore dal 1 giugno 2005, sostituendo il comma 3, art. 11, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 sul contenzioso tributario, dispone che l’ente locale, nei cui confronti è preposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi; mentre il comma 2, art. 3 bis citato estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali" (C. 14637/07 e 4783/11).
Inoltre, seguendo l’iter argomentativo di questa Sezione in analoga fattispecie (C. 1915/07, pp. 4, 4.1, 4.2), si osserva che lo Statuto del Comune di Roma (appr. con Delib. conc 17 luglio 2000, n. 122, mod. Delib. 19 gennaio 2001, n. 22), prevede, all’art. 24, comma 1, che "Il Sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione del Comune e rappresenta l’Ente"; quindi, all’art. 34, comma 4, stabilisce che "I Dirigenti promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi comunali ed hanno il potere di conciliare e transigere". Sulla base di quest’ultima norma statutaria, il regolamento attuativo (appr. Delib. G.M. 25 febbraio 2000, n. 130), nel dettare la "disciplina interna del contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie", dispone, all’art. 3, che "i dirigenti hanno il potere di decisione autonoma sulla scelta di resistere, intervenire e agire nei giudizi dinanzi alle commissioni tributarie, valutando tutti gli aspetti della controversia in fatto e in diritto, e il potere di rappresentanza diretta del Comune sottoscrivendo gli atti processuali". Tale potere di rappresentanza processuale dei dirigenti deve intendersi, dunque, assolutamente pacifica riguardo ai giudizi tributari davanti alle commissioni tributarie.
4.-Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c. e correlato vizio motivazionale, la soc. XXX lamenta che il giudice d’appello non abbia rilevato che, quale attore in senso sostanziale, il Comune abbia omesso di allegare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a fondamento degli avvisi di accertamento e mancato di contrastare le censure della ricorrente. Si duole, in particolare, che la sentenza d’appello si sia appiattita sul contenuto degli atti impositivi, frutto di un’azione d’accertamento basata su verbali della polizia municipale opposti in via amministrativa. Sicchè nulla il Comune aveva provato circa la sua pretesa fiscale e persino circa l’asserita abusività di taluni impianti pubblicitari, pur avendo incassato l’imposta per i periodi di effettivo loro utilizzo.
Il motivo è per un verso inammissibile, per un altro infondato.
Questa Corte (C. 22200/11) ha avuto modo di affermare che, in materia tributaria, la motivazione dell’atto impositivo – avendo la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an e il quantum della pretesa tributaria, per approntare idonea difesa – è differenziata in relazione alla funzione di ciascun atto impositivo (cfr. C. 13335/09). Riguardo specificamente all’imposta sulla pubblicità, va considerato che si tratta di "accertamenti per fenomeni di massa" e che "gli elementi strutturali del relativo rapporto giuridico tributario sono tendenzialmente stabili e duraturi nel tempo" (cfr.
C. 6446/04, in motiv. p. 5.3).
In tale ottica, è sufficiente che l’avviso di accertamento enunci i criteri sulla cui base è stato determinato il dovuto, senza che possa negarsi la validità dell’avviso medesimo sol perchè sia motivato con riferimento ad elementi extratestuali (v. in gen. C. 1150/2008, 21515/05, 11997/03, 17762/02, 121367/01, 793/00) non allegati, ma costituiti da verbali di polizia verosimilmente conosciuti dalla parte contribuente. Orbene, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, siccome la contribuente censura la sentenza d’appello, sotto il profilo della congruità logica (art. 360 c.p.c., n. 5) e giuridica (art. 2697 c.c.) del giudizio espresso circa i contenuti e le motivazioni di avvisi di accertamento, anche in relazione ai presupposti verbali della polizia municipale, sarebbe stato necessario, a pena d’inammissibilità del mezzo, che il ricorso riportasse i passi degli atti impositivi (e di quelli presupposti) che si assumono inadeguatamente valutati dal giudice di merito, al fine di consentire al giudice di legittimità di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (C. 1202/11, 12786/06 e 13007/07). In altre parole, la contribuente avrebbe dovuto almeno riportare quali sono gli elementi dell’imposta che sono stati effettivamente indicati negli avvisi di accertamento, nonchè se e quali altri elementi avrebbero dovuto essere accertati dal Comune e in che cosa abbia errato il giudice d’appello nel ritenere che gli elementi desumibili dagli avvisi fossero sufficienti per la liquidazione dell’imposta da parte del Comune (cfr. C. 6446/04, in motiv. p. 4.3.2).
Nulla di quanto necessario è leggibile nella specie.
5.-Con il terzo motivo, denunciando vizio motivazionale, la soc. XXX lamenta, riguardo all’avviso impugnato con l’originario ricorso 7239, che il giudice d’appello ha trascurato di valutare che l’erronea indicazione del presupposto verbale della polizia municipale aveva inficiato la validità dell’intero atto impositivo, avendo impedito alla contribuente di verificare e conoscere il fondamento della pretesa comunale. Il mezzo è inammissibile, atteso che con esso la ricorrente contesta il diverso accertamento di fatto compiuto dal giudice d’appello sul sufficiente contenuto dell’avviso impugnato, nonostante il pacifico errore ivi esistente. Inoltre, trascura che, in base al ridetto principio di autosufficienza, la censura della sentenza di merito sul contenuto di un atto tributario richiede che il mezzo riporti testualmente l’atto o i passi salienti di esso, al fine di consentire a questa Corte di esprimere il suo giudizio esclusivamente in base al ricorso medesimo (C. 1202/11, 12786/06 e 13007/07). Ancora una volta, nulla di quanto necessario è leggibile nella specie.
6.-Con il quarto motivo, denunciando "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto" e correlato vizio motivazionale, la soc. XXX afferma che sarebbe illegittimo conteggiare nell’imposta di pubblicità anche la cornice degli impianti avente solo funzione estetica e che, a mente della circolare 23/E del 25 gennaio 1999, sarebbe illegittimo applicare le soprattasse anche nei casi versamenti eseguiti su dichiarazione.
Il mezzo contiene due censure: entrambe sono inammissibili.
6 bis.-In merito alla prima censura, la sentenza d’appello, discostandosi dalla sentenza di primo grado e accogliendo implicitamente la tesi dell’amministrazione comunale, stabilisce che la "tassazione ed i conteggi sono in base alla superficie". Il che lascia intendere che, per la commissione regionale, la superficie tassabile è l’intera superficie esposta senza distinzione.
Per contestare tale conclusione in punto di diritto, la violazione di legge avrebbe dovuto essere dedotta dalla contribuente mediante specifica indicazione delle disposizioni (primarie e/o secondarie) asseritamente violate e mediante specifica dimostrazione che le affermazioni contenute nella sentenza d’appello siano in conflitto con le norme regolatrici della fattispecie nell’interpretazione fattane da giurisprudenza e/o dottrina. In mancanza, non è consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento giuridico della denunciata violazione (C. 828/07, 8932/06, 1108/06, 21659/05, 16132/05, 3803/04), restando il mezzo confinato in una affermazione verbalistica, non seguita da alcuna dimostrazione (C. 8932/06 e 2312/03).
6 ter.-In merito alla seconda censura, si osserva che il rilievo è radicalmente inammissibile, siccome l’invocata circolare 23/E del 25 gennaio 1999 non ha natura normativa, onde la sua violazione o falsa applicazione da parte del giudice di merito non è denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Quanto, poi, al vizio di motivazione correlato a entrambe le censure, si osserva che, trascurando il principio di autosufficienza, la contribuente omette di specificare e trascrivere in ricorso gli elementi non valutati o mal valutati dal giudice d’appello circa la conformazione degli impianti pubblicitari, nonchè d’indicare le ragioni del carattere decisivo degli stessi elementi (C. 3004/04).
7.-Con il quinto motivo, denunciando violazione di legge (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2 e art. 8, comma 4) e correlato vizio motivazionale, la soc. XXX contesta la sentenza d’appello laddove afferma che l’imposta deve essere conteggiata su base annuale. Lamenta che la commissione regionale abbia trascurato che la contribuente eseguiva affissioni per conto terzi di durata inferiore a tre mesi versando la relativa imposta mensile solo per i periodi di utilizzazione dell’affissione con la presentazione delle relative dichiarazioni. Sicchè, in difetto di prova certa da parte del Comune circa l’utilizzo degli impianti, l’ente locale non poteva richiedere alcunchè. Aggiungeva che, avendo presentato regolare dichiarazione, non si poteva parlare di pubblicità effettuata sempre sin dal 1 gennaio 1998 e, comunque, giammai fino al 31 dicembre 1998, dovendosi considerare quale data finale quella di elevazione del verbale. Le censure non sono fondate.
Il D.Lgs. n. 507 del 1993, all’art. 12, comma 3, nel disciplinare la "pubblicità effettuata mediante affissioni dirette, anche per conto altrui, di manifesti e simili su apposite strutture", non contemplava all’epoca (1998) alcuna eccezione alla disposizione generale dell’art. 9, per cui "l’imposta è dovuta … per anno solare"; ciò perchè essa prescriveva che l’imposta fosse calcolata "nella misura e con le modalità previste dal comma 1", recante le tariffe differenziate per metro quadro di superficie occupata e relative alle diverse classi di comuni, senza riferimento alcuno, "quoad tempus", a periodi inferiori all’anno solare (conf. C.1915/07, in motiv. p. 6.2.1).
Dunque, la modifica del suddetto comma 3, introdotta dalla legge finanziaria 2001, art. 145, comma 56, in virtù della quale è fatto riferimento anche al comma 2 (esposizioni pubblicitarie di durata non superiore a tre mesi), non è applicabile al caso di specie "ratione temporis", trattandosi di norma innovativa, non avente efficacia retroattiva in quanto essa non interpreta, ma modifica positivamente, attraverso il richiamo al comma 2, citato art. 12, il precedente sistema di calcolo dell’imposta in questione (ult. cit.; conf. 522/07 e 4783/11).
Per conseguenza, si è ritenuto nella giurisprudenza di legittimità, che la Delib. Consiliare n. 42 del 2001 con cui si dava attuazione nel Comune di Roma – ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 3 – alla suddetta disposizione innovativa, non poteva, al pari di quella costituente la fonte primaria, avere efficacia retroattiva (v.
ult.cit. p. 6.2.2; conf. C. 2826/08 e 18143/09) nonchè 522/07 e 4783/11).
8.-Passando ai ricorsi riuniti, con il primo motivo, denunciando vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36; art. 360 c.p.c., n. 4), il Comune di Roma lamenta che il giudice di appello abbia trascurato di esaminare le questioni oggetto del proprio gravame circa la superficie tassabile (ritenuta dal primo giudice non di 18 mq ma di 17 mq con erronea esclusione della cornice a mente dell’art. 7 reg.com.) e circa la legittimità delle sanzioni nella maggior misura determinata dall’ufficio per le infrazioni successive al 1 aprile 1998 (per effetto dello "ius superveniens" erroneamente non considerato dal primo giudice).
8 bis.-La prima censura del primo motivo di ricorso incidentale è assorbita dalle considerazioni svolte sulla prima censura del quarto motivo di ricorso principale (cfr. sopra sub n. 6 bis).
8 ter.-La seconda censura del primo motivo di ricorso incidentale riguarda l’omessa pronuncia sulla questione circa la misura delle sanzioni, che risulta proposta e ampiamente sviluppata in appello nell’ultimo motivo del gravame, trascritto per autosufficienza in questa sede. Essa va disattesa, poichè la pronuncia di accoglimento parziale degli appelli delle parti, comporta la pronuncia implicita di rigetto del motivo di doglianza, ancorchè non esplicitamente trattato in motivazione.
9.-Con il secondo motivo, il Comune di Roma, per l’ipotesi che, avendo rigettato in dispositivo entrambi gli appelli, "la CTR abbia implicitamente respinto i motivi di gravame", denuncia "nullità della decisione per difetto di motivazione in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".
9 bis.-Il mezzo si riferisce ai medesimi temi d’indagine giudiziale prospettati nel primo motivo di ricorso incidentale (cfr. sopra sub n. 8 bis) e, dunque, resta assorbito quanto alla questione superficie tassabile già risolta esaminando il primo motivo di ricorso principale (cfr. sopra sub n. 6 bis).
9 ter.-Invece, quanto alla questione sulla misura delle sanzioni irrogate, ridotta dal giudice di prime cure, la commissione regionale omette, persino graficamente, di spendere qualsivoglia argomentazione giustificativa della reiezione del gravame comunale che, sul punto specifico, rilevava come si dovesse tener conto, diversamente da quanto ritenuto nella decisione di primo grado, che l’entità delle sanzioni andava distinta a seconda che l’ infrazione fosse anteriore o posteriore al 1 aprile 1998 in ragione dell’aumento di esse disposto, a decorrere da tale data, dal D.Lgs. n. 473 del 1997, artt. 12 e 21 e valendo il principio di legalità di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3.
9 quater.-Il mezzo deve, dunque, essere accolto sul punto specifico della misura delle sanzioni; ciò comporta che la sentenza d’appello deve essere cassata limitatamente alla sola censura accolta (cfr.
sopra sub. n. 9 ter), con rinvio alla commissione regionale competente per l’esame del punto trascurato e la regolamentazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale accoglie i ricorsi incidentali nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza d’appello riguardo alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla CTR – Lazio in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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