Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-07-2012, n. 13463

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Svolgimento del processo

Con sentenza 13.3.2006 n. 9 la Commissione tributaria della regione Lazio ha dichiarato inammissibile, per difetto di specificità dei motivi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53 l’appello proposto dalla Associazione arte varia Circo a Vapore avverso la decisione n. 4247/2005 della CTP di Roma, non avendo l’appellante mosso alcuna censura alle argomentazioni con le quali il primo giudice aveva dichiarato, a sua volta, inammissibile il ricorso introduttivo in quanto proposto avverso la cartella di pagamento (relativa alla imposta di pubblicità, interessi e sanzioni pecuniarie per il complessivo importo di Euro 5.385,90 dovuto per l’anno 1999) oltre il termine di decadenza previsto dalla legge.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso la associazione deducendo due motivi corredati di quesito di dritto ex art. 366 bis c.p.c..

Ha resistito il Comune di Roma con controricorso.
Motivi della decisione

1. La associazione ha impugnato la sentenza della CTR laziale dichiarativa della inammissibilità dell’atto di appello per difetto di specificità dei motivi di gravame, deducendo il vizio di violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè il vizio di omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), rilevando che la contribuente – come peraltro rilevato dagli stessi Giudici di merito nelle premesse in fatto della sentenza impugnata – aveva dedotto con i motivi di gravame anche la sopravvenuta cessazione della materia del contendere "avendo provveduto al versamento in adesione al condono" di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, all’art. 1, comma 480 (Legge Finanziaria 2005), ed i Giudici di appello avevano tuttavia omesso del tutto di esaminare tale questione che assumeva carattere preliminare in quanto l’avvenuto pagamento della somma determinava la estinzione del giudizio per cessata materia de contendere a sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46 norma che era stata pertanto illegittimamente violata dalla Commissione tributaria.

2. Il Comune ha eccepito la inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi, mancando una più completa ricostruzione dei fatti processuali. Nel merito ha sostenuto la correttezza della pronuncia del secondo giudice in quanto l’esame della richiesta di declaratoria della cessazione della materia del contendere sopravvenuta, non poteva che essere subordinato alla pregiudiziale verifica di ammissibilità dell’atto di appello.

3. Il Collegio aderisce al più recente indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui le cause di estinzione del giudizio e di cessazione della materia del contendere prevalgono sulle cause di inammissibilità della impugnazione (cfr. Corte cass. SU 22.12.2004 n. 23737 "Ove la parie che ha proposto ricorso per cassazione vi rinunci, alla manifestazione di detta volontà abdicativa segue sempre la declaratoria di estinzione, anche qualora sussista una causa di inammissibilità dell’impugnazione": id. SU 17.2.2005 n. 3129; id. SU 16.7.2008 n. 19514 – in ordine al termine utile per la rinuncia al ricorso per cassazione individuato al momento del passaggio in decisione del ricorso in quanto "più in linea con il complesso delle innovazioni apportate con la novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, che è inequivocamente volta al rafforzamento della funzione nomofilattico del Corte di legittimità, a sua volta certamente agevolata da un definizione del giudizio alternativa alla decisione" e coerente anche con la riforma dell’art. 391 c.p.c., comma 2 che prevede la possibilità e non più l’obbligo di condanna del rinunciante alle spese "così avallando la ipotesi che si sia voluto dar luogo ad una sorta di incentivazione della rinuncia"), imponendosi quindi in via prioritaria all’esame del Giudice di merito e di legittimità – rispetto all’esame dei vizi di ammissibilità del ricorso – la verifica della esistenza anche di eventuali cause di cessazione della materia del contendere in quanto fenomeno comunque idoneo ad evitare inutile spreco di attività giurisdizionale (cfr.

Corte cass. 5 sez. 23.9.2011 n. 19533) sostanziandosi in "una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso, tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa di diritto sostanziale" (cfr. Corte cass. SU 28.9.2000 n. 1048; id. SU 25.5.2001 n. 226).

Tanto premesso, appare fondata la censura di omessa pronuncia sulla causa estintiva ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46 avendo i Giudici di appello erroneamente ritenuto subordinato il rilievo di ufficio della sopravvenuta cessazione della materia del contendere alla pronuncia di inammissibilità dell’atto di appello per carenza di specificità dei motivi di gravame, ma tale accertamento non determina ex se l’accoglimento del ricorso, atteso che il motivo risulta infondato, potendo la Corte omettere di cassare la sentenza impugnata con rinvio, e decidere la causa nel merito, allorquando la questione di diritto sul quale il Giudice di merito ha omesso di pronunciare non richieda ulteriori accertamenti in fatto e risulti, per l’appunto, infondata, tanto alla stregua di una interpretazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2 costituzionalmente orientata ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. (cfr. Corte cass. 2 sez. 1.2.2010 n. 2313; id. 1 sez. 22.11.2010 n. 23581; id. sez. lav. 3.3.2011 n. 5139).

4. Occorre premettere che la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 480, lett. c) ha introdotto il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 20 che al comma 2 dispone: "Le violazioni ripetute e continuale delle norme in materia d’affissioni e pubblicità commesse fino all’entrata in vigore della presente disposizione, mediante affissioni di manifesti politici ovvero di striscioni e mezzi similari possono essere definite in qualunque ordine e grado di giudizio nonchè in sede di riscossione delle somme eventualmente iscritte a titolo sanzionatorio, mediante il versamento, a carico del committente responsabile, di una imposta pari, per il complesso delle violazioni commesse e ripetute a 100,00 Euro per anno e per provincia. Tale versamento deve essere effettuato a favore della tesoreria del comune competente o della provincia qualora le violazioni siano state compiute in più di un comune della stessa provincia: in tal caso la provincia provvede al ristoro, proporzionato al valore delle violazioni accertate, ai comuni interessati, ai quali compete l’obbligo di inoltrare alla provincia la relativa richiesta entro il 30 provincia destinerà le entrate al settore ecologia. La definizione di cui al presente comma non dà luogo ad alcun diritto al rimborso di somme eventualmente già’ riscosse a titolo di sanzioni per le predette violazioni. Il termine per il versamento è fissato, a pena di decadenza dal beneficio di cui al presente comma, al 31 maggio 2005. Non si applicano le disposizioni della L. 10 dicembre 1993, n. 515, art. 15, commi 2 e 3" (la norma è stata abrogata dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 176, lett. a) che, tuttavia, al comma 177 ha "fatti salvi gli effetti prodotti dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 20 bis, comma 2").

4.1. Orbene il mero deposito della quietanza di versamento in data 17.5.2005 della somma di Euro 100,00 deve ritenersi inidoneo ex se ad integrare il fatto determinativo della cessazione della materia del contendere.

Rileva il Collegio che, nel caso in esame, la norma speciale sul condono non dispone anche degli effetti del rapporto processuale pendente (come invece espressamente previsto in altre norme di condono: L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 34, comma 5 i giudizi si estinguono mediante ordinanza subordinatamente alla esibizione da parte del contribuente di copia, anche fotostatica, della dichiarazione integrativa e della ricevuta comprovante la consegna all’ufficio postale della lettera raccomandata di trasmissione della dichiarazione stessa salvo che la Amministrazione non abbia comunicato i motivi di invalidità della dichiarazione dai quali consegue la mancata estinzione della controversia; D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quinquies, commi 1 e 9 conv. in L. 30 novembre 1994, n. 656 che dispone estinzione delle liti fiscali pendenti demandando ad apposito regolamento di attuazione "le modalità per la presentazione delle domande…. le procedure per il controllo delle stesse, e le modalità per le estinzioni dei giudizi": L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 8 "l’estinzione de giudizio viene dichiarata a seguito di comunicazione degli uffici…attestante la regolarità della domanda di definizione ed il pagamento integrale di quanto dovuto", in caso contrario gli uffici comunicano l’eventuale diniego della definizione), rimanendo pertanto circoscritta la definizione della lite invocata dalla associazione contribuente ai presupposti del venire meno dell’interesse delle parti ad una pronuncia di merito. Ed infatti la cessazione della materia del contendere (che, se si verifichi in sede d’impugnazione, giustifica non l’inammissibilità dell’appello o del ricorso per cassazione, bensi1 la rimozione delle sentenze già’ emesse, perchè prive di attualità) si ha per effetto della sopravvenuta carenza d’interesse della parte alla definizione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l’effettivo venir meno dell’interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito, senza che debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perchè altrimenti non vi sarebbero neppure i presupposti per procedere all’accertamento della soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese, che invece costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, quando non siano le stesse parti a chiedere congiuntamene la compensazione delle spese (cfr. Corte cass. 1 sez. 7.5.2009 n. 10553).

Il fatto dimostrativo della cessazione della materia de contendere non coincide, pertanto, con la condotta processuale con la quale si rinuncia agli atti del giudizio (art. 306, 390-391 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 44) che deve peraltro essere accettata dalle parti che hanno interesse a proseguire il giudizio (rinuncia che, come noto, se intervenuta in primo grado non pregiudica il diritto sostanziale conteso, bene potendo la parte rinunciante riproporre a medesima azione in altro giudizio), e neppure con altre condotte processuali omissive cui viene ricondotto l’effetto estintivo del giudizio (art. 307 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 45), atteso che mentre la estinzione del giudizio, nel giudizio di impugnazione, determina la cristallizzazione della situazione giuridica sostanziale come definita dalla sentenza di merito oggetto di impugnazione (art. 338 c.p.c.), la cessazione della materia del contendere implica invece il sopravvenire di un fatto nuovo, esterno al processo, tale da estinguere, modificare o sostituire l’originario rapporto controverso, e dunque la far venire meno l’oggetto stesso del giudizio – costituito dalle originarie contrapposte pretese/difese delle parti – e che, da un lato, priva dette parti dell’interesse ad ottenere una – ormai inutile – pronuncia determinativa della regola del rapporto giuridico sostanziale, e dall’altro rende privo del tutto di funzione pratica il regolamento di un non più attuale assetto di interessi stabilito dalla pronuncia di merito impugnata – che in caso di declaratoria di estinzione del giudizio o di inammissibilità sopravvenuta della impugnazione, passerebbe in giudicato (cfr. Corte cass. 1 sez. 13.9.2007 n. 19160; id. 1 sez. 7.12.2004 n. 22972). La indicata differenza concettuale tra effetto estintivo del giudizio e cessazione della materia del contendere è stata espressamente considerata dalle norme processuali tributarie laddove sono state distintamente previste, da un lato, le ipotesi di estinzione del processo per rinuncia al ricorso (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 44) e per inattività delle parti (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 45) e, dall’altro, – se pure con infelice ed impropria espressione terminologica – la "estinzione" nei casi di "definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere" (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, comma 1) ove l’accostamento con la definizione del rapporto tributario è sintomatica della diretta incidenza che il fatto sopravvenuto – in conseguenza del quale viene a cessare la materia del contendere – spiega sul piano sostanziale (e non quindi sul piano meramente processuale) dell’assetto degli interessi delle parti (cfr.

Corte cass. 1 sez. 29.1.1997 n. 917; id. 5 sez. 15.9.1009 n. 19821 che evidenzia chiaramente la relazione di pregiudizialità, con conseguente sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., tra il giudizio avente ad oggetto il perfezionamento del condono e la causa avente ad oggetto la impugnazione dell’atto impositivo, venendo a determinare l’accertamento dell’avvenuto perfezionamento della definizione agevolata del rapporto la cessazione della materia del contendere in ordine alla causa pregiudicata; id. 5 sez. 29.12.2010 n. 26273 -"in tema di contenzioso tributario, la declaratoria, con sentenza definitiva, di estinzione del giudizio concernente cartelle di pagamento per cessazione della materia del contendere, a seguito di condono, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, determina il venir meno della originaria pretesa sostanziale, avanzata nei confronti del contribuente con ingiunzioni fiscali con la conseguenza che, anche nel giudizio relativo a quest’ultima (ndr avente ad oggetto la impugnazione dell’atto impositivo presupposto), va dichiarata la cessazione della materia del contendere"-; Corte cass. 5 sez. 23.9.2011 n. 19533).

4.2 Tanto premesso il fatto idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere, nel caso di specie, è la intervenuta definizione della pendenza tributaria che trova titolo negli avvisi di accertamento impugnati, "definizione" che viene in considerazione nel D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 20 bis, comma 2 come effetto giuridico satisfattivo della pretesa tributaria ricollegato all’adempimento di prescrizioni di condotta rivolte a favore dell’ente impositore (versamento all’Ufficio di tesoreria del Comune o della Provincia della imposta in misura ridotta predeterminata ex lege nel termine di decadenza fissato), e che, in quanto fondato su elementi normativamente qualificati (1-violazioni "ripetute e continuate" 2-di norme in materia di pubblicità e affissioni, compiute mediante 3-affissione di manifesti politici ovvero striscioni e mezzi similari. 4 – nel territorio di uno o più comuni), implica – non l’accettazione, trattandosi di effetto previsto dalla legge, ma – la previa ricognizione da parte dell’ente impositore – con accertamento in fatto precluso al Giudice di legittimità – della effettiva corrispondenza della condotta tenuta dal contribuente agli elementi normativi sopra individuati.

Indipendentemente dalla esplicita previsione normativa di una specifica attività rimessa all’ufficio finanziario (come è dato rilevare nel caso delle norme sul condono delle L. n. 413 del 1991, L. n. 656 del 1994 e L. n. 289 del 2002 precedentemente richiamate), la definizione del rapporto tributario che consegue al condono, implica sempre e comunque l’indispensabile intervento dell’ente impositore, intervento che ha una estensione variabile – secondo la minore o maggiore complessità della fattispecie normativa che prevede il condono – e che può consistere nel mero riscontro della esattezza del "quantum" versato a titolo di imposta, ovvero nella verifica della "validità" della istanza del contribuente (ove richiesta ed assoggettata a specifici requisiti di forma o termini di decadenza), od ancora nella ricognizione dei presupposti legali del condono (condizioni soggettive ed oggettive alle quali la norma di legge subordina il condono): tale attività, che può definirsi di controllo in senso lato, qualora venga svolta con riscontro positivo della esistenza delle condizioni alle quali la legge riconduce l’effetto di definizione del rapporto tributario, si configura – nel caso in cui sia stato emesso un atto impositivo od il credito sia stato iscritto ruolo – come prodromica rispetto alla successiva necessaria attività amministrativa di natura provvedimentale che l’Ufficio impositore è chiamato a svolgere per conformare il rapporto tributario alla nuova realtà giuridica, mediante la revoca dell’avviso di accertamento o di liquidazione, ovvero l’adozione del provvedimento di "sgravio" del ruolo (il condono infatti non determina la caducazione ora per allora del potere impositivo esercitato, ma, facendo venire meno la pretesa tributaria, determina la illegittimità sopravvenuta dell’atto impositivo che deve, pertanto, essere rimosso). In ordine alla necessità, comunque, di una attività degli uffici finanziari volta alla verifica degli atti unilateralmente compiuti dal contribuente ed alla constatazione della avvenuta definizione del rapporto tributario, anche nelle ipotesi di "definizione agevolata automatica" mediante auto liquidazione della imposta, la giurisprudenza di questa Corte è ferma (cfr. Corte cass. 5 sez. 15.1.2007 n. 676; id. 5 sez. 10.6.2011 n. 12781. in relazione al perfezionamento dell’accertamento con adesione ai fini delle imposte sul reddito e dell’IVA previsto dal del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, artt. 2-bis e 3 conv. in L. 30 novembre 1994, n. 656 "competendo all’Amministrazione la verifica del difetto delle condizioni ostative e dunque il rilascio di formale assenso").

Ne consegue che nel caso in cui si invochi, nel giudizio pendente avente ad oggetto la impugnazione di un atto impositivo, la sopravvenuta cessazione della materia del contendere in dipendenza di norme sul condono, il fatto sopravvenuto – incontestato tra le parti – che il Giudice è tenuto a rilevare anche di ufficio, non può che essere quello idoneo a dimostrare la intervenuta definizione stragiudiziale del rapporto tributario, e dunque, necessariamente, un fatto rappresentativo dell’esito positivo dei riscontri effettuati dall’ente impositore (attestazione di corrispondenza del versamento eseguito dal contribuente ai presupposti legali od alle condizioni individuate dalla norma di legge; comunicazione della avvenuta adozione dei provvedimenti di revoca dell’atto impositivo o di sgravio del ruolo).

In difetto di tale prova la cessata materia del contendere non può essere dichiarata, atteso che, a fronte del mero pagamento della somma prevista dalla legge, non può in ogni caso escludersi che la Amministrazione – riscontrando negativamente le condizioni alle quali e subordinato il condono – abbia tacitamente disconosciuto l’effetto definitorio della pendenza tributaria ovvero abbia opposto formale provvedimento di diniego al condono, non potendo, pertanto, attribuirsi al silenzio serbato dall’ufficio impositore la efficacia probatoria di un comportamento concludente in ordine alla positività del controllo eseguito.

4.3 Nè alla carenza dell’intervento dell’ufficio impositore impeditiva del riconoscimento nel giudizio pendente della sopravvenuta causa di cessazione della materia del contendere, può sopperirsi introducendo nel medesimo giudizio la domanda di accertamento del perfezionamento della procedura di condono. Se, da un lato, infatti la proposizione di un’azione di accertamento nel giudizio tributario, in quanto estranea al modulo di tale processo da introdursi necessariamente con l’impugnazione di specifici atti, determina l’improponibilità di quest’ultima, che è rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, con conseguente cassazione senza rinvio della decisione di merito che si sia pronunciata su di essa, nonostante l’inesistenza di un atto (anche di solo silenzio rigetto) impugnabile (cfr. Corte Cass. SU 23.12.2009 n. 27209); dall’altro è stato opportunamente evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte come il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. h) ha introdotto "ex novo" (rispetto alla formulazione del previgente del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, comma 1 come sost. Dal D.P.R. n. 739 del 1981, art. 7), tra gli altri atti autonomamente impugnabili dinanzi alle commissioni tributane, quello del "diniego di agevolazioni", previsione di carattere generale (non limitata alle agevolazioni in senso stretto, ma bene estensibile anche alle definizioni agevolate mediante condono dei rapporti tributari e delle liti) dalla quale è dato ricavare implicitamente l’esistenza di una regola, altrettanto generale, che abilita, in ogni caso il contribuente a formulare "domanda di agevolazione", la quale, tanto nel caso in cui tale istanza sia configurata come atto di iniziativa del procedimento di condono, quanto nel caso alla stessa debba riconoscersi mera funzione di sollecito alla ricognizione della produzione dell’effetto giuridico estintivo del rapporto tributario, rappresenta la forma propria d’esercizio del diritto fatto valere, consentendo in ogni caso al contribuente – in considerazione della qualificazione normativa di "silenzio-rifiuto" della eventuale inerzia della Amministrazione – di opporsi al diniego, espresso a tacito, azionando il giudizio di tipo impugnatorio avanti il Giudice tributario al fine di (dichiarare illegittimo il diniego della PA e) vedere accertata la definizione della pendenza tributaria in conseguenza del condono (cfr. Corte cass. 5 sez. 31.3.2008 n. 8219 in relazione alla impugnazione di avviso di accertamento ovvero di provvedimento di diniego del rimborso delle somme versate in eccedenza, quali atti diretti al disconoscimento della esenzione decennale ILOR e riduzione IRPEF prevista dal D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, artt. 101 e 105 nonchè dalla L. 1 marzo 1986, n. 64, art. 14; id. 5 sez. 24.6.2011 n. 13954 che evidenzia chiaramente la distinzione tra diritto alla esenzione – direttamente accordato dalla legge – ed atto amministrativo di disconoscimento del diritto, da cui non è dato prescindere per poter ottenere tutela in sede giurisdizionale tributaria).

La controversia concernente l’avvenuto perfezionato del condono è dunque distinta ed autonoma rispetto a quella che ha per oggetto l’atto impositivo relativo al rapporto tributario, in quanto presuppone la esistenza di un atto – espresso o tacito – dell’ufficio impositore volto a disconoscere l’effetto della definizione agevolata dal rapporto tributario pendente, e dunque, salvo espresse previsioni in deroga della legge (vedi L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8 che prevede la facoltà del contribuente di impugnare il diniego di definizione agevolata "dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite ndr. avente ad oggetto il rapporto tributario") deve essere proposta con separato giudizio anche se destinato ad accertare la sopravvenuta causa di cessazione della materia del contendere nel giudizio avente ad oggetto la contestazione della pretesa tributaria.

4.4 Tanto premesso, nel caso di specie, il mero deposito della quietanza di pagamento, in assenza di qualsiasi ulteriore elemento di riscontro dell’esito positivo della attività di "controllo" svolta dall’ente impositore, non fornisce ex se la dimostrazione de fatto determinante la cessazione della materia del contendere e cioè della intervenuta "definizione del rapporto tributario", con la conseguenza che il motivo di ricorso deve essere dichiarato infondato.

5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. La novità delle questioni trattate legittima la integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

La Corte Suprema di cassazione:

– rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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