Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-07-2012, n. 13461

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n 68/29/2010, depositata il 24.5.2010, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo, appellata dall’Agenzia delle entrate, rigettava l’appello proposto dalla società XXX s.p.a. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e XXX S.p.A. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo che aveva, invece, accolto il ricorso presentato dalla XXX s.p.a. avverso la cartella di pagamento per Iva e Irap 2000 e 2001.
La XXX s.p.a. impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo i seguenti motivi:
a) violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per l’omessa sottoscrizione autografa della cartella di pagamento che non contiene la firma del rappresentante del Concessionario della riscossione;
b) violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione alla mancata sottoscrizione della cartella di pagamento;
c) violazione falsa applicazione dell’art. 111 Cost. in relazione alla obbligatorietà della sottoscrizione autografa delle cartelle di pagamento;
d) violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per il mancato invio della comunicazione di irregolarità (c.d. avviso bonario);
e) vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in ordine alla obbligatorietà dell’avviso bonario qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti nella dichiarazione;
f) violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione alla intervenuta decadenza dell’Amministrazione dal potere di iscrizione a ruolo delle somme vantate contro l’atto impugnato, ritenendo applicarsi alla fattispecie il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17 e non l’art. 25 novellato del citato D.P.R., rilevando come la cartella di pagamento avrebbe dovuto essere notificata, relativamente all’anno di imposta 2000, entro il 31/12/2004 e, in relazione all’anno imposta 2001, entro il 31/12/2005.
g) violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), dovendo essere dichiarato inammissibile l’appello principale con conseguente perdita di efficacia dell’appello incidentale tardivo.
Rilevava, in particolare come l’appello fosse stato proposto dall’Agenzia delle entrate che non aveva interesse processuale a proporre appello, mancando di legittimazione processuale, mentre la XXX s.p.a. non ha proposto un proprio mezzo di gravame, ma si era costituita in segreteria con atto di controdeduzioni e non con appello incidentale tardivo che, tutt’al più, avrebbe potuto essere proposto solamente dalla XXX s.p.a..
h) violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per la mancata rilevazione d’ ufficio della inesistenza o della nullità insanabile della notificazione della cartella;
i) violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per la mancata rilevazione d’ ufficio della nullità della cartella di pagamento per essere la relata di notifica apposta sul frontespizio anzichè in calce alla stessa.
Si sono costituite nel giudizio di legittimità con controricorso l’Agenzia delle Entrate e XXX S.pA, quest’ultima formulando anche ricorso incidentale eccependo violazione di legge in ordine alla omessa motivazione delle spese processuali.
La XXX s.p.a. presentava memoria.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 27/4/2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Sono infondati i motivi del ricorso principale.
1) I primi tre motivi di ricorso concernenti, sotto diversi profili, la mancata sottoscrizione autografa della cartella impugnata, vanno trattati congiuntamente, stante la connessione logica.
Non era necessaria, anche con riferimento all’epoca di emanazione del provvedimento, la sottoscrizione della cartella da parte del legale rappresentante della XXX s.p.a..
Gli atti tributari privi della sottoscrizione del dirigente responsabile sono sicuramente legittimi a partire dal 1 luglio 2009 D.L. n. 78 del 2009, ex art. 15, comma 7, che prevede: "la firma autografa prevista sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione dalle norme che disciplinano le entrate tributarie erariali amministrate dalle Agenzie fiscali e dall’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato può essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile dell’adozione dell’atto in tutti i casi in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati.
Quindi, la firma autografa non è più essere necessaria e può sostituirsi con la mera indicazione del soggetto responsabile dell’adozione dell’atto (es. il capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1).
Il D.L. n. 79 del 2009, art. 15, comma 7 specifica che "Con provvedimento dei Direttori della Agenzie fiscali e del Direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sono individuati gli atti di cui al comma 7".
Peraltro anche in precedenza non era elemento necessario ai fini della validità dell’atto emanato dalla Amministrazione la sottoscrizione del legale rappresentante, essendo sufficiente la riferibilità dell’atto all’Autorità da cui promanava, in quanto "l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia espressamente prevista dalla legge" (Corte Cost. 117/2000; cfr Cass. n 4923/2007; Cass. 29/10/2007 n. 22692).
Un primo provvedimento del Direttore dell’Agenzia fiscale risulta emanato in data 2.11.2010 e riguarda liquidazioni, accertamenti e riscossioni e prevede che anche la firma a stampa del funzionario responsabile può sostituire quella autografa per atti prodotti da sistemi informativi automatizzati per attività a carattere seriale, realizzandosi una economia di scala e maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse.
Anche in precedenza, tuttavia, si riteneva che non fosse elemento necessario ai fini della validità dell’atto emanato dalla Amministrazione la sottoscrizione del provvedimento, essendo sufficiente la riferibilità dell’atto all’Autorità da cui promana, in quanto "l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia espressamente prevista dalla legge". (Cass. 29.10.2007 n. 22692).
Solo nel caso in cui la mancanza di sottoscrizione dell’atto non consente di individuare l’Autorità da cui provenga il provvedimento, ne va pronunciata la nullità, circostanza non sussistente e neanche prospettata nella fattispecie.
2) Il quarto e quinto motivo di ricorso, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
Con riferimento al mancato invio della comunicazione di irregolarità (c.d. avviso bonario) va rilevato che in tema di riscossione delle imposte, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis ma soltanto "qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione", situazione, quest’ultima, che non ricorre nel caso in cui nella dichiarazione vi sia un mero errore materiale, che è l’ipotesi tipica disciplinata dall’art. 36-bis citato, poichè in tal caso non v’è necessità di chiarire nulla e, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi, non avrebbe indicato quale presupposto di esso l’incertezza riguardante "aspetti rilevanti della dichiarazione". (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7536 del 31/03/2011, Cass Sez. 5, Sentenza n. 795 del 14/01/2011).
Anche nella fattispecie in esame non vi era, quindi, una necessità di notificare una prodromica comunicazione contenente gli esiti della liquidazione in mancanza di incertezza sull’esito della stessa, non avendo, peraltro, la stessa società contribuente eccepito nulla in ordine alla debenza delle somme iscritte a ruolo.
3) In seguito alla declaratoria, con sentenza n. 280 del 25 luglio 2005, di illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, come modificato dal D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, nella parte in cui non prevede un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario deve notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, il legislatore, con la L. 31 luglio 2005, n. 156, al dichiarato "fine di garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni e di assicurare l’interesse pubblico alla riscossione del crediti tributari", ha aggiunto al D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, (da essa convertito), tra altri, il comma 5 bis, con cui ha fissato i termini entro i quali deve essere effettuata, a espressa "pena di decadenza", la "notifica delle … cartelle di pagamento" relative alla "pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni".
E stato altresì introdotto (n. 2 della lett. b), all’enunciato "fine di conseguire … la necessaria uniformità dei sistema di riscossione mediante ruolo delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto", il comma 5 ter, con cui si è sostituito il D.Lgs. 29 febbraio 1999, n. 46, art. 36, comma 2, con il seguente:
"in deroga al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, comma 1, lett. a), per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento è notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:
a) del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003;
b) del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001".
La fattispecie qui esaminata risponde ai canoni, in relazione ai quali la giurisprudenza di questa Corte precedentemente richiamata (cfr Cass. 16826/06, 20384/06, 4255/07, 14861/07, cit.) prevede l’assoggettamento, in via di applicazione retroattiva della norma, allo ius superveniens costituito dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis, (convertito in L. n. 156 del 2005, art. 1, comma 5 bis).
Quindi, con riferimento al termine di decadenza per la notifica, in tema di riscossione delle imposte sui redditi, il D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1 convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 156 – emanato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005 di declaratoria di incostituzionalità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 -, che ha fissato, al comma 5- bis, i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni ed ha stabilito all’art. 5-ter, sostituendo il comma 2 del D.Lgs. 29 febbraio 1999, n. 46, art. 36 che per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, per le dichiarazioni presentate negli anni 2000 e 2001 (come nel caso di specie) , rispettivamente entro il quinto e quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ha un inequivoco valore transitorio e trova applicazione non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, ma anche a quelle ancora non definite con sentenza passata in giudicato.
Pertanto i termini da osservare, ai fine di non incorrere nella decadenza, per la notifica della cartella di pagamento per le due diverse annualità d’imposta era, per entrambe, il 31/12/2006, termine rispettato essendo la notifica intervenuta, per la stessa ammissione della XXX s.p.a. in data 10/5/2006.
4) Anche il motivo sub g) è infondato, anche se occorre correggere la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..
Essendo stato contestato anche il mancato invio dell’avviso bonario, l’Agenzia aveva interesse e quindi legittimazione processuale autonoma alla proposizione del gravame.
Pertanto l’Agenzia delle entrate era legittimata ad impugnare la sentenza, senza che potesse essere opposta la carenza di legittimazione passiva, per le motivazioni dianzi indicate.
La stessa XXX s.p.a. ha citato in giudizio davanti alla Commissione tributaria provinciale sia l’Agenzia delle entrate che la Serit Italia e, in via generale, non può pretendere di avvantaggiarsi da un presunto errore dalla stessa compiuta, eccependo la carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate dalla stessa evocata in giudizio.
La Commissione regionale ha erroneamente ritenuto, che l’atto "tempestivamente" proposto dalla Serit, ancorchè denominato "controricorso" fosse da qualificare quale appello incidentale tardivo.
La regola dell’art. 334 cod. proc. civ., che consente l’impugnazione incidentale tardiva (ammissibile nei confronti di qualsiasi capo della sentenza impugnata "ex adverso") trova applicazione solo per l’impugnazione incidentale tardiva in senso stretto, rivolta contro la stessa parte che ha proposto l’impugnazione, e non opera per ogni altra impugnazione spiegata a tutela di un interesse autonomo della parte, non derivante dalla impugnazione della controparte. (Sez. L, Sentenza n. 10291 del 17/05/2005).
Quindi, nella specie, vanno esclusi i presupposti di ammissibilità dell’appello incidentale tardivo proposto dalla XXX s.p.a.
rimasta soccombente nel giudizio di primo grado e non intimata nel ricorso principale del soccombente nei confronti di altra parte.
La partecipazione al giudizio di secondo grado della XXX s.p.a. appare comunque legittima, potendosi alla stessa attribuire natura di intervento volontario, in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 il quale stabilisce che possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio solo i soggetti che, insieme al ricorrente, siano destinatari dell’atto impugnato o parti nel rapporto controverso che avrebbero potuto proporre autonoma impugnazione.
Inoltre l’intervento adesivo dipendente è stato ritenuto ammissibile nel processo tributario e anche in appello, posto che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49 dispone che alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo terzo, capo primo del libro secondo del c.p.c. escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto" (Cass. 12 gennaio 2012 n. 255) e, a maggior regione deve ritenersi ammissibile anche l’appello adesivo della XXX che ha emanato la cartella impugnata.
5) Gli ultimi due motivi di ricorso costituiscono domande nuove, proposte per la prima volta in sede di legittimità, difettando anche dei requisiti dell’autosufficienza, trattandosi di considerazioni generiche, non pertinenti con l’oggetto del giudizio, essendo inidonee le circostanze di fatto evidenziate, mai contestate nei giudizi di merito, ad acclarare la pretesa nullità della notifica dell’atto o della cartella di pagamento.
6) Va accolto il ricorso incidentale della XXX S.p.A..
L’intimata eccepisce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione alla compensazione delle spese, dato che, secondo la formulazione dell’art. 92 applicabile ratione temporis (essendo stato il giudizio instaurato dopo l’entrata in vigore della L. n. 263 del 2005), il giudice può compensare le spese tra le parti solo se vi è soccombenza reciproca o se ricorrono altri giusti motivi che devono essere esplicitamente indicati nella motivazione. Nel regime successivo a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a) il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi" deve trovare un adeguato supporto motivazionale.
Nella sentenza impugnata non vi è alcuna motivazione in ordine alle ragioni che hanno indotto la commissione alla compensazione delle spese del grado di appello e la cui regolamentazione può essere applicata da questa Corte, trattandosi di violazione di legge, ponendole a carico della XXX s.p.a., in forza del principio di soccombenza, liquidate come in motivazione.
Anche le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della XXX s.p.a. in forza del principio di soccombenza e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale della XXX s.p.a. e, decidendo nel merito, liquida a favore della XXX s.p.a. le spese del giudizio di appello che determina in complessive Euro 9.000,00, di cui Euro 7.000,00 per onorario e Euro 300,00 per spese, oltre accessori di legge. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida a favore della Agenzia delle Entrate in Euro 13.500,00 per onorario, oltre le spese prenotate a debito e a favore della XXX s.p.a. in Euro 13.500,00 per onorari, oltre Euro 100,00 per spese, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 27 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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