Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 20-02-2013, n. 8372

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– che con l’impugnata sentenza fu confermata la condanna di tale H.O. alla pena di Euro 600 di multa per i reati, uniti per continuazione, di ingiuria e diffamazione costituiti, secondo l’accusa, dall’avere esso imputato rivolto ai militari dell’arma dei Carabinieri D.M.F. e S.F., dai quali era stato sorpreso mentre, in una centrale via cittadina ed essendo in stato di ubriachezza, stava orinando contro un muro, espressioni dispregiative quali "sudisti", "terroni" e simili e dall’avere, successivamente, recatosi in caserma, affermato, parlando con loro colleghi, che i predetti lo avevano derubato della somma di Euro 500 da lui detenuta nel portafogli;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato denunciando:

1) violazione dell’art. 649 c.p.p., sull’assunto che la condotta ritenuta costitutiva del reato di diffamazione sarebbe stata da considerare la stessa per la quale il ricorrente era già stata condannato quale responsabile del reato di calunnia in danno delle stesse persone offese;

2) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico dei reati contestati, a fronte dell’avvenuta acquisizione del parere peritale espresso nel corso del processo per calunnia, secondo cui il ricorrente sarebbe stato da considerare soggetto portatore di una personalità "disturbata in senso paranoico", siccome portata ad elaborare gli accadimenti esterni "in senso persecutorio";

3) carenza di motivazione in ordine alla mancata assoluzione dell’imputato dal reato di cui all’art. 594 c.p., sull’assunto che si sarebbe dovuto, nella specie, qualificare il fatto come "libera manifestazione del pensiero, canalizzata in modo certamente duro, ma comunque proveniente da persona non italiana e in stato di alterazione alcolica";

4) carenza di motivazione in ordine alla mancata assoluzione anche dal reato di cui all’art. 595 c.p., sull’assunto che non sarebbe stata in alcun modo dimostrata la sussistenza della condizione costituita dalla comunicazione con più persone;

5) carenza di motivazione in ordine al confermato diniego delle attenuanti generiche, pur in presenza della riconosciuta incensuratezza dell’imputato, ritenuta dal tribunale inidonea a giustificare la concessione di dette attenuanti.
Motivi della decisione

– Che il ricorso non appare meritevole di accoglimento e rasenta, anzi, per alcuni profili, l’inammissibilità, in quanto:

a) con riguardo al primo motivo, le proposte doglianze non possono, all’evidenza, scardinare la valenza, ai fini dell’esclusione della prospettata violazione dell’art. 649 c.p., dell’elemento oggettivo, chiaramente posto in luce nell’impugnata sentenza e non contestato nel ricorso, costituito dal fatto che la condotta qualificata come diffamatoria era stata posta in essere dall’imputato nel pomeriggio del (OMISSIS), allorchè egli si era recato in caserma per fare le sue rimostranze a proposito del furto asseritamente subito ad opera dei due militari, mentre la formale denuncia a carico di questi ultimi, essa sola costitutiva del reato di calunnia, era stata presentata soltanto il giorno seguente;

b) con riguardo al secondo motivo, lo stesso trascura totalmente un passaggio fondamentale dell’impugnata sentenza, in cui si pone più che ragionevolmente in luce come il preteso delirio persecutorio, se poteva aver avuto incidenza nella commissione del reato di calunnia, posto in essere dopo che l’imputato aveva subito il controllo e, forse, non aveva più ritrovato il danaro che riteneva di aver avuto con sè, ben difficilmente poteva averne avuta nella immediata determinazione del medesimo imputato di reagire in modo platealmente offensivo all’intervento dei militari i quali – si osserva ancora nella sentenza – avevano tenuto, nell’occasione, un "approccio molto tranquillo";

c) con riguardo al terzo motivo, non si vede (nè si spiega) come e perchè possano essere qualificate come "libera manifestazione del pensiero" espressioni di incontestabile (e incontestata) valenza offensiva come quelle indicate nel capo d’imputazione, tra le quali, in particolare, l’epiteto "terrone", correttamente ritenuto, nell’impugnata sentenza, come carico di significato dispregiativo, siccome implicante il concetto che la provenienza di taluno dall’Italia meridionale sia di per sè indice di "inferiorità culturale, economica e quasi antropologica";

d) con riguardo al quarto motivo, del tutto gratuito e generico appare il dubbio, in esso manifestato, che all’atto in cui il ricorrente, recatosi alla caserma dei Carabinieri, manifestava il suo convincimento che i militari da cui era stato controllato si fossero resi responsabili di furto nei suoi confronti, non fossero presenti più persone in grado di recepire tale infondata accusa, dovendosi piuttosto riguardare come inverosimile l’ipotesi contraria, e cioè che ad ascoltare un’accusa di tale gravità non si fossero premurati di essere presenti, per le necessarie valutazioni del caso, almeno il comandante o il responsabile dell’ufficio e taluno dei suoi collaboratori;

e) con riguardo al quinto motivo, vale osservare che, anche con riferimento a casi nei quali, "ratione temporis", come si verifica nella specie, non era applicabile l’attuale art. 62 bis c.p., comma 3, secondo cui l’incensuratezza non può, da sola giustificare la concessione delle attenuanti generiche, era stato affermato da Cass. 4, 25 giugno – 28 luglio 2008 n. 31440, PG in proc. Olavarria Cruz, RV 241898, che: "Nell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche il giudice non può tenere conto unicamente dell’incensuratezza dell’imputato, ma deve considerare anche gli altri indici desumibili dall’art. 133 c.p.. (principio affermato in relazione al testo dell’art. 62 bis c.p. vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 125 del 2008)"; principio, questo, alla luce del quale appare quindi del tutto incensurabile, in questa sede, la motivazione (peraltro totalmente ignorata nel ricorso), sulla base della quale il tribunale ha confermato il diniego delle attenuanti in questione, indicando come elementi ostativi alla loro concessione "la reiterazione delle condotte poste in essere dall’imputato, la loro commissione in parte anche in luogo pubblico, la intervenuta condanna per il reato di calunnia".
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

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