Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 20-02-2013, n. 8369

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

– che G.F. fu chiamato a rispondere dei reati di minaccia (capo A) e di ingiurie (capo B) in danno di R.B. per avere, secondo l’accusa, nel corso di una riunione della Commissione provinciale dell’artigianato di Vibo Valentia, rivolto al detto R. le espressioni: "Non finisce qui; te la farò pagare cara a tempo debito" e "cretino, tu sei stato da me sfiduciato e non puoi presiedere";

– che all’esito del giudizio di primo grado il G. venne assolto da entrambi gli addebiti, quanto al primo, con la formula "il fatto non costituisce reato" e, quanto al secondo, per la ritenuta operatività della causa di non punibilità prevista dall’art. 599 c.p., comma 2;

– che, proposto appello, ai soli fini civile, dal R., costituitosi parte civile, il tribunale di Vibo Valentia, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettò il gravame, confermando la decisione di primo grado;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile, denunciando:

1) mancanza di motivazione in ordine alla confermata esistenza della causa di non punibilità prevista dall’art. 599 c.p., comma 2, non essendosi presi in esame i motivi d’appello nei quali si sosteneva: – 1/a) che il preteso fatto ingiusto posto in essere dal R. consisteva soltanto nell’espressione del parere che il G., siccome non iscritto all’albo delle imprese artigiane, non avrebbe avuto titolo a far parte della commissione provinciale; – 1/b) che il R. si era limitato ad intervenire in una discussione già insorta tra l’imputato ed una terza persona; – 1/c) che sarebbe mancato il "nesso eziologico tra provocazione ed ingiuria";

2) insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione relativamente ancora alla suddetta causa di non punibilità, sull’assunto che sarebbe stato indebitamente ritenuto, nella sentenza d’appello, come fatto ingiusto addebitarle al R. il solo fatto che quest’ultimo, nell’ambito di una discussione nella quale doveva comunque essere trattata la questione della legittimazione del G. (essendovi stata una sollecitazione dell’INPS ad iscrivere costui all’albo delle imprese artigiane con efficacia retroattiva), avesse invitato il medesimo G. a restituire i gettoni di presenza;

3) erronea applicazione dell’art. 599 c.p., per essere stato indebitamente attribuito carattere di ingiustizia all’intervento con il quale il R., inserendosi in una discussione già accesasi tra il G. e il dirigente regionale Ru.Ro. a proposito della legittimazione o meno del primo a partecipare alla riunione della commissione provinciale (questione da riguardarsi non esclusivamente personale, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado), aveva aderito alla posizione del secondo, così suscitando la reazione del G., consistita – si afferma, richiamando il contenuto della deposizione resa nel corso del giudizio – nell’afferrare un portacenere e nel rivolgere al R. l’espressione: "Cretino, lo sai che ti abbiamo sfiduciato come CNA";

4) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla confermata assoluzione dell’imputato anche dal reato di minaccia, sull’assunto che, a parte la contraddittorietà tra la formula adottata e la ritenuta mancanza di prova, secondo quanto emergente dalla sentenza di primo grado, circa la materialità del fatto, non si darebbe comunque potuto ritenere (come invece ritenuto nell’impugnata sentenza) che la minaccia rivolta dall’imputato al R. di fargli pagare cara la sua condotta esprimesse soltanto l’intenzione di far valere le proprie ragioni nelle sedi competenti, non risultando in alcun modo chiarito quali potessero essere tali sedi e non essendosi tenuto conto del fatto che detta minaccia era stata accompagnata dal tentativo di scagliare un portacenere all’indirizzo della persona offesa, come da questa riferito nel suo esame dibattimentale;

Motivi della decisione

– che il ricorso appare meritevole di accoglimento, per quanto di ragione, in quanto:

a) con riguardo ai primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto basati su doglianze sostanzialmente riconducibili ad elementi comuni, la motivazione dell’impugnata sentenza appare, in effetti, del tutto deficitaria, dal momento che il giudice di secondo grado, dopo aver sintetizzato in appena tre righe il contenuto dei diffusi motivi d’appello, poi ripresi nell’atto di ricorso, relativi alla ritenuta sussistenza della scriminante di cui all’art. 599 c.p., comma 2, affermando soltanto che con essi si era rappresentata "la legittimità della condotta del R., priva di natura provocatoria", si è poi limitato, a giustificazione della ritenuta infondatezza di detti motivi, ad aderire puramente e semplicemente, senza alcuna disamina, sia pur sommaria, delle ragioni addotte dall’appellante (e poi riprese nei motivi di ricorso), al riportato giudizio espresso dal giudice di primo grado, secondo cui vi era stata provocazione "poichè il R. più volte nel corso della riunione aveva invitato il G. a restituire i gettoni di presenza insistendo sulla illegittimità della partecipazione di questi alla riunione", così da ingenerare nello stesso G. "uno stato d’ira e una reazione esasperata tanto da affermare: "stai dicendo delle cretinate";

b) con riguardo al quarto motivo, anche in questo caso il giudice di secondo grado si è limitato ad una pedissequa adesione al giudizio espresso dal primo giudice, secondo cui la frase minacciosa pronunciata dall’imputato sarebbe stata "chiaramente riferita al far valere le proprie ragioni nelle sedi competenti", ignorando totalmente le specifiche ragioni di doglianza espresse sul punto dall’appellante, ivi compresa quella, non manifestamente priva di un qualche rilievo, che detta frase sarebbe stata accompagnata dal gesto di scagliare un portacenere contro la persona offesa;

– che l’impugnata sentenza, siccome affetta dai suddetti vizi motivazionali, non può che essere annullata con rinvio, per nuovo esame, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *