Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-07-2012, n. 13413

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Svolgimento del processo
La X X X/Xpropone ricorso per la revocazione, sulla base di due motivi, della sentenza della Corte di cassazione 9 giugno 2010, n. 13852, con la quale, in accoglimento del primo motivo di ricorso del Ministero delle finanze e dell’Agenzia delle entrate, è stata dichiarata la tardività, e perciò la inammissibilità, del ricorso introduttivo della X AG, perchè proposto il 22 maggio 2001, e quindi oltre il termine di sessanta giorni dal 3 gennaio dello stesso anno, data nella quale la contribuente aveva espressamente dichiarato di avere auto piena conoscenza degli avvisi di accertamento ai fini dell’IVA per il 1994 ed il 1995 impugnati, fornendo così la prova della acquisizione di detta conoscenza.
Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate resistono con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, denunciando "errore revocatorio ai sensi dei combinato disposto dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4", la ricorrente assume che il motivo di ricorso accolto avrebbe riguardato un’eccezione, quella relativa alla tardività dei ricorsi introduttivi, mai proposta dall’amministrazione nei gradi di merito, come eccepito da essa contribuente nel controricorso, e come emergente dalle decisioni di primo e di secondo grado; il fatto della formulazione della eccezione, obiettivamente nuova giacchè mai sollevata nelle precedenti fasi di giudizio, sarebbe dunque stato erroneamente percepito quale presupposto della decisione revocanda.
La decisione sarebbe quindi fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa dagli atti del processo:
"se i giudici avessero letto gli atti di causa, non avrebbero potuto fare a meno di constatare che la questione della decadenza per la asserita tardività nella proposizione dei ricorsi originari era obiettivamente nuova e, come tale, non poteva essere esaminata nel giudizio di cassazione".
Con il secondo motivo, espone di aver dedotto nel controricorso che, avendo presentato istanza di accertamento con adesione il 15 febbraio 2001, il termine per l’impugnazione degli avvisi di accertamento era sospesa, secondo la previsione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6 per novanta giorni, sicchè i ricorsi introduttivi, proposti il 22 maggio 2001, dovevano considerarsi legittimi e tempestivi; ciò trovava riscontro "nella documentazione versata in atti unitamente al controricorso (doc. 2 e 3 del fascicolo di Cassazione)". Denuncia quindi come il giudice abbia mancato di percepire il fatto idoneo a determinare la sospensione del decorso del termine decadenziale;
decorso che invece avrebbe affermato sulla base di un manifesto errore nella percezione delle risultanze di causa.
Il ricorso è inammissibile.
In tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, infatti, "la configurabilità dell’errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, presuppone che la decisione appaia fondata, in tutto o in parte, esplicitandone e rappresentandone la decisività, sull’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che, per converso, la realtà effettiva (quale documentata in atti) induce, rispettivamente, ad escludere od affermare, così che il fatto in questione sia percepito e portato ad emersione nello stesso giudizio di cassazione, nonchè posto a fondamento dell’argomentazione logico-giuridica conseguentemente adottata dal giudice di legittimità" (Cass. n. 16447 del 2009).
In particolare, l’errore di fatto che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, può dar luogo alla revocazione non può mai cadere, per definizione, sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, sia perchè le argomentazioni giuridiche non costituiscono "fatti" ai sensi del citato art. 395, n. 4, sia poichè un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass. n. 6198 del 2005).
Nel caso in esame, l’avere ritenuto nuovo, o non averlo ritenuto tale, un motivo di ricorso per cassazione, e l’aver ritenuto applicabile o meno la sospensione del termine in pendenza di una richiesta di accertamento con adesione, non costituiscono, così come prospettati, errori di fatto, bensì il frutto di valutazioni giuridiche, nella specie non condivise dalla ricorrente, e quindi, se si vuole, errori giuridici.
In ordine al primo motivo, inoltre, è appena il caso di rilevare come questa Corte abbia chiarito che la decadenza del contribuente dal diritto di agire in giudizio, per inosservanza dei termini stabiliti dal decreto sul contenzioso tributario, è rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 2969 cod. civ., trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti. Tale rilevabilità d’ufficio sussiste anche nei gradi di giudizio successivi al primo, e quindi anche in sede di legittimità, salvo che sulla questione non si sia formato il giudicato interno espresso, non essendo sufficiente ad impedire la rilevabilità d’ufficio il giudicato implicito (Cass. n. 908 del 2006 e n. 9952 del 2003).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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