Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-01-2013) 19-02-2013, n. 7966

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 15.04.2011, dichiarava M.M. e B.R.S. responsabili del reato di furto relativo all’impossessamento di condutture elettriche di rame situate sui binari dell’impianto ferroviario della Stazione (OMISSIS), con le aggravanti di aver commesso il fatto di notte, con violenza (per aver tranciato i cavi) e su cose esposte per necessità alla pubblica fede e destinate a pubblico servizio. Il Tribunale evidenziava che i due giovani erano stati tratti in arresto in flagranza di reato. In particolare, il Tribunale riferiva che, al momento dell’intervento della Polizia Ferroviaria, a seguito di segnalazione del Centro Operativo Compartimentale, M. aveva in mano dei cavi elettrici, strappati da una botola dell’impianto; e che B.R. stava bruciando un grosso quantitativo di trecce di rame.

Il giudicante rilevava, inoltre, che poco distante dai due prevenuti era stata rinvenuta una valigia contenente trecce di rame ancora calde, già ripulite dalla relativa guaina di protezione, per un peso complessivo di circa 20 chilogrammi.

2. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 6.12.2011 in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, ritenuta l’ipotesi del tentativo, rideterminava la pena originariamente inflitta. Il Collegio, in accoglimento del relativo motivo di gravame, riteneva sussistente la fattispecie tentata e non consumata, rispetto al delitto di furto. La Corte territoriale rilevava che i cavi di cui si tratta non erano entrati nella piena disponibilità dei prevenuti, atteso che i due giovani erano stati costantemente osservati dal personale addetto. Riteneva, pertanto, che i cavi non fossero usciti dalla sfera giuridica del soggetto passivo.

3. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli, deducendo l’erronea applicazione della legge penale.

L’esponente osserva che la giurisprudenza costantemente ravvisa il furto consumato e non semplicemente tentato per colui che nasconda sulla propria persona, ovvero in una borsa, la cosa sottratta, anche se non si sia allontanato dal luogo della sottrazione. L’esponente osserva che non assume rilievo la durata del possesso e che è sufficiente che l’agente consegua la disponibilità materiale della cosa. E considera che, nel caso di specie, i cavi di rame erano stati strappati dalla loro sede, privati della guaina e riposti in un borsa, di talchè il reato risulta consumato.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è fondato.

4.1 Questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che il momento consumativo del delitto di furto è costituito dalla sottrazione della cosa, che sia passata, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui è stata sottratta, sotto il dominio esclusivo dell’agente. In particolare, si è chiarito che ai fini della consumazione del delitto di furto è sufficiente che la cosa sottratta sia passata sotto l’autonoma disponibilità dell’agente; e che risponde di furto consumato – e non tentato – colui che si sia impossessato della cosa, sia pure per breve tempo, non assumendo rilievo il fatto che l’agente sia stato intercettato e bloccato sul posto dalle forze dell’ordine (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 21757 del 30/03/2004, dep. 07/05/2004, Rv. 229167).

Di tali principi non ha fatto buon governo la Corte di Appello di Napoli, nel procedere alla qualificazione giuridica del fatto, come accertato in corso di giudizio. Il Collegio, invero, dopo aver richiamato, per la ricostruzione della dinamica dell’episodio, le circostanze di fatto riferite dal giudice di primo grado – il quale ha precisato che, all’arrivo della Polizia, i due imputati avevano già strappato dalla sede e privato dalla relativa guaina protettiva cavi flessibili di rame, del peso complessivo di 60 chili – ha ritenuto che i cavi di rame non fossero entrati nella piena disponibilità degli imputati, stante la "costante" sorveglianza esercitata del personale addetto. In tali termini, la Corte territoriale è incorsa nel denunciato errore di diritto. Invero, i cavi di rame, strappati dalla loro sede e privati della guaina protettiva, data alle fiamme, erano già entrati nella piena ed esclusiva disponibilità degli odierni imputati, tanto che alcuni cavi erano pure stati riposti in un borsone. E, per le spiegate ragioni, non assume alcun rilievo, rispetto all’intervenuto impossessamento dei cavi di rame, il fatto che personale del Centro Operativo Compartimentale abbia allertato tempestivamente la Polizia Ferroviaria e che i due prevenuti siano stati raggiunti dalla forze dell’ordine quando ancora si trovavano nei pressi dello scalo ferroviario. E’ poi appena il caso di osservare che nella sentenza di primo grado – alla quale la Corte territoriale ha fatto espresso rinvio per la ricostruzione dell’episodio, come si è rilevato – la sorveglianza esercitata dal personale addetto non viene altrimenti indicata come "costante", diversamente da quanto affermato nella sentenza in esame.

4.2 Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla questione concernente la qualificazione come tentativo del fatto contestato, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo esame, sul punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla questione concernente la qualificazione come tentativo del fatto contestato e rinvia sul punto alla Corte di Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2013
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