Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-01-2013) 19-02-2013, n. 7964

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Potenza, con sentenza in data 26.03.2010, dichiarava C.R. responsabile del reato di furto di una autovettura, perpetrato in concorso con R.V. e C. G.. Il Tribunale, in riferimento alla prova della corresponsabilità del prevenuto, evidenziava le seguenti circostanze di fatto: R.V. e C.G., unitamente ai rispettivi fratelli A. e R., erano sopraggiunti a bordo di una Alfa 33 in data (OMISSIS), alle ore 20.46, presso il distributore Agip, sito nei pressi della officina di autoriparazioni di A.R.; l’auto provento di furto, Fiat Tipo, era uscita dall’officina alle ore 21.00, seguita dopo un solo minuto dall’Alfa 33, secondo i dati emergenti dalla registrazione effettuata dal sistema di videosorveglianza, installato presso il predetto distributore. Il giudicante rilevava che dette evenienze smentivano le dichiarazioni rese da R.V., in ordine alla perpetrazione del furto da parte del solo C.G..

2. La Corte di Appello di Potenza, con sentenza del 24.11.2011 confermava la sentenza del Tribunale di Potenza. Il Collegio, con ordinanza in data 9.06.2011, disponeva l’escussione del testimone assistito R.A. ex art. 197 bis cod. proc. pen., imputato giudicato separatamente in quanto minorenne all’epoca del fatto. La Corte territoriale considerava che nei confronti di R.A. il Tribunale per i Minorenni di Potenza, con sentenza in data 26.07.2007, aveva dichiarato non doversi procedere, per essere i reati estinti per positivo esito della messa alla prova;

e che le dichiarazioni rese dal predetto erano pienamente utilizzabili in quanto eteroaccusatorie e quindi non violative delle garanzie di cui all’art. 197 bis c.p.p., comma 4. La Corte di Appello rilevava che le dichiarazioni rese da R.A. risultavano osmotiche rispetto a quanto riferito da A.R. in sede di denuncia, a proposito della presenza nell’area di servizio di quattro ragazzi giunti a bordo dell’Alfa 33; ed osservava che R.A. non risultava credibile, laddove aveva dichiarato di essersi allontanato, unitamente a C.R., a bordo della Alfa 33, lasciando a piedi gli altri due amici, i quali si sarebbero resi responsabili del furto della Fiat Tipo, all’insaputa degli altri indagati.

3. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Potenza ha proposto ricorso per cassazione C.R., a mezzo del difensore.

Con il primo motivo la parte deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 197 bis c.p.p., comma 4 atteso che non è stato riconosciuta al teste assistito R. A. la facoltà di non rispondere.

L’esponente premette che il Tribunale di Potenza ha utilizzato le dichiarazioni rese da R.V., dichiarazioni in realtà già dichiarate inutilizzabili nel corso del giudizio di primo grado;

e rileva che, stante l’inconsistenza del quadro probatorio, la Corte di Appello ebbe quindi a disporre il rinnovo dell’istruttoria dibattimentale, con l’escussione di R.A.. La parte assume che l’esame di R.A. sia avvenuto in violazione del disposto di cui all’art. 197 bis c.p.p., comma 4, laddove è stabilito che il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento il medesimo dichiarante aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Ed osserva che R. A., giudicato dal Tribunale per i Minorenni, non aveva reso alcuna dichiarazione. Rileva, inoltre, che nel corso del giudizio di primo grado, il medesimo R.A., escusso ex art. 210 cod. proc. pen., si era avvalso della facoltà di non rispondere.

Con il secondo motivo, l’esponente denuncia la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in riferimento al compiuto apprezzamento della prova indiziaria. Rileva che gli indizi richiamati dalla Corte di Appello, cioè a dire la denuncia sporta da A.R., le riprese estratte dal sistema di videosorveglianza ed il contenuto della deposizione resa da R.A., non risultano rilevanti rispetto al tema di prova.

La parte si sofferma sull’escussione del teste R. A., assumendo che l’esame condotto avanti alla Corte di Appello esprima il pregiudizio accusatorio del giudicante. Osserva che soltanto C.G. e R.V. vennero tratti in arresto, perchè trovati a bordo dell’auto rubata; e ritiene che detta evenienza contraddica l’assunto accusatorio, in forza del quale i quattro amici, avendo trascorso insieme la serata, avrebbero tutti concorso nella consumazione del furto della Fiat Tipo. Il ricorrente considera che il lasso temporale, pari ad un minuto, che separa il passaggio dell’Alfa 33 nel campo visivo del sistema di video sorveglianza, rispetto al passaggio della Fiat Tipo, rende il predetto elemento indiziario privo di univoca lettura.

Motivi della decisione

4. Il ricorso che occupa muove alle considerazioni che seguono.

4.1 Con il primo motivo la parte rileva che R.A. non poteva essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p., comma 4; ciò in quanto la posizione di R. A. – chiamato a rispondere del reato per il quale oggi si procede, commesso in concorso con i maggiorenni C.R., C.G. e R.V., oggetto del capo b della rubrica del procedimento n. 8/06 RG GUP – è stata definita dal Tribunale per i Minorenni di Potenza, con sentenza in data 26.06.2007, dichiarativa di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato, essendo il reato estinto per positivo esito della prova. E la parte considera che, di converso, la Corte di Appello di Potenza, procedendo ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., ebbe ad escutere R.A. sui fatti oggetto della predetta imputazione censita dal Tribunale per i Minorenni, pure omettendo di avvisare il dichiarante della facoltà di non deporre, nei sensi ora richiamati.

Nel censire la predetta eccezione, deve considerarsi che non appare revocabile in dubbio che la definizione anticipata del procedimento minorile, per positivo esito della messa alla prova di cui al D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, artt. 28 e 29, risulti equiparabile, rispetto ai fini che qui vengono in rilievo, ad una sentenza di condanna. L’istituto, invero, postula il ravvedimento del minore, evenienza che implica la sussistenza e la riferibilità del fatto storico all’imputato (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19532 del 09/04/2003, dep. 24/04/2003, Rv. 224810, ove in motivazione si chiarisce che l’istituto della "messa alla prova" presuppone una valutazione circa la possibilità di cambiamento in positivo della personalità del minore, tale per cui il delitto diventa "estraneo" al soggetto che lo ha "commesso"). E deve inoltre considerarsi che non risulta che R.A. abbia reso alcuna dichiarazione, nel procedimento celebrato a suo carico avanti al Tribunale per i Minorenni.

Tanto chiarito, approfondendo l’esame del tema che occupa, occorre soffermarsi sul verbale di udienza del 24.11.2011, celebrata avanti alla Corte di Appello di Potenza, analisi consentita al giudice di legittimità, a fronte di eccezione di natura processuale. Ebbene, dal predetto verbale non risulta che a R.A., pure legittimamente assistito da difensore di ufficio, sia stato dato avviso della facoltà di non deporre sui fatti per i quali era stata pronunciata sentenza da parte del Tribunale per i Minorenni. Giova, allora, ricordare che la novella contenuta nella L. 1 marzo 2011, n. 63, art. 6 nell’introdurre con l’art. 197 bis cod. proc. pen. la nuova figura della persona imputata in procedimento connesso tenuta ad assumere l’ufficio di testimone, ha delimitato in maniera chiara l’ambito dell’obbligo di deposizione sullo stesso gravante, prevedendo al comma 4 l’esclusione di tale vincolo in relazione ai fatti rispetto ai quali è stata pronunciata la sua condanna, ove non abbiamo costituito oggetto di ammissione in quel procedimento, o rispetto ai quali egli non abbia fornito alcuna versione. E questa Corte regolatrice, considerando le finalità perseguite dalla novella ora richiamata, ha chiarito che "il legislatore ha inteso salvaguardare le esigenze di autodifesa dell’interessato, pur in presenza di un accertamento definitivo della propria responsabilità, che non può costringerlo ad ammettere tale responsabilità, prescindendo da quanto effettivamente accertato nel procedimento a suo carico, in quanto tale ammissione, se risulta irrilevante ai fini penali per l’irrevocabilità della pronuncia, potrebbe assumere effetti deteriori per la sua reputazione, valore anch’esso suscettibile di tutela, sulla base del principio nemo tenetur se detegere" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 5911 del 10/01/2012, dep. 15/02/2012, Rv. 252416).

Atteso che l’esame di R.A., come emergente dal richiamato verbale di udienza, ebbe ad incentrarsi sulla ricostruzione della dinamica dell’episodio in addebito, anche con riferimento al ruolo assunto dal medesimo dichiarante, deve osservarsi che effettivamente si riscontra la sussistenza della denunciata violazione del disposto di cui all’art. 197 bis c.p.p., comma 4. E deve osservarsi che la Corte di Appello di Potenza, nel dichiarare pienamente utilizzabile la deposizione resa da R. A., non ha considerato la reale portata delle garanzie contro l’autoincriminazione, sancite dal primo periodo del comma 4, dell’art. 197 bis, cod. proc. pen., nei sensi esplicitati dal diritto vivente, sopra riferiti.

4.2 In tali termini, si introduce l’esame del secondo motivo di ricorso, con il quale l’esponente deduce il vizio motivazionale, in riferimento all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, rispetto all’acquisito compendio indiziario.

Giova, al riguardo, evidenziare che certamente devono ritenersi non utilizzabili sia le dichiarazioni rese da R.A. avanti alla Corte di Appello, per le spiegate ragioni, sia le dichiarazioni rese da R.V. alla polizia giudiziaria. A quest’ultimo riguardo, deve osservarsi che il giudice allora procedente, con ordinanza dettata a verbale di udienza del 26.03.2010, ebbe legittimamente a dichiarare l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla PG da R.V., atteso che il dichiarante, sentito ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., si era avvalso della facoltà di non rispondere; e si tratta di statuizione non altrimenti revocata, nel corso del presente giudizio.

5. Tanto chiarito, in riferimento agli atti utilizzabili a fini di prova, deve evidenziarsi che lo sviluppo argomentativo posto a fondamento della sentenza impugnata non appare conducente, in riferimento alla ricostruzione della dinamica del fatto, con specifico riguardo alla condotta posta in essere da C.R..

La motivazione contenuta nella sentenza della Corte di Appello, espunti gli elementi non utilizzabili, si basa infatti sui dati emergenti dal sistema di videosorveglianza installato presso il distributore di benzina – dai quali emerge il transito dell’Alfa 33 utilizzata di quattro giovani la sera del fatto e della Fiat Tipo, provento di furto – e sulle dichiarazioni rese dalla parte offesa A.R.. Si tratta di elementi privi di piena valenza individualizzante rispetto alla posizione dell’odierno imputato e che non consentono di ritenere provata, in termini di certezza, la compartecipazione di C.R., a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen., nella perpetrazione del furto della Fiat Tipo.

Esclusa, per quanto detto, l’operatività del disposto di cui all’art. 129 c.p.p., comma 2, deve osservarsi che il reato in addebito risulta ad oggi estinto per prescrizione. Il termine prescrizionale massimo applicabile al reato di furto aggravato ex art. 624 c.p., e art. 625 c.p., n. 5, per il quale si procede, tenuto pure conto della contestata recidiva, risulta pari ad anni sette e mesi sei. Tanto si afferma, in considerazione del fatto che il reato risulta commesso in data 1 marzo 2005 mentre la sentenza di primo grado è del 26.03.2010. Pertanto, secondo le disposizioni di diritto intertemporale di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, commi 2 e 3, deve trovare applicazione la più favorevole disciplina dettata dall’art. 157 cod pen., nella formulazione antecedente alla novella del 2005, atteso che all’imputato sono state concesse le attenuanti generiche equivalenti a tutte le aggravanti oggettive e soggettive e che tale evenienza, secondo la predetta disciplina applicabile ratione temporis, veniva in rilievo per determinare il tempo necessario a prescrivere il reato. Conseguentemente, il termine prescrizionale risulta pari ad anni cinque e prolungabile non "oltre la metà", per effetto degli atti interruttivi, ai sensi del previgente art. 160 c.p., comma 3. Detto termine risulta spirato alla data del 1 settembre 2012, non emergendo sospensioni del corso della prescrizione.

5.1 Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2013
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