Cassazione civile n. 11975 del 08/08/2003 Famiglia, assegno divorzile, tenore di vita, quantificazione, famiglia di fatto, more uxorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sent. n. 198/99 del 26/1-5/3/99 il Tribunale di Como, nel dichiarare la cessazione degli affetti civili del matrimonio fra Caia Ambrogio e Caia Raffaella, determinava in L. 800.000 mensili rivalutabili secondo Istat il contributo dovuto dal padre a titolo di mantenimento dei due figli maggiorenni e conviventi con la madre, ad attribuiva alla donna un assegno divorzile di L. 1.200.000 mensili anch’esso rivalutabile secondo Istat. Avverso detta sentenza proponeva appello il Tizio sia in ordine alla misura al contributo al mantenimento dei figli (che egli chiedeva fissarsi nell’importo di L. 600.000 mensili sia in ordine all’avvenuto riconoscimento di un diritto all’assegno divorzile pur in difetto dei presupposti di fatto e di diritto.

Resisteva la Caia .

Interveniva altresì il P. G. il quale chiedeva la determinazione dell’assegno divorzile in misura non superiore a L. 300.000 mensili.

La Corte d’Appello accoglieva solo parzialmente il gravame, statuendo che nessun assegno divorzile spettasse alla Caia .

Al riguardo la Corte territoriale osservava:

a) non essere oggetto di contestazione il fatto che, in sede di separazione personale, nessun assegno periodico fosse stato statuito a favore della Caia ;

b) come da ciò potesse ragionevolmente presumersi che, a quel tempo, la medesima dovesse essere ben consapevole della propria indipendenza economica e della possibilità di fare fronte con le sue personali risorse alle sue necessità;

c) come, se fosse vero che una simile originaria pattuizione non impedisse che, in sede di divorzio, venissero avanzate pretese da chi in precedenza non era titolare dell’assegno di separazione, ciò non esimesse dal sottolineare come, in un simile contesto, l’onere probatorio – già ricadente di per sé sulla parte richiedente – si presentasse, in qualche misura, ancora più gravoso, configurandosi una sorta di presunzione di autonomia reddituale della Caia ;

d) come, al riguardo, la donna non fosse, in corso di causa, riuscita a provare, con la dovuta compiutezza, di essersi prodigata – pur essendo di età non avanzata, e libera da impegni domestici – a far tempo dalla separazione, per il reperimento di una qualche attività lavorativa;

e) ciò si rendesse tanto più rilevante una volta che, laddove la innovativa formulazione di cui all’art. 5 della legge n. 898 del 1970, non si limita a presupporre che l’istante non possieda mezzi personali adeguati a soddisfare le proprie esigenze di sostentamento, ma esige – altresì – che il richiedente, per ragioni obiettive, non sia in grado di procurarseli, la Caia si era limitata a provare di non svolgere attività lavorativa, e non aveva comprovato affatto di trovarsi, per qualsivoglia ragione, nell’impossibilità di reperire un’occupazione confacente alla propria condizione personale, culturale e sociale.

Sottolineava aggiuntivamente la Corte di Appello come:

a) non potesse essere posto in contestazione che la donna, immediatamente dopo la sottoscrizione del verbale di separazione nella primavera del 1992, avesse iniziato una convivenza con un altro uomo, recandosi a vivere preso l’attuale, comune, abitazione in Olgiate Comasco;

b) nessun dubbio potesse pertanto profilarsi in merito al carattere serio, duraturo ed esclusivo di tale ultimo rapporto affettivo, dal momento che, da allora, la convivenza non aveva registrato interruzioni, e dal momento che, dalle prove orali esperite, era emerso come l’attuale compagno della donna provvedesse economicamente alle sue essenziali necessità;

c) come – al riguardo – sia la madre della Caia , escussa in qualità di teste, sia la stessa donna nel corso dell’interrogatorio formale avessero espressamente riconosciuto (con apprezzabile onestà) che il convivente forniva alla Caia regolari contribuzioni economiche nell’ambito del loro stabile rapporto di coppia, al che doveva presumersi che essi avessero instaurato e dato corso ad una relazione del tutto aderente agli schemi familiari;

d) come, se sia vero che la convivenza "moro uxorio" non dà origine tra i conviventi ad alcuna obbligazione suscettibile di tutela e di esecuzione forzata (di tal che essa non offre garanzia alcuna di fronte ad un’eventuale "inadempimento" del soggetto in precedenza solito alla spontanea corresponsione di somma), sia tuttavia pacifico che, al fine del riconoscimento dell’assegno divorzile, non possa prescindersi dagli aiuti e dalle erogazioni che l’ex coniuge istante riceva da un terzo, qualora tali sovvenzioni "presentino carattere di continuità, regolarità e sicurezza);

e) come, nel caso in esame non solo la Caia avesse dato conto dell’esistenza di tali volontarie prestazioni, ma nulla avesse allegato in ordine ad un’eventuale discontinuità degli aiuti, di tal che dovesse concludersi nel senso che il convivente – lavoratore in proprio quale titolare di una ditta di carrelli elevatori – fosse in grado di continuare a contribuire alle di lei essenziali esigenze di vita e neppure avesse mai adombrato di volersi in futuro sottrarre a tale obbligazione naturale nei di lei confronti ormai da lungo tempo assunta;

f) come, alla luce di tutta una tale serie di fattori, da un lato, neppure potesse procedersi al raffronto tra il tenore di vita goduto dalla Caia in costanza di convivenza coniugale e quello garantitole dall’attuale compagno, posto che la relativa indagine investiva spazi personalissimi e scelte esistenziali i cui affetti non potevano riverberarsi sugli aspetti accessori della pronuncia di divorzio, e – dall’altro – nessun rilievo dirimente ai fini in discussione potesse assumere il fatto che l’appellata avesse proceduto all’alienazione a terzi (ed in particolare alla madre) di taluni beni personali di un corto prestigio già a suo tempo ricevuti in dono dal marito; e ciò in quanto non poteva affermarsi con certezza che a ciò alla si fosse determinata proprio perché spinta da impellente necessità.

Ricorre per cassazione la Caia sulla base di 2 motivi assistiti da memoria.

Resisto il Tizio con controricorso assistito anch’esso da memoria.

Motivi della decisione

I due motivi, siccome intimamente connessi fra di loro, possono essere trattati unitariamente.

Con il primo di essi, la ricorrente, nell’invocare vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, deduce che:

a) la circostanza (data in sentenza per pacificamente ammessa da essa Caia in sede di interrogatorio formale, e dalla madre in sede di deposizione testimoniale) relativa alla supposta regolarità ed adeguatezza delle contribuzioni economiche provenientile dal suo convivente, non sarebbe – in realtà – affatto emersa in sede istruttoria;

b) più in particolare, essa ricorrente avrebbe semplicemente riconosciuto di avere instaurato, successivamente alla separazione, una convivenza con un altro uomo, ma nulla avrebbe invece affermato in ordine alla asserita regolarità delle contribuzioni economiche di quest’ultimo;

c) l’assenza di qualsivoglia dichiarazione del genere da parte di essa Caia e della madre, nonché l’assenza di una qualsiasi prova in ordine alla circostanza in oggetto, inficerebbero la stessa validità logico giuridica dell’intera motivazione;

d) vi fossero – a suo dire – tutta una serie di elementi agli atti i quali avrebbero dovuto indurre la Corte d’Appello ad escludere la regolarità delle contribuzioni economiche in questione;

e) più in particolare, dalle dichiarazioni rese da sua madre, fosso dato di desumere che il sig. Faverio non fosse affatto regolare nella corresponsione degli aiuti economici, posto che essa Caia aveva più volte chiesto a sua madre (che poi lo aveva – a suo dire – confermato in sede di deposizione testimoniale) le somme necessarie alla sua sussistenza.

Con il secondo motivo, la ricorrente, nel dedurre, invece, violazione, falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta:

a) l’erroneità dell’assunto fatto proprio dalla corte di Appello, secondo il quale incombesse su di essa Caia la prova della mancata fruizione di regolari ed adeguate erogazioni da parte del convivente, invece che sul Tizio Ambrogio quella relativa alla prova della sussistenza di tali erogazioni costituenti, in quanto tali, fattore estintivo del diritto all’assegno divorzile fatto valere da essa ricorrente;

b) il ben diverso ad ingiustificato – a suo dire – rigore manifestato nei confronti di essa Caia nel momento in cui la Corte territoriale ha ritenuto che essa non avesse comprovato l’impossibilità di reperire un’attività di lavoro: atteggiamento – questo della Corte – tanto più inadeguato a dire della ricorrente, ove si valuti – da un lato – l’età di essa Caia (quasi cinquantenne), notoriamente poco propizia agli sbocchi lavorativi, e – dall’altro – la obiettiva difficoltà di un tal tipo di prova negativa.

I due motivi, si rivelano del tutto inaccoglibili, siccome del tutto inidonei a contrastare la effettiva "ratio decidendi" della decisione impugnata la quale riposa nella concomitante valutazione dei seguenti due fattori:

a) mancata prova dell’impossibilità obiettiva della Caia di procurarsi mezzi economici personali attraverso il reperimento di un’occupazione confacente alla propria condizione, personale, culturale e sociale;

b) concomitante esistenza di una situazione di convivenza "more uxorio" della Caia , protraentesi, con carattere di serietà, stabilità, e durevolezza, fin dalla primavera del 1992 immediatamente dopo la sottoscrizione del verbale di separazione; convivenza caratterizzata da regolari contribuzioni economiche nell’ambito di una relazione aderente agli schemi di un rapporto di tipo familiare, ad implicante perciò scelte esistenziali tali da rendere assorbito ogni profilo relativo alla stessa comparazione fra i tenori di vita.

Orbene, le conclusioni tratte dalla Corte d’Appello di Milano si rendono, in punto di diritto sostanzialmente condivisibili.

Va sottolineato infatti – da un lato – come incomba effettivamente sull’ex coniuge richiedente, l’onere della prova dell’impossibilità obiettiva di procurarsi mezzi "adeguati".

D’altro lato, premesso come il comma 6 dell’art. 5 della L. n. 898 del 1970 non definisca ulteriormente il concetto di quella "adeguatezza" dei mezzi, in difetto della quale, e nel concorso dell’ulteriore requisito dell’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, scattano i presupposti della spettanza dell’assegno divorzile e come pertanto debba ritenersi come i parametri di valutazione di questa "adeguatezza" siano stati lasciati volutamente suscettibili di differenziata considerazione in ragione della variegata evoluzione delle scelte esistenziali di ciascuno degli ex coniugi nella fase "post" divorzile), va sottolineato come sia venuta lentamente e progressivamente emergendo nella stessa giurisprudenza di questa Suprema Corte (vedi, da ultime Cass. 4158/89; 4761/93; Cass. 5024/97; Cass. 3503/98), la conclusione per cui, allorché la convivenza "more uxorio", si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e regolarità, tanto da venire ad assumere i connotati della cosiddetta "famiglia di fatto" caratterizzata, in quanto tale, dalla libera e stabile condivisione di valori e modelli di vita (perciò stesso anche economici), il parametro di valutazione dell’"adeguatezza" dei mezzi economici a disposizione dell’ex coniuge non possa che registrare una tale evoluzione, recidendo – finché duri tale convivenza e ferma rimanendo, in questa fase la perdurante rilevanza del solo eventuale "stato di bisogno" in sé, ove "non compensato" all’interno della convivenza – ogni plausibile connessione con il tenore ad il modello di vita economici caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, e – con ciò stesso – ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile fondato sulla conservazione di esso.

Sotto un tal punto di vista, la Corte d’Appello – con valutazione di fatto che si rende insindacabile in questa sede, posto che espressa con percorso motivazionale che si rivela di per sé immune da vizi logico giuridici – ha ricostruito proprio l’esistenza della caratteristiche di un tal tipo di convivenza fra la Caia ed il suo nuovo compagno, rinvenendo gli estremi di una stabilità – appunto – anche di ordine economico; e tali conclusioni tratte dalla corte territoriale non si rendono di certo superabili in ragione della mera contrapposizione, alle valutazioni del materiale istruttorio compiute dalla Corte territoriale, di una versione meramente alternativa tesa a provocare un inammissibile – per questa Corte di legittimità – sindacato di fatto.

Quanto poi alla dedotta circostanza secondo cui, di contro a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, né essa Caia né la di lei madre avrebbero mai fatto affermazioni concernenti la regolarità delle elargizioni economiche offerte dal convivente "more uxorio", un tal tipo di deduzione, nei limiti in cui non ha a tradursi in mora ad inammissibile contrapposizione di opposta interpretazione delle dichiarazioni rese rispettivamente in sede di interrogatorio formale ed in sede di deposizione testimoniale, assurge al più al ruolo di evocazione di mero vizio revocatorio da far valere ai sensi dell’art. 395 c.p.c.

Ricorrono tuttavia giusta ragioni per un’integrale compensazione della spese di questa fase di giudizio fra la parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra la parti la spese

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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