Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-01-2013) 15-02-2013, n. 7597

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 29 novembre 2011 la Corte di Appello di Caltanissetta rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da T.S., il quale era stato sottoposto a misura cautelare carceraria dal 24.06.2008 al 29.01.2009 quale coindagato in relazione al reato di estorsione aggravata L. n. 203 del 1991, ex art. 7. La Corte territoriale rilevava che la Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza in data 15.10.2010, in riforma della sentenza di condanna resa dal G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta, aveva assolto il T. con la formula "perchè il fatto non costituisce reato"; e che l’istanza riparatoria non poteva comunque essere accolta, stante l’atteggiamento equivoco assunto dal T., idoneo a configurare un addebito di colpa, ostativo al diritto alla riparazione.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Caltanissetta ha proposto ricorso per cassazione T. S., a mezzo del difensore.

Con il primo motivo, la parte deduce la violazione dell’art. 525 cod. proc. pen.. L’esponente osserva che il procedimento è stato trattato all’udienza camerale del 29.11.2009 avanti alla Corte di Appello di Caltanissetta e che il relativo collegio era composto dai giudici Z., D. e T.; e rileva che l’intestazione dell’ordinanza che ha messo capo al predetto procedimento reca la composizione di un diverso collegio giudicante, composto dal dott. N. (presidente), dalla dott.ssa D. (consigliere relatore) e dal dott. T.. Il ricorrente assume che la diversa composizione del collegio deliberante, rispetto a quello avanti al quale è strato trattato il procedimento camerale, determina la nullità dell’impugnata ordinanza.

Con il secondo motivo il deducente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale. La parte rileva che nel comportamento del T. non è possibile ravvisare i caratteri del dolo o della colpa grave, ostativi al riconoscimento della equa riparazione. Al riguardo, considera che la Corte di Appello ha erroneamente valorizzato il contenuto di conversazioni intercettate. Ed osserva che il giudice della riparazione ha messo in discussione elementi già accertati dal giudice della cognizione, che aveva mandato assolto il prevenuto, stante l’equivocità del quadro probatorio.

L’esponente rileva, poi, che la Corte di Appello ha affermato che il T. non aveva fornito una spiegazione alternativa del quadro accusatorio, laddove il prevenuto aveva reso spontanee dichiarazioni avanti al Tribunale del Riesame.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, rilevata la fondatezza del primo motivo di censura, ha chiesto che la Suprema Corte annulli l’ordinanza impugnata senza rinvio.

Motivi della decisione

4. Si osserva, in primo luogo, che sussistono i presupposti per la trattazione del presente procedimento.

Come noto, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza del 18 ottobre 2012, hanno dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 117, comma 1 e art. 111 Cost., comma 1, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 315, comma 3, in relazione all’art. 646 cod. proc. pen., comma 1, nella parte in cui le predette disposizioni non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per la riparazione per l’ingiusta detenzione si svolga, davanti alla corte di appello, nelle forme dell’udienza pubblica. La questione è, ad oggi, tuttora pendente avanti al Giudice delle leggi e, nelle more, si procede alla discussione dei procedimenti di riparazione per ingiusta detenzione pendenti avanti a questa Corte, solo in caso di espressa rinuncia della parte, alla trattazione nelle forme dell’udienza pubblica.

Invero, il diritto alla trattazione in udienza pubblica del procedimento di riparazione per l’ingiusta detenzione nel grado di merito è certamente diritto rinunciarle, di talchè le parti, ove interessate alla sollecita definizione del procedimento, hanno facoltà di far pervenire espressa dichiarazione di rinuncia in tal senso. Nel caso di specie, T.S., con dichiarazione pervenuta in data 16.11.2012, ha dichiarato di rinunciare alla trattazione del procedimento in udienza pubblica. Si è quindi legittimamente proceduto alla fissazione ed alla trattazione del ricorso che occupa.

5. Ciò chiarito, si viene ad esaminare il primo motivo di ricorso.

Il motivo è fondato.

Dall’esame degli atti (esame svolto direttamente dal giudice di legittimità, a fronte di eccezione di natura processuale) emerge che il collegio dinanzi al quale si celebrò in data 29.11.2011 l’udienza nelle forme camerali era composto dai magistrati dott. M. D. (presidente), Z.C. e G.C. T.. Di converso, l’ordinanza originale, comprensiva di motivazione e dispositivo – depositata il 6.12.2011 – fa invece risalire la decisione ad un diverso collegio (presidente, S. N., componenti D. e T.). Come si vede, il tenore del verbale di udienza, rispetto all’intestazione del provvedimento impugnato, induce a ritenere che uno dei magistrati che ha proceduto alla deliberazione non fosse presente all’udienza stessa.

5.1 Deve, allora, rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che la regola dell’immutabilità del giudice, statuita dall’art. 525 cod. proc. pen., comma 2, con riferimento al dibattimento ed alla sentenza, è espressione di un principio generale estensibile anche ai provvedimenti adottati all’esito della procedura camerale; e che, conseguentemente, è affetto da nullità di ordine generale, assoluta ed insanabile, il provvedimento pronunziato da un collegio non composto dalle medesime persone fisiche che hanno partecipato alla trattazione in udienza camerale, a meno che, variata la composizione, la procedura non sia stata riprodotta "ex novo" dinanzi al collegio decidente (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25806 del 12/06/2007, dep. 04/07/2007, Rv. 237369).

5.2 L’applicazione del condiviso principio di diritto, ora richiamato, al procedimento in esame comporta, necessariamente, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuova deliberazione, alla Corte di Appello di Caltanissetta, Resta assorbito ogni ulteriore motivo di censura.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Caltanissetta per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013

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