Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 29-01-2013) 15-02-2013, n. 7504

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. S.S., per il tramite del difensore fiduciario, propone ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia con la quale, a conferma della decisione assunta in primo grado, in sede di abbreviato dal Gup presso il Tribunale di Brescia, riformata solo in punto al diverso e minore trattamento sanzionatorio irrogato, lo stesso è stato condannato alla pena di giustizia perchè ritenuto responsabile di due diverse ipotesi delittuose sanzionate ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (la cessione di cocaina operata in favore di M.D. e K.M.; le più cessioni, avvinte dal vincolo della continuazione, effettuate in favore di Ke.Mo.) oltre che partecipe dell’associazione ricondotta all’egida del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, composta dal ricorrente e dai fratelli J., A. e S., operativa in (OMISSIS).

2. Le due sentenze di merito, quanto al reato associativi traggono gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, desunti da emergenze indiziarie ricavate da colloqui captati per effetto di autorizzate intercettazioni telefoniche e dagli esiti dei sequestri operati in conseguenza degli arresti in flagranza resi nell’evolversi dinamico dell’indagine, in ragione della notevole durata delle attività illecite legate al traffico di sostanze stupefacenti in relazione alle quali i fratelli S. sono stati coinvolti; dalla suddivisione dei ruoli dei singoli partecipi all’interno di una organizzazione volta alla realizzazione di un programma comune ( J. addetto all’approvvigionamento della sostanza; A. e S., l’odierno ricorrente, addetti allo smercio; Sa. con compiti di bassa manovalanza, primariamente quelli afferenti il trasporto della merce); dalla destinazione alla gestione della comune attività illecita di mezzi diversi (le case di abitazione dei diversi componenti, luoghi di esecuzione delle attività di cessione o di detenzione della sostanza da cedere; l’utenza telefonica mobile in uso al S., accesa all’atto della scarcerazione di quest’ultimo, appositamente dedicata alle attività funzionali alla realizzazione dei reati fine).

3. Con un unico motivo di ricorso la difesa dello S. lamenta violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 nonchè motivazione manifestamente illogica.

Segnala al fine che la Corte distrettuale impropriamente avrebbe ricavato la sussistenza di una struttura organizzativa funzionale all’associazione contestata siccome individuata in base alla presenza di una utenza cellulare, apoditticamente definita dedicata in assenza di altri elementi a comprova (non ricavabile dalla mera coincidenza temporale tra la scarcerazione del S. e la data di accensione della stessa), e dal riferimento alle abitazioni degli asseriti partecipi quali luoghi di riferimento della comune attività illecita, destinate al vivere abituale e non rappresentative di alcun momento funzionale alla realizzazione del programma comune. La Corte avrebbe poi travisato la prova nel ritenere realizzato il reato afferente la cessione effettuata dai S. in favore di M. e K. siccome realizzata preso l’abitazione del ricorrente (dato non ricavabile dalla localizzazione del ponte radio utilizzato dai telefoni cellulari intercettati); ancora avrebbe equivocato nel l’afferma re che il ricorrente sarebbe stato posto agli arresti domiciliari presso l’abitazione del fratello Sa. quando invece era quest’ultimo ad essersi trasferito, temporaneamente, presso il domicilio comprovato del fratello proprio per consentire, in funzione della misura domiciliare concessa, la presenza di un familiare che potesse occuparsi delle esigenze fondamentali dell’odierno ricorrente.

Motivi della decisione

4. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni precisate da qui a poco.

5. Con un unico motivo, sotto il versante sia della motivazione manifestamente illogica che della violazione di legge sostanziale avuto riguardo alla fattispecie contestata ( qui, nei limiti del devoluto, quella associativa ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), si contesta la decisione impugnata avuto riguardo alla affermata sussistenza di validi elementi per poter ritenere presente la riscontrata associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti ascritta ai fratelli S.; ciò, peraltro, con esclusivo riferimento al presupposto afferente la contrastata presenza, nel ritenere della difesa, di una stabile organizzazione di beni e persone in funzione del perseguimento del fine illecito comune.

6. E’ noto che al fine della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a) l’esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita.

Nel caso a mano, primo e terzo dei momenti costituivi l’associazione in questione per come sopra descritti in linea di principio non sono in discussione avendo la difesa contestato, con il ricorso che occupa, la decisione impugnata limitatamente solo al requisito strutturale dell’associazione contestata.

Sul punto va poi ribadito come il delitto di partecipazione ad una associazione per delinquere (sia ex art. 416 c.p., comma 2, sia D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, comma 2) si atteggia quale reato a cosiddetta forma libera, nel senso che qualunque contegno, con qualsiasi modalità attuato, purchè causalmente collegato all’evento tipico (cioè idoneo a cagionarlo: persistenza dell’assetto assoclativo e dell’immanente accordo dei sodali), assume connotati realizzativi della materialità di tale fattispecie delittuosa. Da un altro lato, se per la configurazione di una associazione per delinquere finalizzata a traffici di stupefacenti occorre la presenza dei medesimi requisiti che distinguono il delitto di associazione di tipo comune (art. 416 c.p.), non è però necessaria ai fini del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74; accanto alla specialità dei reati- fine, l’esistenza di una articolata e complessa organizzazione dotata di disponibilità finanziarie e strumentali per attuare un esteso commercio di stupefacenti, essendo sufficiente anche la semplice ed elementare predisposizione di mezzi, forniti pur occasionalmente da uno o più degli associati o compartecipi, sempre che gli stessi siano in concreto idonei a realizzare con i crismi della stabilità e permanenza temporali quel programma delinquenziale per cui il vincolo associativo è sorto (cfr., ex pluribus: Cass. Sez. 6, 24.4.1986 n. 11761, Arcamone, rv. 174138; Cass. Sez. 5, 5.11.1997 n. 11899, Saletta, rv. 209646; Cass. Sez. 6, 6.11.2006 n. 41717, Geraci, rv.

235589).

7. Tanto premesso in linea di principio, la difesa ha proposto censure manifestamente infondate e, in alcuni casi, radicalmente inammissibili.

Sotto quest’ultimo versante devono ritenersi tali le deduzioni legate alla localizzazione del luogo di consumazione della cessione contestata al capo 1 della rubrica o, ancora quelle afferenti quelle inerenti le ragioni di collocazione del ricorrente agli arresti domiciliari presso l’appartamento di via (OMISSIS), la dove era domiciliato il fratello: si tratta infatti, di valutazioni in fatto estranee al vaglio di legittimità consentito in ragione della natura dei vizi segnalati a sostegno dei motivi di ricorso e comunque strumentali ad un travisamento addotto non tanto con riferimento al materiale probatorio acquisito in processo (comunque precluso nella specie vertendosi in ipotesi doppia valutazione conforme) quanto in sè della vicenda in fatto rimessa al giudizio di questa Corte. Ed è noto che, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., lett. e), L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di Cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.

8. Sfrondato il ricorso dai profili di censura immediatamente inammissibili e ribadito che gli elementi in fatto da porre a fondamento del chiesto controllo di legittimità, in ragione della natura dei vizi evidenziati a sostegno dei motivi di ricorso, non possono essere che quelli presi in considerazione e segnalati nel corpo della sentenza impugnata, ritiene la Corte manifestamente infondate le restanti ragioni di doglianza sollevate dalla difesa immediatamente volte a svilire, sul piano della coerenza logica oltre che su quello della corretta interpretazione normativa, le indicazioni in fatto segnalate nella sentenza impugnata supporto della riscontrata associazione avuto riguardo al profilo della relativa organizzazione strutturale.

Diversamente da quanto ritenuto dalla difesa, la decisione impugnata, con argomentare immune da manifeste incongruenze logiche e coerente al dato normativo applicato, dopo aver segnalato la presenza di un nucleo associativo composto sul piano soggettivo dai quattro fratelli S., quanto al profilo organizzativo e strutturale ha per un verso dettagliatamente descritto i compiti singolarmente ascritti ai diversi partecipi (al fratello J. l’onere dell’approvvigionamento, S. ed A. chiamati allo smercio, il più giovane, Sa., tenuto a compiti di mera manovalanza); per altro verso, la sentenza in esame delinea i mezzi strutturali predisposti per il perseguimento del fine comune, identificati non solo e tanto nella utenza cellulare attivata nel periodo di arresti domiciliari del ricorrente, utilizzata dal ricorrente per contattare i clienti e tenere i contatti con gli altri sodali, quanto piuttosto nei tre diversi appartamenti riscontrati nella disponibilità dei diversi partecipi, tutti sistematicamente asserviti, nelle emergenze in fatto, alle vicende di detenzione e spaccio funzionali all’attività associativa.

E così, con adeguata e logica puntualità di riferimenti, la Corte distrettuale, si sofferma nel riferimento all’appartamento dove il ricorrente scontava i domiciliari e presso il quale risiedeva insieme al fratello Sa., poi datosi alla latitanza, domicilio che costituiva momento di riferimento dello smercio inerente l’attività del S. (deduzione ulteriormente supportata in fatto dallo specifico riferimento alla cessione di cui al capo 1 della rubrica);

ancora, all’appartamento sito in (OMISSIS), formale residenza del ricorrente e del fratello A. da dove, sempre nell’ottica dei comuni affari associativi, il fratello Sa. ebbe a prelevare la cocaina poi sequestrata in occasione dell’instaurarsi della sua latitanza; infine a quello di M., laddove i fratelli J. e Sa. vengono arrestati e dove è stata rinvenuta nell’occasione dell’arresto cocaina dai suddetti ivi detenuta.

Il tutto ad adeguato supporto della deduzione logica – estranea a profili di manifesta illogicità e quindi intangibile in sede di legittimità – in ragione della quale siffatti immobili, ben oltre le rispettive esigenze abitative, costituivano determinante momento logistico e strutturale della illecita azione comune, risultando strumentalmente asserviti alle illecite finalità dell’associazione contestata, così da integrare, alla luce di quanto sopra evidenziato in linea di principio sugli elementi tipici dell’associazione ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, anche in parte qua, l’ipotesi di reato contestata al ricorrente.

Di qui l’infondatezza manifesta dei motivi ricorso volti a contestare, sul piano della logicità dell’argomentare e della corretta applicazione del dato normativo di riferimento, la sentenza impugnata.

9. Alla inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo e di una somma in favore della Cassa delle Ammende determinata come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del processo e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013
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