Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2012, n. 13398

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L.C., nell’interesse del figlio minore L. W., conveniva il Comune di Arezzo innanzi al Tribunale di Arezzo, assumendo che, nel percorrere in bicicletta assieme ad altri coetanei una strada cittadina, il figlio aveva perduto l’equilibrio per la presenza di un tombino al di sotto del livello stradale e si era procurato lesioni personali gravissime, chiedeva la condanna dell’ente convenuto al risarcimento dei danni quantificati in L. 972.450.000 oltre accessori. Il Comune si difendeva sostenendo che per le sue caratteristiche il tombino non costituiva insidia. Nelle more del giudizio il figlio diventava maggiorenne e si costituiva in giudizio per proseguire l’azione intrapresa dal padre. Il Tribunale rigettava la domanda con sentenza che veniva confermata dalla Corte di Appello di Firenze, la quale – richiamando Corte Cost. n. 156/1999 e la giurisprudenza consolidata dell’epoca – riteneva di dover escludere l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. ai beni pubblici di non modeste dimensioni soggetti ad uso generale e diretto da parte dei terzi, attesa l’impossibilità di esercitare su di essi un controllo idoneo ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose;

affermava che, nella specie, la notevole estensione della rete viaria di (OMISSIS) conduceva di per sè a ritenere impossibile un controllo continuo sulle condizioni delle strade cittadine; pertanto, la responsabilità del Comune per l’uso di tali strade si fondava sull’art. 2043 c.c. e postulava la dimostrazione della sussistenza di una situazione di fatto concretante insidia; nella specie andava esclusa una situazione siffatta, essendo il tombino pienamente visibile per le sue caratteristiche e le condizioni di luce, nelle quali si era verificato l’incidente; del resto, i compagni del L.W. lo avevano avvistato tempestivamente ed evitato, sicchè l’incidente andava attribuito al comportamento colposo del danneggiato che non aveva prestato la dovuta attenzione, non aveva rispettato la distanza di sicurezza e non aveva tenuto la destra, violando per questo modo il principio di autoresponsabilità individuato dalla Corte Costituzionale a carico dell’utente della strada pubblica.

2. Con sentenza n. 20823 del 20 settembre 2006, questa Corte dichiarava inammissibile il ricorso di L.C., avendo nelle more il figlio W. raggiunto la maggiore età e proseguito il giudizio originariamente proposto dal padre; accoglieva il primo motivo del ricorso di L.W. e dichiara assorbito il secondo; cassava e rinviava, anche per le spese nel rapporto concernente L.W., ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze. Esaminando il primo motivo, questa Corte affermava: "2.1. E’ inammissibile la censura, secondo la quale la corte di merito avrebbe dovuto affrontare la questione concernente il rapporto fra la domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. e l’analoga domanda ex art. 2051 c.c. Pur dubitando della possibilità che il giudice chiamato a pronunciare sulla prima domanda accolga la seconda, la corte anzidetta ha esaminato questa ultima domanda, rigettandola, sicchè fa difetto l’interesse a vedere risolto il dubbio ed affermato a chiare lettere che la possibilità vi è. 2.2.

Ciò posto, va rilevato che la corte di merito ha fatto discendere l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. in modo automatico dall’estensione della rete viaria e dall’uso di essa da parte della collettività. Ora, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 1.10.2004, n. 19653; Cass. 13.1.2003, n. 298, entrambe in motivazione), che si condivide e si riallaccia alla sentenza 10.5.1999, n. 156, della Corte Costituzionale, un tale effetto non costituisce riflesso incondizionato ed automatico delle indicate caratteristiche della strada, le quali rappresentano meri indizi dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo e di vigilanza sulla strada; impossibilità che può essere ritenuta non già in virtù del semplice riferimento alla natura demaniale ed alla estensione della strada, ma a seguito di un’indagine condotta dal giudice con riferimento al caso concreto. In definitiva, l’estensione della strada e l’uso generale di essa da parte della collettività rilevano nell’indagine che il giudice è tenuto a compiere caso per caso per verificare se l’esercizio del potere di controllo e di vigilanza della strada da parte dell’ente che ne è proprietario sia risultato in concreto possibile, dovendo altrimenti escludersi il rapporto di custodia e ritenersi inconfigurabile la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. Occorre avvertire che, se si tratta di strada comunale all’interno della perimetrazione del centro abitato (L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies e succ. mod.), la localizzazione della strada è indice della possibilità di vigilanza e controllo costante da parte del Comune". La sentenza d’appello veniva cassata perchè non era conforme agli indicati principi.

3. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il 3 settembre 2009, la Corte di appello di Firenze rigettava l’appello di L.W., ritenendo precluso in appello la questione dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. In particolare, riteneva di dover preliminarmente rilevare l’inammissibilità del profilo di impugnazione della sentenza, avanzato in sede di riassunzione, relativo alla applicabilità della disposizione di cui all’art. 2051 c.c.: nel corso del giudizio di primo grado detto profilo neppure era stato evocato dalla parte attrice, tanto che la sentenza del primo Giudice non aveva affrontato la problematica, argomentando il rigetto della domanda esclusivamente sulla base dei principi di cui all’art. 2043 c.c.. Neppure in sede di impugnazione gli istanti proponevano alcun motivo specifico di impugnazione in ordine a detto profilo di responsabilità e l’argomentazione veniva sviluppata, per la prima volta, esclusivamente nella memoria di replica alla conclusionale avversaria. Era stata la Corte territoriale, nell’originario giudizio di appello ad affrontare la problematica, al solo fine di escludere l’applicabilità della normativa; e dando così occasione al giudizio di legittimità sullo specifico punto. Riteneva pacifico in giurisprudenza che il giudizio di appello non ha il carattere di un rinnovato giudizio di merito, qualificandosi altresì come un giudizio vertente esclusivamente sui motivi d’impugnazione specifici in relazione alle statuizioni della sentenza impugnata. Richiama Cass. n. 14622/2009 ed afferma che l’esame del profilo di applicabilità dell’art. 2051 c.c. al caso in esame era quindi precluso al Giudice di appello in base al disposto dell’art. 346 c.p.c.; ed era precluso in sede di giudizio di rinvio anche in base al disposto dell’art. 394 c.p.c., comma 3, non ravvisandosi nella sentenza di cassazione alcun principio di diritto che imponga la presa in esame di conclusioni nuove e difformi rispetto a quelle già precisate nel giudizio di appello. Il profilo della domanda giudiziale relativo alla applicabilità dell’art. 2051 c.c. al caso in esame doveva pertanto essere dichiarato inammissibile, sulla base del combinato disposto dell’art. 346 c.p.c. e dell’art. 394 c.p.c., comma 3.

4. Avverso la sentenza del giudice di rinvio, il L. propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi; illustrati con memoria, resiste con controricorso il Comune di Arezzo e chiede respingersi il ricorso.

4.1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), particolarmente artt. 384 e 394 c.p.c., ovvero per nullità del procedimento (ex art. 360 c.p.c., n. 4), in relazione ai predetti artt. 384 e 394 c.p.c., perchè del tutto erroneamente, la Corte territoriale avrebbe ritenuto di potere e dovere esaminare l’ammissibilità della richiesta di condanna del Comune di Arezzo ai sensi dell’art. 2051 c.c. (per, in seconda battuta, escluderla).

Infatti, trattandosi di giudizio di rinvio, la Corte territoriale avrebbe dovuto, in ossequio al disposto dell’art. 384 c.p.c. uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte. Il principio di diritto è costituito dalla nozione di ordine giuridico che la S. C. incorpora nella propria sentenza, come presupposto della pronuncia. Il Giudice di rinvio deve uniformarsi non soltanto al principio di diritto espressamente formulato nella sentenza di rinvio, ma anche a quello ricavabile dal contesto della motivazione e dal dispositivo, risultando, così, vincolato anche alle premesse logico-giuridiche della pronuncia della Corte di Cassazione e tenuto a ricercare, attraverso l’esame della relativa motivazione, i principi giuridici che, sebbene non formalmente enunciati, hanno portato all’accoglimento del ricorso.

Conseguentemente, sarebbe preclusa al Giudice di rinvio la possibilità di rimettere in discussione questioni di fatto o di diritto che siano il presupposto necessario della sentenza, anche se non dedotte dalla parte, nè espressamente rilevate d ufficio dalla Corte, (si vedano: Cass. S.U. 03.07.2009 n. 15602, Cass. 13.07.2006 n. 15952, Cass. 22.05.2006 n. 11939, Cass. 03.08.2002 n. 11650, Cass. 30.03.2001 n. 4725, Cass. 27.4.1985 n. 2751, Cass. 19.1.1985 n. 157).

Il giudizio di rinvio si configura, quindi, come un "giudizio chiuso", che ha come riferimento immediato la sentenza rescissoria della Corte di Cassazione, non quella di primo grado, ragion per cui, contrariamente a quanto accade nel giudizio di appello, in quello di rinvio il Giudice deve pronunziarsi in base alla sentenza di Cassazione, essendo precluso alle parti di rimettere in discussione i presupposti (Cass., Sez. 2, 12.01.2007 n. 327). Al Giudice del rinvio, pertanto, non è consentito sindacare l’esattezza del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione (dal quale egli è comunque vincolato, ancorchè non lo condivida), nè gli è consentito di adottare conclusioni palesemente configgenti, sia sul piano logico che sotto il profilo giuridico, con quel principio, concretamente disattendendolo, in quanto lo stesso assurge a criterio concreto di decisione da applicare alla fattispecie, atteggiandosi come corretta enunciazione della legge al caso concreto (Cass. 08/10/1999 n. 11290; 30.12.1994 n. 28313; Cass. 13.07.1993 n. 7743;

04.02,1986 n. 689). Nel caso in esame, la Corte di legittimità si sarebbe (implicitamente, ma inequivocabilmente) pronunciata in merito al potere/dovere del Giudice di esaminare la sussistenza del profilo di responsabilità ex art. 2051 c.c. Nel dichiarare l’inammissibilità del primo motivo del ricorso originariamente sottopostole, questa Corte avrebbe attestato che la Corte di Appello aveva ritenuto possibile (e, quindi, dovuto) l’esame della sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di responsabilità ex art. 2051 c.c. del Comune di Arezzo. La Corte Suprema, per altro, lungi dal dichiarare indebita la determinazione processuale del Giudice di appello (e, conseguentemente, respingere il ricorso in punto d’inammissibilità della richiesta di esaminare l’applicabilità dell’art. 2051 c.c.), avrebbe, invece, ritenuto non conforme ai principi di corretta giurisprudenza l’avere il Giudice di secondo grado "fatto discendere l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. in modo automatico dall’estensione della rete viaria e dall’uso di essa da parte della collettività", cassando quindi la sentenza della Corte fiorentina e rinviando per nuovo esame in proposito.

Pertanto, al Giudice di rinvio era stata rimessa la decisione in ordine alla ricorrenza in concreto dei presupposti per riconoscere la responsabilità ex art. 2051 c.c., ferma e definitivamente risolta la questione dell’ammissibilità in astratto di tale indagine, con la conseguenza che al detto Giudice di rinvio, pur deputato al giudizio nel merito, era preclusa la possibilità di sindacare se, visti gli atti, la domanda formulata e le conclusioni prese dall’attore comprendessero la richiesta di declaratoria di responsabilità ex art. 2051 c.c.. Si rivelerebbe, quindi, indebita ed illegittima l’indagine preliminarmente svolta, sul punto, dalla Corte di Appello (Giudice del rinvio) e sarebbe, per ciò solo, illegittima la declaratoria d’inammissibilità della domanda de qua. Questi gli altri motivi proposti dal ricorrente:

4.2. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), particolarmente artt. 112 e 346 c.p.c. (in relazione agli artt. 2051 e 2043 c.c.).

4.3. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), particolarmente art. 2051 c.c..

4.4. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), particolarmente art. 2043 c.c..

4.5. Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in particolare, la prevedibilità e la visibilità del dislivello procurato dal non corretto posizionamento del tombino, nonchè 1 evitabilità del conseguente, obiettivo, ostacolo al tranquillo transito del velocipede).

5. Osserva preliminarmente la Corte che il sindacato di questa S.C., sulla sentenza del giudice di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri proprii di detto giudice per effetto di tale affidamento, e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto, ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia.

Nella prima ipotesi, infatti, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; solo nella seconda – invece – la sentenza rescindente, indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà, non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti specificati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass. sez. un., 28/10/1997, n. 10598 Cass. 14/06/2000, n. 8125;

Cass. 16/05/2003, n. 7635; Cass. 1507/2005 n. 15027; Cass. 23/02/2006 n. 4018; Cass. 22/04/2009 n. 9617).

6. Sulla base di tali principi, deve rilevarsi che il giudice di rinvio è venuto meno al proprio mandato, rivelandosi fondato il primo motivo del presente ricorso, riguardante la lamentata deviazione del giudice di rinvio rispetto ai principi di diritto enunciati nella sentenza di annullamento. Invero, la Corte territoriale non si è mantenuta nell’alveo tracciato nella sentenza di annullamento ed ha rivalutato l’ammissibilità – escludendola – della domanda risarcitoria ex art. 2051 c.c., mentre questa Corte ne aveva presupposto l’ammissibilità, indicando al giudice di rinvio quale fosse la "lettura" da dare all’indicata disposizione in relazione al caso di specie.

6.1. Non v’è chi non veda, infatti, che è stata questa S.C., nella sentenza di annullamento con rinvio n. 20986 del 2006, ad affidare alla Corte territoriale il compito di valutare la fondatezza, o meno, della pretesa risarcitoria non facendo discendere l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. in modo automatico dall’estensione della rete viaria e dall’uso di essa da parte della collettività, come avvenuto nel primo giudizio di appello, ma attenendosi ai principi risultanti dalla più recente giurisprudenza di legittimità in materia. Ebbene, riesaminati i medesimi fatti processuali che erano stati accertati definitivamente e sui quali si era fondata la sentenza di annullamento, la Corte territoriale ha concluso, nella sentenza qui impugnata, che era inammissibile la domanda relativa all’applicabilità dell’art. 2051, perchè preclusa gl’originario giudizio di appello, così evidentemente discostandosi e fraintendendo proprio i principi enunciati dalla Corte di cassazione nella sentenza del 2006 n. 20823.

6.2. Pertanto, a seguito della cassazione, il solo mandato devoluto al giudice di rinvio era quello di decidere nel merito, muovendo dalla premessa dell’ammissibilità della domanda ex art. 2051 c.c., e quindi di stabilire se al danneggiato spettasse un risarcimento a detto titolo ed avvalendosi del regime probatorio derivante da detta disposizione; ogni altra questione restando preclusa posto che nel giudizio di rinvio, che è un procedimento "chiuso", tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum, formulando nuove domande e nuove eccezioni, ma operano le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di cassazione. Con la conseguenza che neppure le questioni esaminabili di ufficio, non rilevate dalla Corte Suprema, possono in sede di rinvio essere dedotte o comunque esaminate, giacchè il loro esame tende a porre nel nulla o a limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass. 5381/2011; 11939/2006; 9278/2003; 10046/2002).

6.3. Pertanto, a nulla rilevava, nel caso, la circostanza che il giudice (originario) d’appello avrebbe potuto rilevare d’ufficio che la domanda ex art. 2051 c.c. fosse tardiva e, in tal caso, dichiararla inammissibile, perchè la relativa questione non era stata sollevata in alcuna delle precedenti fasi del giudizio.

Infatti, la censura relativa alla ritenuta insussistenza dei presupposti della responsabilità della p.a., quale custode della strada, era stata accolta da questa Corte proprio in base al presupposto dell’ammissibilità della domanda di responsabilità del custode, che dunque costituiva un antecedente logico e giuridico della cassazione con rinvio (altrimenti, la Corte avrebbe dovuto decidere dichiarando inammissibile la censura).

6.4. Per cui, nel caso di specie, trova applicazione il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, anche a sezioni unite, che disponendo l’art. 394 cod. proc. civ. l’obbligo inderogabile del giudice di rinvio di conformarsi alla decisione della Corte, non solo quanto al principio di diritto, ma anche a "quanto stabilito dalla Corte", la statuizione di tale norma comporta che, ove una sentenza sia cassata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, è precluso al giudice di rinvio qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato sulla scorta di fatti o profili non dedotti, ovvero di una rivalutazione dei fatti accertati o di una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso.

6.5. Opinare diversamente, significa porsi in collisione con il principio di diritto affermato nel caso di specie dalla S.C. nella sentenza di annullamento; si finisce, cioè, per porre nel nulla, o limitare, gli effetti della sentenza della Cassazione, la quale, ordinando il rinvio, fissa il principio di diritto non in via meramente astratta, ma agli effetti della concreta decisione della lite. Ciò perchè, nella specie, il mandato affidato al giudice di rinvio, volto all’accertamento della corretta ricorrenza dei presupposti dell’art. 2051 c.c., era strettamente legato proprio alla presupposta ammissibilità della relativa prospettazione circa i criteri per l’individuazione della responsabilità della P.A. quale custode. Si deve, invero, tenere presente che: 1) la sentenza impugnata è stata pronunciata in sede di rinvio, cosicchè trova applicazione il principio, secondo il quale i limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati dalla sentenza di annullamento, che non può essere nè sindacata nè elusa dal giudice di rinvio neppure nel caso di constatato errore (Cass. 28.6.1997, n. 5800), non potendo essa, ancorchè ritenuta inficiata, al limite, da violazione di norme di diritto sostanziale o processuale, essere disapplicata – salvo il caso di giuridica inesistenza – dal giudice di rinvio (e neppure dalla stessa Corte di Cassazione ulteriormente adita: Cass. 25 settembre 2004 n. 19307; 8 aprile 1994 n. 3308); 2) il giudice di rinvio non può compiere un nuovo e diverso accertamento dei fatti che siano stati accertati definitivamente e sui quali si è fondata la sentenza di annullamento (Cass. 8 novembre 2005 n. 21664;

16.12.2003, n. 19217).

6.6. Pertanto, si deve affermare che il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscano il presupposto logico – giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità, con la conseguenza che deve escludersi la possibilità per il giudice del rinvio di sindacare l’inammissibilità o l’improponibilità della domanda, dipendente da qualunque causa, anche da inosservanza di modalità o di termini, pur essendo la stessa rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado del processo (Cass. n. 7656/2011, ord., che in applicazione del principio, ha annullato la sentenza della C.T.R. che, in sede di rinvio, aveva rilevato d’ufficio la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso di ritenute IRPEF, per tardività dell’istanza).

6.7. Al principio enunciato dalla Corte di cassazione il giudice di rinvio doveva, dunque, uniformarsi senza alcun potere di riesame dell’ammissibilità della relativa domanda: è, infatti, del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che "una decisione di cassazione con rinvio, ancorchè inficiata, al limite, da violazione di norme di diritto sostanziale e processuale, non può essere disapplicata nè dal giudice di rinvio nè dalla stessa Corte di cassazione ulteriormente adita (sent. n. 3308/94), ed, in altri termini, che "al giudice di rinvio non è consentito sindacare l’esattezza del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. o comunque ricavabile dal contesto della motivazione, dal quale esso è comunque vincolato (Cass. n. 7494/96; n. 7743/93).

6.8. Nel caso in esame, pertanto, la Corte di merito ha erroneamente rivisitato i presupposti della decisione di annullamento di questa Corte. Restano assorbiti in tale statuizione gli altri motivi del ricorso implicitamente subordinati al mancato accoglimento del primo.

7. Ne deriva l’accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, con conseguente annullamento della decisione impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvio alla medesima Corte territoriale, in diversa composizione, per nuovo esame alla luce dei principi espressi da Cass. n. 20823/2006 e per la determinazione in ordine alle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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