Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2012, n. 13397

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. G.L. e L.M.G. convenivano in giudizio S.V.S., rivenditore autorizzato, presso il quale il 27-1-1997 avevano acquistato una bombola di GPL da 10 Kg. per uso domestico, presso un’abitazione di proprietà degli esponenti in (OMISSIS). Esponevano che il (OMISSIS), verso le ore 13,30, mentre la L., stava cucinando ed era presente solo il figlio minorenne M., portatore di handicap, era finita la bombola usata, fino a, quel momento e la donna aveva provveduto a sostituirla con quella acquistata dal S.V.. A tal fine l’attrice aveva chiuso il rubinetto della bombola vuota e rimosso il tappo di plastica rossa posto sul bocchettone di erogazione della bombola nuova, ma, nel compiere quest’ultima operazione, si era verificata una violenta ed imprevedibile fuoriuscita di gas, che prendeva immediatamente fuoco, provocando uno spostamento d’aria che faceva cadere dalle scale la L.; si era sviluppato anche un incendio e solo miracolosamente la signora, gettandosi tra le fiamme, aveva posto in salvo se stessa ed il figlio. Le fiamme erano state poi domate dai Vigili del Fuoco, che avevano redatto rapporto; l’incendio aveva provocato gravi danni anche agli arredi ed alle suppellettili, oltre che alle strutture dell’edificio, che era stato anche dichiarato inagibile, costringendo gli attori a prendere in affitto altro immobile, ove avevano risieduto per qualche mese. Il Tribunale rigettava la domanda.

2. Con la sentenza depositata il 17.9.2009, la Corte di Appello di Perugia respingeva l’appello del G. e della L., osservando che sulle modalità di verificazione del fatto non vi era contestazione. Gli attori avevano acquistato la bombola di GPL dal rivenditore autorizzato S.V. e l’avevano installata direttamente; durante le operazioni di collegamento, dopo la rimozione del "tappo rosso" di sicurezza, si era avuta una fuga di gas, che si era incendiato; non vi era stata esplosione della bombola. Questa circostanza escludeva che potesse configurarsi una pur possibile concorrenza (e questo anche quando la disponibilità del contenitore fosse passata nella sfera dell’utilizzatore: Cass. 4- 6-1998 n. 5484) tra la responsabilità del venditore-distributore di bombole a gas ù attività indubbiamente pericolosa – e quella che, ex art. 2051 c.c., compete all’utente, poichè risulta evidente che la fuoriuscita del gas e soprattutto il suo incendiarsi, verosimilmente per la presenza di una fonte di calore od anche per l’azione meccanica dell’estrazione del tappo, erano frutto esclusivamente del comportamento della L., che evidentemente non aveva ben controllato, prima di procedere al collegamento, che la valvola dell’erogatore fosse ben chiusa e che non sussistessero agenti in grado di costituire fonte di rischio, oltre che assicurarsi della mancata presenza di gas nel tubo di collegamento. La sussistenza di quest’ultima evenienza, peraltro, escludeva che gli attori avessero fornito la prova, loro incombente, della derivazione causale della fuga di gas dalla bombola acquistata – che non risultava essere esplosa – piuttosto che da quella sostituita, magari non ben chiusa prima del distacco del tubo, essendo notorio che, dopo il venir meno dell’erogazione per esaurimento, una certa quantità di liquido può rimanere nel contenitore. Non erano, quindi, note le cause dello scoppio, se non che esso derivava da una fuga di gas: in sostanza, quindi, la condotta del danneggiato appariva "assorbire" interamente il nesso causale con l’evento, in virtù di una considerazione fondata sull’accadimento materiale, che indicava altresì come l’evento stesso non fosse provatamente ricollegabile allo svolgimento dell’attività pericolosa. Tale dimostrazione non sussisteva in atti (non risultava allegato il presunto verbale di accertamento dei Vigili del Fuoco menzionata in citazione), nè appariva possibile dare ingresso ad una consulenza tecnica l’ufficio che accertasse le cause del verificarsi della "palla di fuoco" sprigionatasi nella cucina degli attori. Ciò rendeva irrilevante valutare se il S.V. avesse errato – quindi conservando potenzialmente su di sè la corresponsabilità dell’evento – nel consegnare la bombola all’utilizzatore senza provvedere direttamente al trasporto ed al collegamento e, quindi, non adottando tutte le cautele idonee ad evitare il danno. Nel caso in esame, infatti, mancava del tutto la prova dell’antecedente materiale e cioè la sussistenza di fuga di gas dalla bombola acquistata, asserita solo dalla L. e confermata da un teste di mero riferimento, secondo la sentenza impugnata. La Corte territoriale condivideva la deduzione svolta dagli appellanti in primo grado per escludere l’applicabilità alla fattispecie delle disposizioni di cui alla L. n. 1083 del 1971, e al D.M. 76 del 1973, rilevando che i termini di "progettazione, installazione e manutenzione degli impianti", che sono necessariamente attribuite alla competenza del personale qualificato, non possono essere interpretati estensivamente ed illogicamente fino a comprendervi le mere operazioni di sostituzione di bombole, che nella prassi quotidiana sono infatti eseguite quasi sempre dagli utenti.

3. Ricorrono per cassazione il G. e la L., sula base di cinque motivi; resiste il S.V. con controricorso, illustrato con memoria, e chiede rigettarsi il ricorso.

3.1. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2050 c.c.: secondo i ricorrenti sarebbe risultato inconfutabilmente, anche per non essere mai stato contestato, che: a. il resistente aveva ceduto ai ricorrenti una bombola di gas gpl da 10 kg il giorno (OMISSIS) (cfr.

ricevuta fiscale di pari data); b. in data (OMISSIS) da una bombola di 10 kg si era verificata una fuga di gas che incendiandosi aveva provocato i danni lamentati (cfr. informativa dei Carabinieri); c. l’attività esercitata dal S.V. rientrava, incontestabilmente (come anche riconosciuto dalla Corte territoriale) in quelle previste dall’art. 2050 c.c. Pertanto, atteso l’accertato collegamento causale tra la cessione della bombola e l’evento dannoso, alla fattispecie in discussione avrebbe potuto sicuramente applicarsi quanto disposto da tale articolo che pone a carico del distributore di bombole di provare "di aver adottato tutte le misure per evitare il danno". Essendo mancata del tutto una tale dimostrazione, la controparte andava ritenuta responsabile dei danni subiti dai ricorrenti e conseguentemente tenuto al loro risarcimento.

Appariva quindi evidente l’errore in cui era incorso il Giudice d’appello che aveva posto a carico degli istanti la prova di fatti e circostanze inerenti le cause che avevano provocato la fuga di gas, in quanto un tale onere gravava per legge esclusivamente a carico del rivenditore, che non aveva minimamente adempiuto a ciò rimanendo addirittura contumace in primo grado. Il Giudice di appello non avrebbe dovuto sostituirsi alla controparte – proseguono i ricorrenti -assumendo ricostruzioni di fatti cui viene attribuito il crisma della certezza (la fuoriuscita del gas e il suo incendiarsi sarebbero frutto esclusivamente del comportamento della L.) che, si rivelerebbero solo ipotesi non corroborate dal alcun dato oggettivo ed effettivamente conosciuto. Considerato inoltre che le medesime operazioni poste in essere dalla L. vengono effettuate tutti i giorni da una miriade di altri soggetti, professionali e non, con incidenti che sono in una proporzione infinitesimale rispetto al numero delle sostituzioni di bombole. Pertanto i ricorrenti ritengono più verosimile un incidente causato da un difetto della bombola (mancata tenuta della valvola, eccessivo riempimento del contenitore, ecc). Una corretta applicazione alla fattispecie dell’art. 2050 c.c., avrebbe dovuto condurre ad un accoglimento della domanda, atteso che il sinistro era stato conseguenza dell’esercizio dell’attività pericolosa svolta dalla controparte, che non aveva saputo adempiere all’onere probatorio che gli incombeva per legge.

3.2. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. 2 febbraio 1973, n. 7, come modificata dalla L. 1.10.85 n. 539, interamente sostituita poi dal D.Lgs. 22 febbraio 2006, n. 128): il Giudice d’appello non avrebbe correttamente deciso anche quando ha ritenuto di non ravvisare alcuna responsabilità del venditore nel fatto di aver affidato il trasporto e, soprattutto, l’installazione della bombola agli acquirenti. Le norme sopra menzionate stabiliscono precisi obblighi formativi per i distributori di gas gpl "al fine di garantire la sicurezza antincendio nelle attività di installazione ed utilizzo delle bombole" (D.Lgs. n. 128 del 2006, art. 11, comma 1). Dalla ratio della norma discende che il distributore non può delegare ad un soggetto senza adeguata preparazione l’esecuzione di un attività riconosciuta dalla legge fonte di notevole pericolo per la pubblica incolumità. Ed ha pertanto 1 obbligo di assicurarsi che il montaggio sia eseguito da personale esperto. Quindi, il venditore che viene meno a tale incombente, ponendo così in essere un comportamento negligente e contrario alla legge, dovrà risponderne qualora si verifichino incidenti intervenuti proprio in fase di montaggio. Particolarmente nella fattispecie in discussione, dove lo stesso Giudice d’appello aveva attribuito esclusive responsabilità al soggetto che ha eseguito le operazioni di sostituzione/installazione perchè poste in essere con imprudenza ed imperizia. Conseguenza della mancanza di necessarie cognizioni tecniche. Pertanto il Giudice di appello non avrebbe deciso correttamente quando ha considerato irrilevante la circostanza che il venditore avesse omesso di provvedere direttamente al trasporto e collegamento della bombola. Essendo semmai, più esattamente, ininfluente conoscere da quale bombola fosse uscito il gas. La corretta applicazione delle norme richiamate avrebbe dovuto condurre all’accoglimento della domanda dei ricorrenti.

3.3. Motivazione contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la Corte territoriale si sarebbe contraddetta nella ricostruzione delle "modalità di verificazione del fatto" e nella motivazione che ne è scaturita. Afferma infatti in un primo momento il Giudice di secondo grado "Sulle modalità di verificazione del fatto non vi è contestazione Gli attori hanno acquistato la bombola di gpl dal rivenditore autorizzato S.V.S. e l’hanno installata direttamente; durante le operazioni di collega memento, dopo la rimozione del tappo rosso di sicurezza, si è avuta una fuga di gas che si è incendiato; non vi è stata esplosione della bombola". Su questo presupposto, il Giudicante ha poi escluso la responsabilità del resistente perchè, a suo dire, la L., comportandosi in maniera imperita, avrebbe causato l’evento. A pag. 7 della sentenza gli antecedenti di fatto appena prima qualificati incontestati perdono tale valore e la Corte d’Appello scrive "la sussistenza di quest’ultima evenienza, peraltro, esclude che gli attori abbiano fornito la prova, loro incombente, della derivazione causale della fuga di gas dalla bombola acquistata piuttosto che da quella sostituita". Ed ancora a pg. 9: "nel caso in esame, infatti, manca del tutto la prova dell’antecedente materiale e cioè la sussistenza di fuga di gas dalla bombola acquistata".

Questa assenza di riscontri probatori di conforto alla ricostruzione fornita dalla L. secondo la Corte d’Appello "rende irrilevante valutare se il S.V. abbia errato nel consegnare la bombola all’utilizzatore senza provvedere direttamente al trasporto ed al collegamento" con esclusione, parrebbe, di ogni collegamento tra l’evento e l’esercizio dell’attività pericolosa da parte del resistente. Secondo i ricorrenti, la contraddizione risiederebbe nel fatto che nella prima ricostruzione degli accadimenti, ritenuti non contestati, si dava per accertato che la fuoriuscita si fosse verificata dalla bombola acquistata presso S.V..

Pertanto, con il convincimento che il gas era uscito dalla bombola acquistata il (OMISSIS), in base al secondo ragionamento del giudicante, applicato a contrario, si sarebbe dovuto affermare che la responsabilità dell’evento ricadesse sul distributore, magari anche per aver omesso di provvedere personalmente al collegamento. Perchè, quindi, pur dando per accertata la ricostruzione di fatto fornita dall’attrice, non si sarebbe giunti a considerare il resistente responsabile dell’evento. L’evidenza della contraddittorietà della motivazione renderebbe la sentenza irrimediabilmente viziata.

3.4. Motivazione omessa ed insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: dopo aver ricostruito le modalità di verificazione del fatto, qualificate come non contestate, la Corte d’Appello, per attribuite l’intera responsabilità dell’accaduto alla L. ed escludere quanto disposto dall’art. 2050 c.c., motiva: "risulta evidente che la fuoriuscita del gas e soprattutto il suo incendiarsi, verosimilmente per la presenza di una fonte di calore od anche per l’estrazione meccanica dell’estrazione del tappo (che sappiamo essere di plastica n.d.r.), sono frutto esclusivamente del comportamento della L. che evidentemente non ha ben controllato, prima di procedere al collegamento, che la valvola dell’erogatore fosse ben chiusa e che non sussistessero agenti in grado di costituire fonte di rischio, oltre che assicurarsi della mancata presenza di gas nel tubo di collegamento. Plurime pertanto sarebbero state le circostanze di fatto che avrebbero condotto a ritenere imperita la condotta dell’utente facendo ricadere sulla stessa l’esclusiva responsabilità dell’evento e fornendo, al contempo, la prova contraria richiesta dall’art. 2050 c.c.. Ma, mentre per la prima parte dell’accaduto le ricostruzione è pacifica e non contestata, non vi è nulla agli atti che attesti tutti quei comportamenti (mancati controlli e verifiche preventive) attribuiti alla L. e che sarebbero la causa esclusiva dell’evento. Il Giudicante infatti avrebbe omesso di dare adeguata motivazione sui riscontri che l’hanno portato a ritenere che l’utente non avesse controllato la valvola ed il tubo provocando l’incendio del gas fuoriuscito. Come pure risulta dal fatto che l’ipotesi di ricostruzione si sorregge su un verosimile che non può bastare per attribuire alla motivazione i requisiti richiesti dalla legge.

3.5. Motivazione omessa ed insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: si afferma anche in sentenza (p. 9): "Nel caso in esame manca del tutto la prova dell’antecedente materiale e cioè la sussistenza di fuga di gas dalla bombola acquistata, asserito solo dalla L. e confermato da un teste di mero riferimento". Anche questo assunto non appare soddisfacente e condivisibile: il Giudicante non avrebbe giustificato il motivo per il quale due documenti in atti, di rilevante valore probatorio, non sarebbero stati ritenuti tali dalla Corte d’Appello, che avrebbe omesso di prenderli in considerazione senza fornire motivazione del suo operato. Si tratta della copia della ricevuta fiscale con n. 163/07 che dimostrerebbe l’acquisto fatto dai ricorrenti presso il resistente di una bombola di gpl da 10 kg e della nota informativa dei Carabinieri di Massa Martana, in cui si riferisce che nell’abitazione di G.L. si era sviluppato un incendio causato dalla fuoriuscita di gas gpl da una bombola del peso di kg. 10. Tali atti fornivano prove dirette ed indizi che valutati nella loro convergenza possiedono i requisiti stabiliti dall’art. 2729 c.c., attribuendo valore anche a quanto riferito dal teste de relato. Fornendo pieno convincimento del fatto che il gas fosse fuoriuscito dalla bombola ceduta dal S.. Se il Giudicante non li aveva ritenuti decisivi per il giudizio, avrebbe dovuto spiegare le ragioni del suo convincimento con adeguata motivazione, la cui mancanza vizia insanabilmente l’impugnata sentenza.

4. Le censure sono prive di pregio sotto ogni profilo.

4.1. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente data l’intima connessione, si rivelano entrambi inammissibili, perchè presuppongono una ricostruzione dei fatti divergente da quella risultante dalla sentenza impugnata. Al riguardo, si deve ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010; 4178/07; 10316/06; 15499/04).

Nei primi due motivi, infatti, le assunte violazioni di norme di diritto si basano sempre e presuppongono una diversa ricostruzione delle risultanze di causa (come, in entrambi i motivi, la "causa" dell’incendio sviluppatosi nella cucina degli istanti), censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detti motivi.

4.2. Senza contare che le prospettate violazioni di legge non appaiono neanche configurabili nella specie, dovendosi ribadire che, in tenta di responsabilità per esercizio di attività pericolosa (nella specie, produzione e distribuzione di gas in bombole), la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico – la prova del quale incombe al danneggiato – tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, non potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che non è ad esso riconducibile in alcun modo. In particolare, nella ipotesi in cui sia ignota la causa dell’evento dannoso, la responsabilità ex art. 2050 c.c., va affermata ove risulti non interrotto il nesso di causalità con l’esercizio dell’attività pericolosa, mentre va esclusa ove sussista incertezza sul fattore causale e sulla riconducibilità del fatto all’esercente. Il relativo accertamento rientra tra i poteri del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione ove sufficientemente e logicamente motivato (Cass. 17 luglio 2002 n. 10382; 5 agosto2002 n. 11716, in motivazione). Nel caso in esame, i giudici di appello hanno espresso il convincimento che, dalla risultanze agli atti, non si evincesse prova certa della riconducibilità dell’incendio alla perdita di gas della bombola acquistata e, quindi, all’attività del rivenditore; la doglianza, che investe tale convincimento, è inammissibile, concretandosi nell’apodittica affermazione che l’incendio non può che essere derivato dalla fuoriuscita di gas e che gli elementi acquisiti lo avrebbero dimostrato; diventa a questo punto inutile l’esame delle ulteriori proposizioni, nelle quali si articola il motivo, in quanto presuppongono, come si è detto, l’accertamento della dipendenza causale dell’incendio dal gas. Peraltro, nel secondo motivo si lamenta anche la violazione di norme sopravvenute ai fatti di causa.

4.3. Non colgono nel segno neanche le censure di vizi motivazionali contenute negli altri tre motivi.

4.3.1. Infatti, tutte tali censure sono inammissibili, in quanto non integrano vizi motivazionali secondo il paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Esse, invero, nella parte in cui lamentano vizi di motivazione, si risolvono nella (non ammissibile) richiesta di rivisitazione di apprezzamenti e valutazioni del tutto legittimamente adottati e applicati in sede di merito. I ricorrenti, difatti, lungi dal prospettare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui ha valutato le risultanze processuali in ordine alla prova del nesso causale, invocano in sostanza una diversa valutazione di tali risultanze, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perchè la valutazione in discorso postula e involge apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento elementi fattuali con esclusione di altri, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e ipoteticamente verosimili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva.

E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione, salvo i casi di prove c.d. legali (Cass. n. 2357/04;

14858/00). Inoltre, al fine di adempiere l’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni delle parti essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali è fondato il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non siano menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 24542/09; 22801/09; 14075/02; 10569/01; 1390/98).

4.3.3. In ordine all’inammissibilità dei vizi motivazionali prospettati nel terzo motivo, va, inoltre, ricordato che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione, non consistendo nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (tra le molte, cfr. Cass. 16 gennaio 2007 n. 828). Non vi è, comunque, contraddizione tra le osservazioni poste a raffronto in detto motivo, non essendovi nella sentenza impugnata alcuna affermazione relativa alla circostanza che il gas provenisse con certezza dalla bombola oggetto della vendita di cui è causa.

5. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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