Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 15-02-2013, n. 7488

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 26 luglio 2012, il Tribunale di Taranto ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di M. D. avverso l’ordinanza emessa dal locale Giudice per le indagini preliminari il 12 luglio 2012 con la quale era stata disposta nei confronti del predetto la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di usura.

Propone ricorso per cassazione il difensore il quale rinnovando questione già dedotta in sede di riesame e disattesa dai giudici del gravame, lamenta che nella specie si sarebbe formato il giudicato cautelare in rapporto a precedente ordinanza con la quale era stata respinta la richiesta di misura, osservando che il provvedimento impugnato non avrebbe posto in evidenza fatti nuovi tali a legittimare il provvedimento coercitivo e si contesta la congruenza di quelli dedotti dai giudici a quibus. Si deduce, poi, la sproporzione della misura in riferimento alle esigenze ravvisate.

Il ricorso è palesemente infondato. Il provvedimento impugnato, infatti, ha puntualmente ed esaurientemente passato in rassegna le plurime acquisizioni -successive alla prima decisione cautelare riguardante la posizione dell’imputato – alla stregua delle quali è emerso il pieno e stabile coinvolgimento del M. in tutta la attività illecita posta in essere dal coimputato F., seguendone gli affari usurari anche mentre costui si trovava in stato di coercizione, come in modo del tutto evidente traspariva dalle dichiarazioni delle parti offese e dalle intercettazioni, puntualmente ricostruite dai giudici del merito. Le contestazioni mosse al riguardo dal ricorrente si rivelano, oltre che palesemente destituite di fondamento, essendo formulate prevalentemente su base meramente assertiva e congetturale, anche inammissibili perchè volte a sollecitare un non consentito sindacato di merito da parte di questa Corte. Ugualmente inammissibile è il motivo concernente la pretesa inadeguatezza della misura, in quanto la motivazione offerta sul punto dai giudici del riesame si rivela del tutto logica e appagante.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013
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