Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2012, n. 13390

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Svolgimento del processo
La s.p.a. X Italia ha notificato alla s.r.l. XX-XX, decreto ingiuntivo n. 781/1996 del Tribunale di Torino, recante condanna al pagamento di L. 541.591.949, oltre interessi di mora, per forniture di carburante.
L’ingiunta ha proposto opposizione, eccependo la mancanza di prova della consegna della merce, poichè X non ha allegato al ricorso per decreto ingiuntivo le ricevute che i gestori dei punti vendita avrebbero dovuto rilasciare agli autisti degli automezzi, in occasione dei rifornimenti di carburante.
Va premesso che le modalità di pagamento erano state concordate fra X e XX nel senso che X rilasciava all’acquirente un certo numero di carte elettroniche (impropriamente definite "carte di credito"), ognuna delle quali era collegata alla targa di un autoveicolo. XX consegnava le carte agli autisti, con il relativo numero di codice (PIN) da digitare per il pagamento delle forniture.
Per varie ragioni, fra cui la sproporzione fra il chilometraggio percorso e la quantità di carburante addebitata, XX sospettava che, tramite illeciti accordi fra gli autisti e i gestori delle stazioni di servizio, le carte di credito fossero state utilizzate per forniture inesistenti, nel senso che ai pagamenti elettronici contabilizzati non corrispondeva l’effettiva erogazione della corrispondente quantità di carburante.
L’opponente ha eccepito altresì l’illegittimità degli interessi, che X avrebbe richiesto in misura superiore a quella legale, in mancanza di specifica pattuizione. L’opposta ha resistito alla domanda, chiedendo la conferma dell’ingiunzione.
Il Tribunale ha accolto l’opposizione, sul rilievo che la prova di avere eseguito le forniture era a carico della X e che essa non vi ha adempiuto.
Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Torino ha riformato la sentenza di primo grado, accogliendo la domanda di cui all’ingiunzione entro i limiti di Euro 166.875,87, con gli interessi di cui al decreto opposto. La s.r.l. XX, posta nel frattempo in liquidazione, propone tre motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria. Resiste X con controricorso.
Motivi della decisione
1.- La Corte di appello ha motivato la sua decisione in base al rilievo che XX non ha contestato di avere effettivamente ricevuto forniture di carburante, ma solo ne ha messo in dubbio la quantità, a fronte dei comportamenti truffaldini che aveva ragione di sospettare, e che la prova delle quantità erogate risulta dagli accertamenti compiuti dal CTU, il quale ha constatato che le operazioni elettroniche contabilizzate corrispondono effettivamente alle somme richieste da X ed alla documentazione cartacea del rapporto (fatture, ecc.).
2.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697, 2707, 2709, 2710 e 2729 cod. civ., e con il secondo motivo vizi di motivazione, sul rilievo che la Corte di appello l’ha condannata al pagamento sulla base dei soli documenti provenienti dalla creditrice, ed in particolare sulla base delle sole fatture, in mancanza di ogni prova della consegna della merce, prova che grava sul venditore in relazione all’intera quantità di cui chiede il pagamento, essendo insufficiente il generico accertamento che alcune forniture sono state eseguite.
Assume che nella specie la prova è del tutto mancata, poichè la CTU ha potuto accertare solo l’avvenuta contabilizzazione dei pagamenti elettronici.
Tali pagamenti – che neppure si sa se siano stati digitati dagli autisti o dai gestori delle pompe – non valgono di per sè a dimostrare che le sottostanti operazioni di vendita siano effettivamente avvenute.
La prova avrebbe dovuto essere fornita producendo in giudizio le ricevute (buoni di prelievo) che i gestori delle pompe di erogazione sono tenuti a rilasciare all’autista dell’automezzo, in occasione di ogni singola fornitura: documenti che la X non ha mai prodotto, sebbene un’apposita clausola del contratto intercorso fra le parti ne richieda la presentazione, precludendo all’acquirente di sollevare eccezioni a fronte delle relative risultanze.
2.1.- I due motivi – che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi – sono inammissibili, prima ancora che infondati, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., norma in vigore alla data della proposizione del ricorso (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27). Il quesito di diritto sul primo motivo è generico e inidoneo a prospettare il peculiare problema oggetto di decisione nel caso di specie.
Esso è così formulato: "Dica la Corte se i documenti su cui il CTU ha redatto la propria relazione la Corte di appello ha fondato la parte motiva esaminata con il presente motivo e cioè documenti di mera provenienza della parte che se ne avvale siano idonei a costituire prova valida del diritto di credito vantato dalla X e se con essi si possa ritenere assolto l’onere probatorio gravante sulla parte asseritamente creditrice".
Si ricorda che il quesito deve contenere l’enunciazione della fattispecie da decidere; il principio che si assume erroneamente applicato dalla Corte di appello e quello diverso che si vorrebbe venisse affermato in sua vece, sì da consentire alla Corte di cassazione di formulare con la sua decisione un principio di diritto chiaro, specifico e applicabile anche ai casi simili a quello in esame (cfr. Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 2008 n. 6420; Cass. Civ. Sez. 3, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535).
Quanto alle censure di vizio di motivazione, lo stesso art. 366 bis dispone che l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
La consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene che tali requisiti debbano essere specificati tramite una proposizione riassuntiva, analoga al quesito di diritto (Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258; Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 n. 2652; Cass. Civ. Sez. 3^, 7 aprile 2008 n. 8897, n. 4646/2008 e n. 4719/2008, fra le tante), e specifica che la norma di legge non si può ritenere rispettata quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass. civ., Sez. 3, ord. 16 luglio 2007 n. 16002, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).
Nella specie manca del tutto la proposizione riassuntiva contenente la chiara indicazione del fatto controverso, quanto alle censure di vizio di motivazione, mentre il quesito di diritto non enuncia i dati rilevanti al fine di decidere il caso dedotto in giudizio.
2.2.- Ed invero, premesso che nella specie il pagamento avveniva tramite le "carte di credito" rilasciate da X all’acquirente, e che a quest’ultimo spettava di consegnarle ai trasportatori, con il numero di PIN da digitare per dare corso ai pagamenti, è pur vero che la digitazione del PIN non prova che ad ogni pagamento corrispondesse l’effettiva erogazione del carburante; ma è anche vero che la documentazione in possesso della società creditrice non può considerarsi priva di ogni efficacia probatoria, quale mera documentazione di parte, poichè essa non avrebbe potuto essere acquisita senza la cooperazione del debitore e del personale di cui il debitore si è avvalso (e del cui comportamento è tenuto a rispondere), secondo modalità di esecuzione del rapporto che le stesse parti hanno contrattualmente concordato.
Ciò dimostra l’inadeguatezza del quesito, che richiama il principio generale per cui i documenti provenienti dalla parte che se ne avvalga non hanno efficacia probatoria in suo favore, in relazione ad un caso del tutto peculiare, in cui la documentazione in possesso del creditore non è stata formata solo dal venditore, ma dall’agire congiunto del venditore e dell’acquirente, tramite i soggetti ed i mezzi di cui quest’ultimo si è avvalso per eseguire la sua prestazione.
2.3.- Va soggiunto, per completezza, che quanto sopra si è detto vale anche a dimostrare l’infondatezza nel merito delle censure.
In primo luogo la fattispecie può essere in certa misura ricondotta ai principi desumibili dall’art. 2713 cod. civ., secondo cui "le taglie o tacche di contrassegno corrispondenti al contrassegno di riscontro formano piena prova fra coloro che usano provare in tal modo le somministrazioni che fanno o ricevono al minuto". La norma richiama, con riferimento a prassi forse in parte obsolete, il criterio di decisione qui indicato, poichè la tacca di contrassegno, così come la registrazione elettronica, è prova che si forma con la collaborazione dell’acquirente e secondo i pregressi accordi fra le parti. Per questa ragione il venditore è esonerato dal fornire la prova delle singole consegne.
In secondo luogo la stessa ricorrente ha riprodotto, nel secondo motivo di ricorso, la clausola di cui alla lett. c) del contratto con X, secondo cui: "La ditta Cliente, in considerazione della delicata e particolare funzione della carta di credito, conferma come condizione essenziale del presente accordo, il suo impegno……di provvedere tempestivamente al pagamento del prezzo di ogni rifornimento che appaia effettuato su presentazione delle carte ad essa assegnate, anche se in conseguenza di smarrimenti, frodi, o furti delle carte stesse, intendendosi cosi da essa accettati e assunti tutti i rischi relativi all’Impropria utilizzazione…. E ciò ancorchè, in difformità da quanto appaia sul buono di prelievo, il rifornimento non sia stato realmente effettuato in tutto o in parte" grassetto dell’estensore.
La clausola – che XX ha accettato e sottoscritto – è inequivocabile nel dichiarare irrilevanti le ricevute rilasciate dall’addetto alla stazione di servizio, a fronte delle risultanze delle registrazioni elettroniche derivanti dall’uso delle carte, anche se tale uso sia frutto di frodi. Ed anzi, i rischi di abuso del mezzo di pagamento sono posti espressamente a carico dell’acquirente.
Il dispositivo della sentenza impugnata dovrebbe essere quindi confermato (se i quesiti fossero ammissibili), salvo l’eventuale ampliamento della motivazione.
3.- Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 1224, 1282 e 1284 cod. civ., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui l’ha condannata a pagare gli interessi sulla somma a debito, in misura corrispondente a quella indicata nel decreto ingiuntivo e con le decorrenze ivi stabilite.
Assume che il contratto (doc. 262 di X) contiene un accordo differente da quanto ingiunto: cioè commisura l’interesse al prime rate ABI "che è differente dal tasso ufficiale di sconto ingiunto (circa il doppio…) e per altro previsto, contraddittoriamente, …nel doc. 244 già riportato…", ed eccepisce la nullità della previsione contrattuale per l’impossibilità di comprendere quale sia stata la reale intenzione delle parti quanto all’entità degli interessi convenzionali.
3.1.- Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e per l’inadeguatezza del quesito di diritto.
La ricorrente pone un problema di interpretazione della clausola contrattuale relativa agli interessi, problema la cui soluzione richiede una valutazione di merito, che è demandata esclusivamente al giudice del merito e che non è suscettibile di riesame in sede di legittimità, se non sotto il profilo della violazione delle norme in tema di interpretazione dei contratti (artt. 1362 ss. cod. civ.) o per vizi di motivazione ravvisabili nel procedimento interpretativo seguito dalla sentenza impugnata. La ricorrente non specifica quale sia il preciso contenuto della clausola che a suo avviso regolerebbe i tassi di interesse, nè in quali parti ed in che senso la decisione sarebbe fondata su argomenti contraddittori.
Richiama i documenti 244, 262 e 263bis di parte convenuta, senza precisare quale ne sia il contenuto.
Il doc. 244 non è rinvenibile nel fascicolo citato, che contiene documenti solo dal n. 250 in avanti.
I doc. 262 e 263 bis prevedono, nella clausola relativa agli interessi, tassi diversi per la dilazione convenzionale dei pagamenti e per la vera e propria mora, e i tassi di mora corrispondono a quelli del 6,50% di cui al decreto ingiuntivo. Nè la ricorrente deduce o dimostra l’invalidità-inefficacia, o la mancata accettazione, delle suddette clausole; nè il fatto che il tasso del 6,5% sarebbe stato applicato a interessi non di mora.
Il quesito formulato in relazione al motivo è parimenti inidoneo a manifestare in che senso sarebbero state violate le norme di cui si assume la trasgressione, mentre manca la chiara indicazione del fatto controverso, quanto ai denunciati vizi di motivazione.
4.- Il ricorso deve essere rigettato.
5.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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