Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2012, n. 13388

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Svolgimento del processo
.1- Con sentenza in data 17 febbraio 2005 il Giudice di Pace di Torino respinse l’opposizione proposta da B.C. al decreto ingiuntivo per Euro 1962,53 intimatogli dalla ditta individuale X di X X in relazione a lavori effettuati nell’immobile di proprietà del B.; inoltre rigettò la domanda riconvenzionale di costui che aveva chiesto la condanna della X a restituirgli l’importo versato in eccesso rispetto al dovuto.
.2 – Con sentenza in data 20 – 28 giugno 2008 il Tribunale di Torino respinse l’appello del soccombente.
Il Tribunale osservò per quanto interessa: le parti si erano accordate non sul corrispettivo dei lavori ma sulle modalità per determinarlo; le ore globalmente lavorate erano state 160.
.3- Avverso la suddetta sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con successiva memoria.
La X ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
.1 – Al ricorso è applicabile – ratione temporis – la normativa introdotta dal D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione.
Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
.2 – I tre motivi di ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..
Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.
Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e "virtuoso" nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.
In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.
Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).
.3 – Il primo motivo lamenta insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (art. 360 c.p.c., n. 5) con conseguente violazione degli artt. 2697 e 2225 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).
Le argomentazioni addotte dal ricorrente a sostegno della censura implicano esame degli atti e apprezzamenti di fatto. Ma, soprattutto, il quesito finale risulta privo del momento di sintesi necessario non solo per circoscrivere il fatto controverso, ma anche per specificare in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza si riveli insufficiente e non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulle norme indicate, ma chiede alla Corte di esprimere un giudizio valutativo sulla (negata) correttezza della sentenza impugnata.
.4- Il secondo motivo adduce violazione dell’art. 2225 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Si assume che la norma indicata, a differenza dell’art. 1657 c.c., non consente alle parti di convenire il modo di determinare il corrispettivo.
In realtà non si vede per quale ragione la norma, che consente alle parti di concordare il corrispettivo, dovrebbe inibire loro di concordare il modo per stabilirlo. In ogni caso è decisiva la violazione dell’art. 366-bis c.p.c. poichè anche questo motivo è assistito da un quesito privo del momento di sintesi e che non postula l’enunciazione di un principio di diritto decisivo per il giudizio e di generale applicabilità fondato sulla norma indicata.
. 5-Le medesime caratteristiche negative rendono inammissibile anche il terzo motivo, che denuncia violazione sotto altro profilo dell’art. 2225 c.c.; violazione dell’art. 2697 c.c. e omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia e ancora omessa motivazione circa altro punto decisivo della controversia.
Del resto il motivo in esame viola anche l’art. 366 c.p.c., n. 4 poichè tratta congiuntamente questioni diverse.
.6- Pertanto il ricorso è inammissibile. Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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