Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 29-01-2013) 14-02-2013, n. 7395

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. B.S., per il tramite del difensore fiduciario, propone ricorso avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Catania, in sede di riesame ex art. 309 c.p.p. ha confermato la ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip presso il Tribunale di Catania ai danni del ricorrente perchè gravemente indiziato, in concorso con la sorella B.D., del reato di detenzione e coltivazione di sostanza stupefacente (del tipo Marijuana) nonchè di furto aggravato di energia elettrica aggravato ex art. 625 c.p., n. 2.

2. Il provvedimento applicativo della misura, e in conformità, quella oggetto dell’odierno ricorso hanno riscontrato la gravità indiziaria dei reati contestati alla luce della risultanze emerse in esito alla perquisizione operata dai Carabinieri presso le abitazioni dei fratelli B. (situate all’interno di un unico edificio esclusivamente occupato dagli stessi e costituito da tre levazioni fuori terra di cui quella al piano terrano di pertinenza della D. e quella al primo piano adibita ad abitazione del ricorrente); perquisizione in esito alla quale veniva rinvenuta, presso l’abitazione della D., sostanza stupefacente del tipo sopra indicato, suddivisa in dosi in uno ad un bilancino di precisione; ed ancora, nel cortile esterno, sempre del piano terrano adibito ad abitazione della D., si rinvenivano alcune piantine di marijuana. Esteso il controllo al piano superiore, cui si accedeva da una scala esterna e il cui ingresso era perimetrato da una ringhiera chiusa da un cancello, nulla veniva rinvenuto presso detta abitazione mentre, nella mansarda, segnalata in seno al verbale siccome collegata a tale ultimo appartamento da una scala interna, i carabinieri riscontravano la presenza di numerose piantine di marijuana la cui coltivazione era favorita dalla presenza di un impianto di areazione e luce artificiale. Infine, pressochè contestualmente, si constatava che l’impianto elettrico installato nell’immobile era allacciato abusivamente alla rete elettrica in modo da permettere l’alimentazione ed al contempo da impedire la misurazione dell’energia prelevata. Mentre il ricorrente negava ogni addebito, la sorella ammetteva i fatti innanzi al GIP affermando al contempo l’estraneità del fratello.

3. Con un unico motivo di ricorso la difesa dei B. denunzia erronea applicazione della legge avuto riguardo al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 agli artt 624 e 626 c.p., art. 272 e ss c.p.p. nonchè carenza assoluta di motivazione. Sottolinea in particolare che la sostanza rinvenuta e le piantine sarebbero esclusivamente riferibili alla D., in linea con le dichiarazioni di quest’ultima e con il mancato riscontro di qualsivoglia traccia di segno contrario emersa in esito alla perquisizione della abitazione del S.;

e contrasta apertamente, con deduzione destinata a minare sul piano logico l’intera argomentazione seguita dal Tribunale, l’affermazione in forza alla quale l’accesso al – e dunque sul piano logico, la disponibilità comune del – piano mansardato fosse esclusivamente garantito dall’appartamento sito al piano secondo pacificamente abitato dal ricorrente, trattandosi di dato, emergente erroneamente dal verbale relativo alla perquisizione, contraddetto dalla consulenza di parte allegata che, nel descrivere l’edificio, nega l’esistenza di una scala interna di collegamento tra piano primo e mansarda. Il Tribunale solo apparentemente tiene conto, senza superane l’evidenza, di tale dato e senza alcun supporto motivazionale, a fronte della riscontrata autonomia dei diversi locali costitinti le tre elevazioni dell’edificio, conclude per riportare anche al ricorrente la disponibilità di un locale esclusivamente, quello mansardato, riferibile alla sorella.

Tralasciando peraltro, quanto all’ulteriore contestazione mossa, di essere titolare di un a regolare contratto di energia elettrica, puntualmente adempiuto quanto ai rispettivi oneri, ad f ulteriore comprova della totale estraneità rispetto agli addebiti.

Motivi della decisione

5. Le doglianze articolate con l’unico motivo di ricorso sono manifestamente infondate e portano alla declaratoria di inammissibilità per le ragioni precisate di seguito.

6. Giova ricordare che alla Corte di tassazione non compete scegliere la ricostruzione probatoria ritenuta più adeguata al contenuto degli elementi di prova acquisiti, tra le diverse prospettate, ma solo verificare che quella adottata dal Giudice del merito sia sorretta da motivazione nè inesistente nè apparente, caratterizzata da un percorso argomentativo che non sia manifestamente illogico o contraddittorio, intrinsecamente – nell’ambito della stessa motivazione – ovvero con un elemento di prova ignorato o, pur inesistente, dato per presente, quando tale elemento sia, per sè, idoneo a destrutturare l’intera ricostruzione sottesa alla decisione impugnata.

Nella specie, il provvedimento in contestazione rimane palesemente insensibile alle sollevate censure in punto alla dedotta carenza ed illogicità della motivazione.

L’intero ricorso che occupa ruota intorno ad un unico elemento di fatto che, nel ritenere della difesa, il Tribunale del riesame avrebbe pretermesso nella valutazione, limitandosi ad un argomentare meramente apparente così pervenendo a conclusioni del tutto illogiche rispetto agli elementi indiziari a sua disposizione. Ci si riferisce in particolare al dato emerso dalla consulenza di parte prodotta in sede di riesame, attestante che tra il primo piano dell’edificio "di abitazione dei fratelli B., adibito a residenza del ricorrente, e quello mansardato, dove è stata riscontrata, nella gran parte, la droga sequestrata con la strumentazione atta alla coltivazione, non sussisteva alcun collegamento interno; e ciò a differenza di quanto segnalato dalla PG in esito alla perquisizione prodromica all’arresto. Circostanza, questa, di assoluta valenza decisiva perchè destinata a scardinare il ragionamento logico in forza al quale la disponibilità della marijuana sequestrata era stata ascritta anche al S. e non solo alla sorella, rea confessa, in considerazione della immediata pertinenzialità del piano mansardato all’appartamento riscontrato nella esclusiva disponibilità del ricorrente. A differenza di quanto evidenziato dalla difesa, il dato in questione viene preso in considerazione nel motivare del Tribunale del riesame, certamente non meritevole di censura alcuna sul piano della completezza della disamina dei motivi di contestazione sollevati con il riesame. Ed in esito a tale valutazione, il Tribunale è pervenuto comunque alla conferma del provvedimento impugnato secondo un percorso logico, coerentemente filtrato dalla sommarietà dell’accertamento cognitivo sotteso al giudizio cautelare, immune da manifeste incongruenze e in quanto tale estraneo all’invocato controllo di legittimità sul versante del difetto di motivazione.

Nel provvedimento impugnato, infatti, si da atto di tale possibile divergenza nella ricostruzione dei luoghi ove è stata riscontrata la detenzione e la coltivazione della sostanza sequestrata. Pur partendo dal dato emergente dalla consulenza di parte, il Giudice del riesame ritiene tuttavia non inficiata l’equazione logica che lega la disponibilità della sostanza sequestrata alla esclusiva pertinenzialità del piano mansardato all’appartamento nella disponibilità del ricorrente; e ciò sul presupposto, confermato dalla citata consulenza, in forza al quale al locale dove era coltivata e detenuta la sostanza è possibile accedere, esclusivamente, passando, pur se dall’esterno, dal piano primo dell’edificio in questione, id est quello adibito ad abitazione del ricorrente, cosi da rimanere ribadito una collegamento essenziale tra i due cespiti tale da giustificare la riferibilità della marjiuana anche al B.S.. Nè immotivato o manifestamente illogico deve infine ritenersi il provvedimento impugnato in punto alla gravità indiziaria valutata con riferimento al furto aggravato di energia elettrica. La relativa motivazione infatti trova adeguato supporto nelle dichiarazioni della coindagata B.D. (in forza alle quali tutti gli appartamenti, compreso quello del ricorrente, erano collegati al contatore abusivo riscontrato) ed ulteriore ed assorbente riscontro, quanto alla fondatezza dell’assunto accusatorio, nel dato inerente il certo asservimento energetico all’allaccio abusivo quanto al piano mansardato per garantire al fine il mantenimento dell’impianto di areazione strumentale alla coltivazione; considerazione quest’ultima, evidenziata nel trattare il tema legato alla contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 che, sul presupposto della riscontata ascrivibilità del reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art 73 anche al ricorrente, sul piano logico assorbe e supera, vanificandole manifestamente, le deduzioni difensive legate alla presenza, per l’immobile immediatamente adibito ad abitazione del ricorrente, di un valido contratto stipulato con l’azienda fornitrice di energia elettrica. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso fa seguito la condanna del ricorrente alle spese del processo ed al pagamento di una somma in favore delle cassa delle ammende, liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013

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