Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 29-01-2013) 14-02-2013, n. 7392 Decreto di citazione Provvedimento abnorme

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, denunciando l’abnormità del provvedimento con il quale il Giudice monocratico del Tribunale di Reggio Calabria, nel procedimento promosso ai danni di A. C., ha dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio con conseguente trasmissione degli atti al Pm poichè l’atto di esercizio dell’azione penale, invece di incardinare il procedimento innanzi presso la sezione distaccata di Melito Porto Salvo indicava quale giudice innanzi al quale comparire il Tribunale nella sua sede principale. Lamenta il ricorrente che in tal modo il Tribunale avrebbe riconosciuto la sussistenza di un vizio del provvedimento privo di riscontri nell’ordinamento trattandosi invece di questione di mera ripartizione interna tra gli uffici, inidonea, in quanto tale, ad inficiare l’atto con conseguente abnormità della decisione.

3. Il Procuratore Generale, con la requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso non ricorrendo nella specie l’ipotesi di abnormità dell’atto utile a giustificare l’impugnazione in Cassazione.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è inammissibile non rientrando la decisione impugnata tra quelle suscettibili di impugnazione in sede di legittimità.

3. Giova precisare che, diversamente da quanto prospettato in ricorso, la restituzione degli atti al PM è stata nella specie motivata dalla ritenuta sussistenza di un vizio inficiante il decreto di citazione a giudizio ai sensi dell’art. 552 c.p.p., comma 1, lett. D), e comma 2; ciò in ragione di una affermata incertezza quanto alla individuazione della autorità giudiziaria competente alla trattazione del giudizio per come indicata in decreto e non per una valutazione afferente la ripartizione degli affari tra sede distaccata e principale di un medesimo Tribunale.

4. Tanto premesso va poi ricordato l’insegnamento espresso dalla sentenza n. 25957 del 26.3 – 22.6.2009, rv. 243590 – recentemente ribadito da questa stessa sezione (si veda la sentenza nr 7088/2010;

ancora si veda la sentenza nr 13351/10) – in forza al quale le Sezioni unite di questa Corte suprema hanno definitivamente abbandonato il criterio della mera indebita regressione quale sintomo autosufficiente dell’abnormità dell’atto del giudice. Al fine è stato precisato che si deve distinguere tra regresso tipico (consentito dalla legge), regresso illegittimo (compiuto nell’esercizio non corretto di un potere attribuito dalla norma) e regresso fonte di abnormità, in quanto atipico e conseguente ad atto compiuto in carenza di potere. Il principio di tassatività delle impugnazioni presuppone infatti che non ogni irregolarità e deviazione dal corretto uso di un potere legittimamente riconosciuto al giudice – nei suoi rapporti con le parti – rilevi imponendo la modifica del provvedimento "scorretto". Nè il concetto di "abnormità" dell’atto adottato in concreto dal giudice può essere dilatato fino a ricondurre tutte le irregolarità non espressamente indicate come impugnabili.

Affermano in particolare le SS UU che "… la corretta applicazione dei principi processuali ai rapporti tra giudice e pubblico ministero impone di limitare, dunque, l’ipotesi di abnormità strutturale al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perchè al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). L’abnormità funzionale, riscontrabile, come si è detto, nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo. Solo in siffatta ipotesi il pubblico ministero può ricorrere per Cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo;

negli altri casi egli è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice. In tal senso si è innovativamente determinato il vigente codice di rito in cui, a proposito dei "casi analoghi" di conflitto (art. 28 c.p.p., comma 2), si è affermato, nella Relazione al progetto preliminare del Codice (pag. 16): "Si è volutamente evitato qualsiasi riferimento a casi di contrasto tra pubblico ministero e giudice, proprio per sottolineare che eventuali casi di contrasto non sono riconducibili alla categoria dei conflitti, e ciò anche in considerazione della qualità di parte – sia pure pubblica – che il Pubblico Ministero ha nel contesto del nuovo sistema processuale". Non è invece caratterizzante dell’abnormità la regressione del procedimento, nel senso di "ritorno" dalla fase del dibattimento a quella delle indagini preliminari. L’esercizio legittimo dei poteri del giudice può comportare siffatta regressione. Se si consente al Pubblico Ministero di invocare il sindacato della Cassazione in ogni caso in cui essa è stata disposta dal giudice, si rende possibile tale sindacato avverso tutti i provvedimenti di siffatto tipo, eludendosi cosi il principio di tassatività delle impugnazioni. Deve, quindi, ribadirsi che se l’atto del giudice è espressione di un potere riconosciutogli dall’ordinamento, si è in presenza di un regresso "consentito", anche se i presupposti che ne legittimano l’emanazione siano stati ritenuti sussistenti in modo errato.

Non importa che il potere sia stato male esercitato, giacchè in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto abnorme".

Le Sezioni unite hanno conclusivamente affermato il principio di diritto che "non è abnorme il provvedimento del giudice emesso nell’esercizio del potere di adottarlo se ad esso non consegua la stasi del procedimento per l’impossibilità da parte del P.M. di proseguirlo senza concretizzare un atto nullo rilevabile nel corso del procedimento".

5. Alla luce di quanto sopra evidenziato, nel caso di specie deve escludersi che il provvedimento impugnato possa essere considerato abnorme così da portare alla ammissibilità del ricorso che occupa.

A fronte di una affermata nullità (non importa, per quanto sopra evidenziato, se correttamente valutata), il Tribunale ha ritenuto procedersi alla trasmissione degli atti alla procura competente perchè proceda nuovamente ad emettere il decreto di citazione a giudizio emendato dai profili di incertezza che ne minavano la validità. In siffatte ipotesi il potere esercitato dal giudice rientra certamente tra quelli assentiti dalla legge processuale senza che l’ottemperanza al provvedimento all’uopo reso ponga in essere quella situazione di stasi processuale che viene a concretizzarsi allorquando l’osservanza del dictum giudiziale interlocutorio si traduce nella consequenziale esecuzione di atti procedimentali viziati, tali da inficiare in radice il proseguire oltre del processo. Al più, ove si concordi sulla erroneità della valutazione sottesa alla disposta regressione del procedimento, si verte in ipotesi di atto frutto di un erroneo esercizio di un potere previsto ex lege, non suscettibile di impugnazione, tuttavia, in ragione del principio di tassatività delle impugnazioni ed mancanza di una previsione di legge che consenta di ricondurre la decisione che interessa tra quelle impugnabili.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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