Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 01-02-2013, n. 5168

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con decreto del 14.5.2012, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli dispose il sequestro preventivo di beni immobili, quote societarie ed altro nei confronti di A. A., in relazione ad ipotesi fittizia intestazione di beni.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 31.7.2012, la respinse.

Ricorre per cassazione il difensore di A.A. deducendo:

1. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla L. n. 356 del 1992, artt. 12 quinquies e 12 sexies ed all’art. 321 cod. proc. pen. in quanto la decisione è motivata sull’ipotesi di contagio per contatto della Potar Costruzioni nella quale erano soci P.A. e la Flaure Costruzioni (ritenuta riconducibile al gruppo Simeoli a sua volta considerato collegato al clan camorrista Polverino); la motivazione sarebbe svincolata da un concreto esame del fatto; i collegamenti richiamati sono di carattere formale e le intercettazioni proverebbero solo rapporti economici, ma non la derivazione del patrimonio degli indagati dal gruppo Simeoli;

richiamando le relazioni dei consulenti C. e P. la motivazione incorre in un travisamento del fatto; non vi è motivazione sulla confusione di flussi finanziari; la mera esistenza di rapporti societari sarebbe elemento inidoneo a supportare l’assunto; non vi sarebbe motivazione sulla sproporzione fra capacità reddituale ed investimenti, il fumus è sorretto solo da aspetti formalistici;

2. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla individuazione di esigenze preventive.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è proposto al di fuori dei casi consentiti.

In tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e, (Cass. Sez. Un. sent. n. 5876 del 28.1.2004 dep. 13.2.2004 rv 226710. Fattispecie relativa ad annullamento dell’ordinanza di riesame confermativa del sequestro probatorio di cose qualificate come corpo di reato e del tutto priva di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti).

Nel caso in esame si deduce una illogicità o inadeguatezza della motivazione se non si propone addirittura una ricostruzione alternativa dei fatti, così sconfinando in censure di merito.

Il Tribunale ha ampiamente argomentato sull’esitanza del fumus commissi delicti, richiamando le interrelazioni societarie (v. p. 6, 7 e 8 ordinanza impugnata) e la relativa motivazione non è nè inesistente nè apparente, sicchè non è censurabile in questa sede.

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies è misura cautelare pur essa obbligatoria, in ragione della diretta strumentante con l’indicata confisca, di cui deve assicurare l’effettività. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 45210 del 08/11/2007 dep. 04/12/2007 Rv. 238901).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille/00 Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille/00 Euro alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2013

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