Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2012, n. 13379

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Svolgimento del processo

Il 3 marzo 2004 il Tribunale di Torino rigettava la domanda proposta da G.G.B. e F.M. in G., in proprio e nella qualità di eredi del figlio B. G., nonchè da G.M., G.A. e D. G., in proprio e quali eredi del fratello B., diretta ad ottenere il risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non, ivi compreso il danno biologico, subiti in conseguenza della morte del congiunto verificatosi in data (OMISSIS), a seguito di un colpo di fucile partito dall’arma in dotazione al commilitone D. D.P.. Su gravame della F., di M., A. Ma.

e G.D., in proprio e nella qualità di eredi di eredi del figlio e fratello B., nonchè quali eredi del marito e padre G.G.B., nonchè del Ministero, che svolgeva appello incidentale, la Corte di appello di Torino il 14 giugno 2006, in parziale accoglimento e in parziale riforma della sentenza impugnata condannava l’appellato Ministero alla somma complessiva di Euro 300.000,00 con interessi del 5% annuo fino al 31 dicembre 1998 e del 3% annuo per l’epoca successiva, sulla somma devalutata alla data del fatto e via via rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT e con gli interessi legali dalla data della sentenza al giorno del pagamento effettivo, oltre spese delle due fasi del giudizio, rigettando la eccezione di prescrizione del Ministero.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il Ministero delle finanze, affidandosi a quattro motivi.

Resistono con controricorso F.M. ved. G., A., Ma. e G.D., in proprio e quali eredi del figlio e fratello G.B. nonchè quali eredi del marito e padre G.G.B..

Motivi della decisione

1.- In ordine logico, va per prima esaminato il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 28 Cost.; insussistenza della responsabilità del Ministero – art. 360 c.p.c., n. 3), che non merita accoglimento.

Infatti, contrariamente all’assunto del Ministero, il giudice dell’appello ha ritenuto che il comportamento del D.P. fosse riferibile anche al Ministero, perchè tale comportamento era strumentalmente connesso all’attività di ufficio (peraltro, sembra riconoscerlo lo stesso Ministero a p. 11 ricorso) e proprio per tale ragione il militare aveva il fucile carico e tale condotta è consistita nella violazione di un ordine, non rispettato.

Ed è questa la ratio decidendi.

In altri termini, il giudice del merito ha incentrato la sua argomentazione e, quindi, il suo convincimento sulla violazione del dovere del D.P. di non allontanarsi dal posto di guardia, evidenziando "il fine egoistico" come causa motivo di quell’allontanamento e non certo come causa giuridica dirimente per ritenerlo elemento determinante della riferibilità della condotta illecita del D.P. alla P.A..

2. – Connesso al terzo si rivela il quarto motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5), con il quale il ricorrente Ministero, in estrema sintesi, lamenta la mancanza di un passaggio nel processo logico-argomentativo, che avrebbe indotto il giudice dell’appello a ritenere il comportamento del D.P. inidoneo a determinare l’interruzione del nesso di causalità (p. 15 ricorso).

Osserva il Collegio, in merito a questa doglianza, che è sufficiente la lettura della sentenza impugnata, dalla quale emerge che il giudice dell’appello, dopo avere richiamato i principi elaborati da questa Corte in tema di responsabilità della P.A. ( quasi in linea con la presente fattispecie – Cass. n. 12553/95), ha avuto modo di affermare che il D.P., assegnato ad un posto di guardia aveva il fucile carico, quando si era allontanato dallo stesso assieme al G., non in servizio, per prendere un caffè all’interno della caserma, con ciò trasgredendo alla consegna, ma ciò non ha fatto venir meno il nesso di causalità tra l’evento e il danno (p. 14-15 sentenza impugnata).

Quindi il lamentato vizio non è affatto rinvenibile.

La ricostruzione della vicenda fa sì che è corretta la attribuzione della responsabilità solidale del Ministero, in quanto la condotta del D.P. è strettamente e strumentalmente connessa all’attività di ufficio che espletava ed era tenuto ad espletare e il tutto si è verificato all’interno della caserma.

Passando all’esame delle altre censure il Collegio osserva quanto segue.

3.- I primi due motivi (violazione e falsa applicazione artt. 2909, 2953, 1306 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – il primo;

violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 12 preleggi – art. 360 c.p.c., n. 3), in realtà, costituiscono una unica doglianza, sotto il duplice profilo interpretativo, ossia che il giudice dell’appello non avrebbe dichiarato prescritta l’azione del diritto al risarcimento, essendo il Ministero coobbligato solidale del D. P. all’epoca del fatto militare e ritenuto responsabile in sede penale del reato di cui all’art. 589 c.p.c. per avere procurato il 15 giugno 1987 la morte del commilitone G.B.. Assume il ricorrente Ministero che l’atto di citazione avanti al Tribunale di Novara era stato notificato al solo D.P. quando il termine di prescrizione era già decorso, ossia nell’anno 1995 ed, inoltre, esso Ministero era rimasto estraneo al giudizio penale ( p. 5-7 ricorso).

Peraltro, a suo avviso, non sarebbero estensibili in via analogica agli altri condebitori gli effetti sfavorevoli che si verificano in capo ad alcuni di essi, così come si ricaverebbe dagli artt. 1305, 1306, 1308, e dall’art. 1310, commi 2 e 3.

Infatti, l’art. 1310 c.c., comma 1 avrebbe carattere eccezionale rispetto al principio generale di cui all’art. 2953 c.c. (p. 7 – 9 ricorso).

In merito a questa complessa censura il Collegio osserva quanto segue.

In via preliminare e contrariamente a quanto deducono i resistenti, i quesiti di cui sono corredati i motivi, sono congrui.

Ciò posto, la censura nella sua complessità va disattesa.

In una visione sistematica delle norme richiamate dal Ministero si deve affermare che l’art. 2953 c.c., come fanno notare i resistenti, si coordina perfettamente con la previsione di cui all’art. 1310 c.c., in quanto si tratta di norme che riguardano fattispecie diverse.

L’art. 1310 c.c. concerne la interruzione della prescrizione del diritto, la seconda – art. 2953 c.c. – riguarda gli effetti del giudicato sulla prescrizione.

Del resto, in linea di principio va sottolineato che, per giurisprudenza costante di questa Corte, da cui non è il caso di discostarsi, la conversione del termine di prescrizione da breve a ordinario ex art. 2953 c.c. per effetto di un giudizio di condanna formatosi nei confronti di un coobbligato solidale opera anche nei confronti dei coobbligati rimasti estranei al giudizio (Cass. n. 15511/00, richiamata dalla sentenza impugnata, e già a Cass. n. 8136/01; Cass. n. 13727/00).

Ma, anche se per ipotesi non si volesse seguire questo indirizzo, va posto in rilievo che nel caso di specie, con sentenza del 14 febbraio 1987 il Tribunale di Novara pronunciava condanna generica al risarcimento dei danni, scaturenti dall’illecito commesso dal D. P. e tale pronuncia passata in giudicato ha determinato la conversione del termine quinquennale in quello decennale, anche nei confronti del coobbligato solidale (il Ministero).

Del resto, il giudizio civile introdotto nei confronti del D.P. il 22 marzo 1995 e conclusosi con sentenza 23 maggio 1996 ha di nuovo interrotto la prescrizione, per cui il giudizio instaurato in data 26 giugno 2000 non poteva ritenersi prescritto.

Quindi, i motivi vanno disattesi.

Conclusivamente il ricorso va respinto ed il Mistero ricorrente va condannato alle spese, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Ministero al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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