Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 01-02-2013, n. 5166

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ordinanza del 9.7.2012, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce, fra l’altro, dispose la custodia cautelare in carcere di P.C., indagato per i reati di associazione di tipo mafioso, estorsioni consumate e tentate, rapina ed altro.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame ed il Tribunale di Lecce, con ordinanza del 31.7.2012, confermò il provvedimento impugnato.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di associazione mafiosa sulla base di intercettazioni telefoniche, la cui attendibilità dovrebbe essere valutata e supportata da riscontri esterni.

Motivi della decisione

Il ricorso è generico e manifestamente infondato.

La genericità del ricorso consegue alla enunciazione di parametri generali, senza specificare, con riferimento alle conversazioni intercettate, dove sarebbe stata erroneamente ritenuta l’attendibilità.

Il ricorso è manifestamente infondato laddove afferma la necessità di riscontri al contenuto delle intercettazioni.

Infatti tale assunto è in contrasto con l’orientamento espresso da questa Corte (e condiviso dal Collegio) secondo il quale il contenuto di una intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di terza persona, indicata come concorrente in un reato alla cui consumazione anche uno degli interlocutori dichiara di aver partecipato, non è in alcun senso equiparabile alla chiamata in correità e pertanto, se va anch’esso attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, nella predetta valutazione, ai canoni di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 (Cass. Sez. 5A sent. n. 00603 14.10.2003 – 13.01.2004 rv 227815).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille/00 Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato art. 94.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille/00 Euro alla cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2013
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